La viaggiatrice leggera

Quando la venticinquenne Katharina von Arx, studente all’Accademia di belle arti di Vienna, vuole andare a trovare sua madre a Zurigo, decide di fare il giro lungo: questo “giro lungo” la porterà prima in Italia, poi in Egitto, India, Birmania, Cina, Giappone, Stati Uniti e infine nella sua terra natia, la Svizzera. Il tutto in solitaria, armata solo di un piccolo sacco con pochi vestiti, un elmetto tropicale, un ukulele, un quadernino con l’occorrente per disegnare, pochi soldi e tanta voglia di staccare dalla solita routine.

Siamo nel 1953, uno degli anni più intensi della Guerra fredda: Stalin è morto da poco, la guerra di Corea volge al termine mentre a Cuba arriva la rivoluzione, il tutto in un mondo che si sta ancora riprendendo dalla batosta dell’ultima guerra. La vita di Katharina von Arx (1928-2013) non è stata semplice: nasce in una famiglia agiata che perde tutto a seguito della crisi economica del 1933, evento che porta suo padre ad allontanarsi dalla famiglia; la bambina viene quindi cresciuta dalla madre e dalle zie, che sin da subito cercano di allontanarla dalle sue ambizioni artistiche e farle preferire un mestiere più tranquillo che le assicuri un matrimonio conveniente il prima possibile. Nonostante le ristrettezze economiche Katharina non demorde: mostrando presto la testardaggine e l’intraprendenza che la caratterizzeranno in futuro, nel 1952 si trasferisce a Vienna e si iscrive all’Accademia di belle arti; passa appena un anno e inizia a provare noia per un mondo che rimane sì affascinato dalla sua intelligenza e mente brillante ma che non riesce a vedere in lei niente più che una potenziale musa per qualche artista viennese: «[…] Le donne potevano avere talento ma non genio…». Una realtà che le sta sempre più stretta, fino a quando sente la necessità di cambiare aria: «A Vienna non vedevo altre vette da conquistare; erano tutte al di là delle nuvole. Era un’esistenza piacevole, giocosa, quasi un vagare sonnambulo tra le diverse epoche, le generazioni e i valzer viennesi. Ma gli avvenimenti di questo mondo si svolgevano altrove e io volevo viverli». Così una sera inizia a scrivere e a mandare telegrammi a tutte le sue conoscenze chiedendo se ci fosse qualcuno disposto a farla viaggiare gratis, per pochi spicci o in cambio di lavoro; dopo tanto pregare riesce a ottenere il suo primo biglietto: da Genova a Bombay, in classe turistica. Inizia così il viaggio raccontato in La viaggiatrice leggera, un giro del mondo in solitaria compiuto da Katharina von Arx, una delle più famose giornaliste elvetiche, nell’arco di otto mesi.

Katharina von Arx

Von Arx è una donna estremamente moderna per la sua epoca e si approccia ai Paesi che visita e alla loro gente con genuina curiosità e voglia di conoscere: viaggia da sola e incontra donne e uomini di tutte le nazionalità, tutte e tutti sorpresi dal fatto che una donna bianca si stia avventurando per il mondo senza un uomo al suo fianco; si sposta grazie ai guadagni provenienti da piccoli lavori come cantare con l’ukulele, dipingere ritratti o pareti nelle case e vendere i propri disegni, o grazie alla generosità di chi avvicina. Colpisce, infatti, che per quanto si dimostrino stupiti se non anche contrariati da quello che giudicano un atteggiamento sprovveduto, tanti e tante si muovono per aiutarla nel suo percorso: da chi riesce a trovarle un posto su navi o treni grazie alle proprie conoscenze a chi le paga i biglietti di tasca propria senza pretendere nulla in cambio se non un po’ di compagnia, passando per chi è disposto a ospitarla in casa nonostante i vicini non vedano di buon occhio simili accordi. Il pregiudizio che accompagna von Arx infatti è costante, uguale sia nei conservatori abitanti dei Paesi asiatici che nei “moderni” occidentali: è per loro sconveniente che una europea venticinquenne viaggi da sola senza un valido motivo, e se viene ospitata da uomini per di più non ammogliati certo non può essere una brava donna. Sono molti quelli e quelle che nel suo viaggio le raccomandano di fare attenzione, la rimproverano per il suo atteggiamento libero e un po’ sfacciato che alimenta maldicenze e rovina la sua reputazione, la giudicano ingenua se non anche infantile. Ma lei è esattamente il contrario: non si fa illusioni, nonostante affronti questo viaggio con spavalderia è conscia dei potenziali pericoli e più volte saranno la sua intelligenza e scaltrezza che la aiuteranno a sfuggire da situazioni spiacevoli, dai numerosi pretendenti che non sempre accetteranno i suoi rifiuti a chi le fa proposte indecenti in cambio di aiuto.

Von Arx è una viaggiatrice leggera non perché si porta appresso poche cose o perché è ingenua, è “leggera di testa” perché il suo viaggio non è appesantito da alcun pregiudizio: oltre che dalla curiosità verso culture così diverse dalla sua, è guidata dalla voglia di muoversi e non rimanere più costretta nelle briglie sociali che la vogliono in un determinato modo soltanto perché è donna. Non è un caso che molte delle sue osservazioni sono dedicate alle donne dei popoli che incontra, di come esse siano considerate “brave” e rispettose di sé stesse perché pongono una barriera tra di loro e il mondo esterno, che sia attraverso un elemento fisico come un velo o rimanendo confinate in casa; tutto il contrario di lei, vista spesso come una “facile” perché viaggia da sola, a capo scoperto, senza protezione maschile, protezione che rifiuta più volte nel corso della sua avventura suscitando scandalo e incomprensioni. Non c’è una motivazione politica dietro i gesti di von Arx ma è innegabile una certa insofferenza provata nei confronti di tutte quelle aspettative riposte su di lei soltanto per il suo sesso, con cui deve costantemente fare i conti e a cui cerca di sfuggire spostandosi in continuazione, senza mai ancorarsi ad un luogo. Quelle «vette al di là delle nuvole» che le hanno reso insopportabile l’ambiente viennese rimangono insormontabili quando le si palesano davanti sempre gli stessi problemi: uomini ingombranti che la trattano come se non fosse un essere pensante e che più di una volta si dimostrano un potenziale pericolo. Von Arx, smaliziata e arguta, non di rado si approfitta di queste cotte per poter proseguire il viaggio ma sempre tenendo questi uomini a debita distanza grazie alla sua ironia, temprata dalle interazioni con gli spocchiosi artisti dell’Accademia di belle arti – anche se, nonostante il taglio ironico, è evidente la paura che deve aver provato in più di un’occasione. Von Arx vuole la libertà di flirtare con alcuni uomini e di respingerne altri, un fatto inconcepibile negli anni Cinquanta per le persone che incontra e tema dolorosamente attuale; reclama la possibilità di dire quello che vuole e come vuole, mettendo al proprio posto uomini che credono di poter avanzare pretese su di lei solo perché ha permesso ad alcuni di corteggiarla, demolendo pregiudizi sia in Oriente che in Occidente.

Alla fine, però, anche viaggiare la stufa: «Con il tempo molte cose perdono la loro attrattiva; anche i paesi stranieri», dice mentre si trova in Giappone, «nel paese più straniero dei paesi stranieri, tutta quella estraneità mi venne a noia». In America ha modo di raccontare le proprie avventure ad alcune testate giornalistiche, assetate di sapere i particolari più piccanti e prontamente deluse quando von Arx denuncia il maschilismo subìto. Ancora una volta mette in evidenza il perbenismo di una società che pende dalle sue labbra per sapere delle sue avventure con uomini per poterla poi accusare di essere una poco di buono, che si infastidisce quando non solo la viaggiatrice non l’accontenta ma anzi rimarca gli atteggiamenti scorretti e discriminatori affrontati nel corso del viaggio. Tornata a casa Katharina von Arx scriverà La viaggiatrice leggera, pubblicato nel 1956, accompagnando il testo con dei disegni che rappresentano i particolari che più l’hanno colpita. Una lettura scorrevole e irriverente, che dimostra al lettore o alla lettrice che anche una donna può fare viaggi in solitaria con il giusto spirito di intraprendenza.

Katharina Von Arz

La viaggiatrice Leggera

L’orma editore, Roma, 2019

pp. 228

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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