Il 13 dicembre si è tenuto a Padova il seminario “Genere e lavoro tra public history e didattica della storia”, organizzato dalla Società italiana delle storiche.
I lavori sono stati introdotti dalla presentazione del nuovo sito della Società nel quale troviamo alcune sezioni dedicate alla didattica della storia, ai materiali didattici di consultazione, alle iniziative promosse dall’associazione e ai laboratori realizzati nelle scuole di ogni ordine e grado per l’alfabetizzazione al diritto del lavoro, il suo orientamento, il contrasto agli stereotipi e alla violenza di genere.
Le esperienze e le relazioni condivise dalle/dai docenti nel corso dell’incontro hanno fornito spunti di riflessione per la realizzazione di una didattica della storia innovativa, efficace e incisiva nel raggiungere obiettivi predefiniti, per la formazione degli/delle insegnanti, per la progettazione didattica disciplinare e interdisciplinare e per il superamento di alcune criticità scolastiche.
Per creare interesse e coinvolgere gli/le studenti è fondamentale la scelta di metodologie e strumenti idonei, tra questi la tecnologia, divenuta essenziale per intrecciare storie di vita e veicolare contenuti storici remoti. Attraverso l’utilizzo di fonti narrative, fotografiche, epistolari e autobiografiche si possono condurre i/le giovani in un dialogo che li pone nella condizione di interrogarsi sugli avvenimenti delle diverse epoche. Coinvolgere nella narrazione le esperienze individuali ed esistenziali, comprese quelle personali e familiari, fornisce elementi per analizzare l’importanza delle scelte compiute e il legame tra passato e presente.
In riferimento al lavoro, alla formazione professionale da un punto di vista di genere e all’evoluzione di questi ambiti, la storia è costellata di discriminazioni e di tentativi di superarle. Tutt’oggi persiste il problema della percezione del lavoro delle donne nella società. Da alcune ricerche pubblicate su Vox, l’osservatorio italiano sui diritti, emerge che, tra le tematiche dei discorsi d’odio, quelli rivolti alle donne dal 2020 sono al primo posto. Attualmente, l’odio espresso in maggiore percentuale nei loro confronti non riguarda l’aspetto fisico ma quello lavorativo, ambito nel quale esse vengono definite come incompetenti e incapaci: un problema per la società.
Tra le tante biografie femminili emerse durante l’incontro, ne sono state analizzate alcune caratterizzate da una dimensione transnazionale per cause politiche, professionali e familiari. Si avverte il bisogno di aprire e diffondere nelle scuole gli archivi delle fonti femminili: dai documenti auto narrativi, diari, epistolari e memorie, emergono riflessioni acute, complesse e disincantate sulla realtà del lavoro. Quest’ultimo, insieme al vissuto delle donne, è caratterizzato da una connotazione politica che si esplica anche al di fuori o ai margini delle istituzioni pubbliche, nello svolgimento di ruoli e professioni storicamente determinanti, come quelli educativi e di assistenza sociale. Nell’ambiente scolastico, la militanza femminile ha ricoperto ruoli fondamentali in momenti storici cruciali come la Resistenza, quando la connessione tra lavoro educativo e impegno politico era necessaria, quasi inestricabile.
All’epoca, il lavoro educativo ha permesso, soprattutto alle donne di ritorno dall’esilio, di diventare portatrici in Italia di nuovi movimenti pedagogici sviluppati tra Stati Uniti, Francia e Svizzera nei decenni precedenti. L’attuazione di nuove esperienze e proposte scolastiche d’avanguardia, anche se solo attraverso iniziative locali e minoritarie, offrirono spunti di rinnovamento della scuola pubblica che convogliarono nella riforma degli anni Sessanta e Settanta.
L’attuale quadro normativo del primo ciclo di istruzione sottolinea il ruolo centrale dei media, dei nuovi sistemi di comunicazione e multimediali nel veicolare e consolidare l’immagine stereotipata dei ruoli maschili e femminili, presentandoli rispettivamente come lavoratori e custodi del focolare, produttori di reddito e persone a carico, persone produttive e inattive, e così via. In effetti, dalla pratica didattica emerge che i bambini e le bambine considerano il lavoro di cura una funzione naturale della donna e la femminilizzazione della professione insegnante viene interpretata come una sua estensione. Si rende perciò urgente un’educazione non sessista, che agisca sui curricoli scolastici, sullo squilibrio tra i sessi presente nei manuali, che favorisca l’apprendimento del percorso delle donne e del loro contributo nella storia del lavoro. Di fatto, questi propositi restano inattesi perché non sostenuti da politiche di riforma della scuola e da piani finanziari adeguati alla formazione dei e delle docenti. L’insegnamento della storia resta ancora appiattito sullo studio dei manuali, su una didattica trasmissiva e poco concentrata sul presente.
Lo studio della storia nella scuola primaria spazia dalla Preistoria alla fine dell’Impero Romano, nella scuola secondaria di primo grado dal Medioevo all’Età contemporanea. Di conseguenza, il rispetto di queste indicazioni temporali rende difficili i collegamenti con il presente e riduce le possibilità di apertura e di confronto con la contemporaneità che restano iniziativa di singole/i insegnanti. I/le studenti della scuola primaria terminano il ciclo senza possedere quadri storici di riferimento relativi alla storia più recente e senza l’apprendimento delle competenze di cittadinanza collegate e richieste dalle normative. Non viene attuata una continuità effettiva all’insegnamento della storia nel primo ciclo scolastico perché la scuola secondaria di primo grado, pur essendo associata alla scuola primaria, nella didattica della storia si associa più alla scuola secondaria di secondo grado, tant’è che i docenti della secondaria di primo grado sono formati come quelli della secondaria di secondo grado.
Altro aspetto assente nell’insegnamento della storia, contemporanea e non, è la conflittualità sociale: la narrazione riguarda i conflitti nazionali e dinastici, ma manca delle contrapposizioni interne delle società, come quelle tra le classi sociali o tra i generi, condotte per la conquista di diritti anche nel mondo del lavoro. Attraverso tali spunti si potrebbero ottenere più prospettive di insegnamento, il superamento di importanti pregiudizi, come la vittimizzazione del femminile, o errate convinzioni, come l’apparizione delle donne nel mondo del lavoro solo a partire dalla Prima guerra mondiale a causa delle necessità dettate dal conflitto.
Tra le visioni delle culture del lavoro spesso non emerge la voce delle classi basse. La rappresentazione del lavoro femminile, infatti, è stata condizionata da norme morali di appartenenza a determinati ceti sociali: ad esempio, l’immagine della donna dedita quasi esclusivamente a compiti materni appartiene a una visione di tipo borghese, mentre sappiamo con certezza che le donne appartenenti al mondo contadino non sono mai state protette dalle fatiche del lavoro e anzi, hanno sempre partecipato alle attività dei campi in aggiunta a quelle strettamente familiari. Introdurre nuove narrazioni storiche, anche di questo tipo, aiuterebbe a scardinare le gabbie cronologiche e tematiche del lavoro delle donne, della loro presenza nelle società, degli spazi attraversati e dei ruoli modellati.
L’importanza della storia del lavoro come materia di apprendimento s’intuisce anche dal fatto che esso è ormai parte costituente della scuola. Per gli/le studenti che frequentano gli ultimi tre anni di scuola secondaria di secondo grado è previsto il Percorso di alternanza scuola-lavoro (attuale Pcto): per un numero di ore piuttosto cospicuo si recano nelle aziende per svolgere determinate mansioni. La riforma degli istituti tecnici e professionali che partirà dal prossimo anno scolastico (OrientaMenti, finanziato dalla Comunità europea) prevede l’anticipazione delle esperienze lavorative per studenti già al secondo anno e la formazione dei/delle docenti da parte delle aziende. È evidente che la scuola non viene più intesa come luogo di formazione di cittadine e cittadini, ma di persone che abbiano delle competenze professionali ben spendibili nel mercato.
In questo panorama è cruciale riflettere sul tema del lavoro in modo critico, portare in classe una storia del lavoro attenta alle donne e al genere, ragionare sulla distanza tra normativa e situazione effettiva di lavoratori e lavoratrici, contribuire allo sviluppo della consapevolezza dei diritti. Introdurre la didattica del lavoro in una prospettiva di genere e con un’attenzione alla storia delle donne non significa solo integrare la didattica stessa con un tema in più, ma anche rinnovarla attraverso una visione di sé, del contesto di appartenenza e del mondo più egualitaria e giusta per tutte le persone.
La scuola può ancora essere considerata luogo d’elezione per la formazione di cittadini e cittadine autonome, consapevoli e responsabili: la libertà esperita nello spazio scolastico, le regole condivise, le conoscenze teoriche e pratiche, sono elementi determinanti per l’alfabetizzazione democratica delle nuove generazioni. Restano quindi auspicabili azioni, dibattiti, iniziative che, partendo dalla società civile, vadano a sollecitare in modo innovativo il ruolo e la funzione della didattica della storia.
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Articolo di Michela Di Caro

Originaria di Matera, vivo a Firenze da 15 anni. Studente, femminista, docente di sostegno di Scuola Secondaria di II grado, sono fisioterapista libera professionista e mamma di tre piccole donne.
