La strana sensazione di essere simili

Il secondo incontro di Parlarne tra amiche. Raccontarsi e ri-conoscersi nella relazione con le altre organizzata da “Sguardi sulle differenze” e intitolata La strana sensazione di essere simili. L’amicizia tra Katherine Mansfield e Virginia Woolf, prevede gli interventi di Maria Rosa Cutrufelli, Eleonora Carinci, Chiara Maciocci e Sara Simeone, ed è un dibattito attorno al libro Nessuna come lei. Katherine Mansfield e Virginia Woolf, di cui Simeone è autrice.

Uscito per Neri Pozza e vincitore del premio Rapallo per la saggistica, il volume ricostruisce il complesso rapporto fra due dei nomi più importanti della letteratura inglese novecentesca: Katherine Mansfield e Virginia Woolf. È noto che lo scambio tra loro fu fitto e ricco e che ne influenzò fortemente la produzione artistica ancor di più dell’ambiente in cui operavano. Come spesso accade, visto che erano due donne, quelle rare volte in cui la critica letteraria se ne è occupata lo ha fatto parlandone come se il rapporto si basasse su invidie e gelosie, col risultato di far passare le due autrici per frivole primedonne. Simeone, che è dottoranda alla Normale di Pisa e che da anni si occupa della scrittura femminile ― è anche curatrice dell’edizione italiana dei diari di Mansfield ― ha invece voluto dare giustizia a un legame alla cui base, nonostante le diatribe, ci sono sempre stati rispetto e stima.  

Virginia Woolf

Virginia Woolf, nata Stephen, è quella che tra le due ha bisogno di meno presentazioni: nata a Londra nel 1882, è stata scrittrice, saggista e attivista; tra i suoi romanzi più famosi si annoverano Orlando, Gita al faro, La signora Dalloway e l’opera saggistica Una stanza tutta per sé. Katherine Mansfield Beuchamp, nata a Wellington, in Nuova Zelanda, nel 1888, è stata scrittrice e giornalista (vedi Vv n.240). Forse per allontanarla dalle relazioni con Maata Mahupuku e Edith Kathleen Bendall, la madre Annie le impose di andare in Europa nel 1908, dove Mansfield adottò uno stile di vita bohemien; entrò in una relazione con Garnet Trowell, fratello di una sua vecchia fiamma, ma i due si lasciarono dopo che lei scoprì di essere incinta. Annie, conosciuta la tresca, la mandò in Baviera, dove Mansfield ebbe un aborto spontaneo e dove per la prima volta lesse i testi di Anton Cechov, che ebbero un impatto significativo sulla sua produzione artistica. Si avvicinò poi ai movimenti modernisti, entrando a far parte del Bloomsbury Group, un gruppo di artisti operante nell’omonimo quartiere londinese e che si ritrovava regolarmente a casa di Virginia Woolf e di suo marito. Nel 1917, dopo aver perso il fratello in guerra, si ammalò di tubercolosi, la malattia che la condusse a una morte prematura a soli 34 anni ma che non la fermò dallo scrivere: mentre si muoveva tra Inghilterra, Francia e Italia per trovare sollievo dai sintomi con il cambio delle stagioni, scrisse Je ne parle pas français, Bliss, The Man Without a Temperament, e la collezione The Garden Party and Other Stories, lavori che mescolano la finzione letteraria a eventi realmente accaduti.  

Katherine Mansfield

Rispetto alla sua amica Woolf, Mansfield è meno famosa in Italia, essendo i racconti brevi meno letti rispetto ai romanzi, ed erroneamente rinchiusa nell’etichetta di “autrice di storie per donne”, implicando una frivolezza della produzione che in realtà non esiste: esplora infatti temi per l’epoca tabù come l’ansia e la malattia mentale, la sessualità, la sua identità di donna neozelandese, dimostrando un’introspezione che non si allontana molto da quella dell’amica e rivale Woolf. Il lavoro di Simeone è quindi un tentativo di ridare dignità non solo alla storia di un’amicizia, ma anche di fare uscire dalla gabbia degli stereotipi di genere il lavoro della scrittrice.  

Nel corso del dibattito tra l’autrice e le ospiti emerge assai spesso la parola “empatia”. Come Cutrufelli sottolinea, “empatia” viene raramente usata dalla critica letteraria, nonostante sia questa innata capacità di immedesimarci nell’altro o nell’altra che ci permette di comprendere le storie altrui e di narrarle. Il processo empatico è unico per ogni persona e per questo le stesse parole scritte possono suscitare sentimenti diversi in persone diverse; tenere a mente ciò è fondamentale per comprendere il lavoro di Simeone su Mansfield e Woolf e come sia riuscita a restituire loro profondità e tridimensionalità attraverso un dialogo che prescinde lo spazio e il tempo. Il legame tra queste due autrici, peraltro, non può essere ridotto alla semplice amicizia: esso si nutriva di competizione, ma anche di comprensione dell’altra e del cosa significhi scrivere ed essere una scrittrice, la cui importanza fu tale da influenzare Woolf anche dopo la dipartita di Mansfield.  

Simeone spiega di aver pensato la propria opera come un ibrido tra il saggio e un testo narrativo partendo dallo studio delle due autrici, di modo da poter creare un qualcosa che permettesse di entrare in empatia con loro. Mettere insieme l’accuratezza delle fonti con lo stile narrativo non è stato semplice: più volte si è scontrata con l’editore, che avrebbe preferito un romanzo tradizionale e non voleva elementi accademici come le citazioni, che avrebbero appesantito la lettura per un pubblico non esperto. Tuttavia, per Simeone questi erano elementi fondamentali da inserire nel proprio lavoro, in modo da non appropriarsi delle parole e dei pensieri di Mansfield e Woolf o rischiare di rimaneggiarli per i propri scopi. Guidata dall’amore e dal rispetto che prova per la loro produzione, non ha voluto mitizzare le due autrici ma evidenziare tutta la loro umanità. Un impegno che, nota Carinci, dà i suoi frutti: Woolf e Mansfield emergono dalle pagine di La strana sensazione di essere simili come due veri e propri personaggi a tutto tondo, studiati attraverso la lente della loro relazione per dare alla loro scrittura delle sfaccettature nuove. 

Un rapporto che non fu privo di elementi problematici e ambiguità: Mansfield e Woolf, oltre che a essere l’una la più spietata critica dell’altra, si contesero la scena artistica dei primi del Novecento; pioniere del Modernismo, si confrontarono col fatto di essere le uniche donne “riconosciute” in un mondo di uomini. Questa rivalità, però, non è fonte di solitudine: nell’altra trovarono qualcuna in grado di comprendere i propri sentimenti, anche quelli più sgradevoli, un motore per la reciproca crescita artistica e umana. Nel mondo post Ulysses, le due sperimentano con il proprio stile, producono opere mai l’una uguale all’altra, si criticano e si consigliano. 

In questa relazione si inserisce poi Simeone, che in quel curioso processo tipico di chi scrive biografie diventa essa stessa una sorta di “amica” delle due, dialogando con loro e facendo emergere l’amore e il rispetto oltre che la rivalità. L’amicizia tra donne scrittrici è, del resto, un rapporto molto particolare, quasi mai raccontato a meno che non si sia disposte a cadere nel gossip spicciolo. Simeone, invece, restituisce vitalità a Woolf e Mansfield, mostrando quell’energia che le caratterizzava, nonostante le difficili vicissitudini personali. Il rapporto con la malattia le influenza particolarmente: Mansfield, afflitta dalla tubercolosi, sperimenta assai di più della sua amica e rivale, forse intuendo che non sarebbe ancora vissuta a lungo si concede di rischiare molto più di frequente. Woolf, al contrario, sofferente di turbe psichiche che la porteranno a porre fine alla sua vita a 59 anni, si prende parecchio più tempo, è più lenta nella sua evoluzione, cosa che causa numerosi rimproveri da parte dell’altra. Il loro dialogo si fonda sull’empatia, uno schema di amicizia che sovverte quello che in genere viene raccontato da biografe/i e le normali relazioni tra scrittori e/o scrittrici.  

Mansfield e Woolf morirono precocemente, ma ciò non deve portare a pensare alla loro vita come tragica: entrambe vissero al pieno delle loro possibilità; dove Woolf ha con la realtà un rapporto meno diretto, Mansfield la insegue a tratti quasi disperata, ma entrambe sempre si confrontano e mantengono il dialogo, l’una è fondamentale per la produzione artistica dell’altra. Raccontarle come mere rivali è un disservizio, un impoverimento del loro lavoro continuato per troppo tempo, a cui opere come quella di Simeone contribuiscono a porre fine.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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