L’ideologia gender è pericolosa 

Della teoria del Gender e della sua presunta pericolosità sentii parlare per la prima volta più di dieci anni fa, a scuola. Avevamo finalmente deciso di organizzare un corso sulla educazione alla differenza di genere, che era stato approvato senza grandi difficoltà in Collegio dei docenti. Il progetto fu bocciato in Consiglio di Istituto a causa di una lettera firmata da molti genitori e proposta dall’allora Presidente del Consiglio di istituto, un cattolico integralista. Fino a quel momento avevo associato il termine Gender ai Gender Studies di cui avevo cominciato a interessarmi dopo avere esaminato la Carta di Pechino nella Commissione Pari opportunità della scuola in cui insegnavo. Ne parlavo spesso con una mia cara amica, emigrata nel New Hampshire, la professoressa Graziella Parati, che negli States era riuscita ad avere quel riconoscimento dei suoi meriti, impossibile da raggiungere nelle nostre Università chiuse e provinciali. 
Questa lettera mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Chiesi lumi al collega di religione, che conoscevo come persona aperta, e la risposta che mi diede mi spiazzò: «Sara — mi disse —, la paura dei genitori è che dietro questi corsi si celino teorie che diffondono la possibilità, per bambini e bambine, ragazzi e ragazze, di cambiare sesso secondo il proprio capriccio». Sinceramente stupita, cercai di ribattere leggendogli il nome delle relatrici e le tematiche che avremmo affrontato, ma non riuscii a convincerlo. Era preoccupatissimo e come spaventato. Non riuscivo più a vedere il lui quel prezioso alleato che nei Consigli di classe mostrava di essere uno dei pochi docenti che “vedevano” le e gli studenti. Vissi quella lettera e le affermazioni in essa contenute come una sconfitta bruciante, ma capii presto che il Preside di allora non aveva intenzione alcuna di creare un caso che poteva nuocere all’immagine della nostra tranquilla scuola di provincia, cui si perdonavano i seminari e le lezioni antimafia o quelle sulla Costituzione, ma guai a pronunciare la parola “genere”. Non ci fu nulla da fare. Anche per questo leggere L’ideologia Gender è pericolosa della storica Laura Schettini è stata per me un’occasione insperata per capire come era nata e come si era potuta sviluppare questa fantomatica “teoria del Gender”. 

Laura Schettini è stata nel Direttivo della Società delle storiche, insegna Storia delle Donne e di genere all’Università di Padova dove è anche ricercatrice, è redattrice della rivista Genesis della Società delle storiche e ha scritto molti libri su temi femminili. 

Il libro che vado a recensire fa parte di una nuova collana di Laterza, Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti, curata da Carlo Greppi, una collana necessaria a smontare le fake news, o più prosaicamente bufale, che quotidianamente imperversano sui media e sui social. Come sempre Laterza dimostra ottime antenne per intercettare le sfide e i pericoli della contemporaneità e affida a una storica, docente universitaria di Storia delle donne e di genere, il debunking della ideologia del Gender. Nell’introduzione al libro Schettini ricorda che «la categoria del genere è stata introdotta nelle scienze umane dagli studi femministi degli anni Ottanta, sostanzialmente per dire che la subalternità giuridica, sociale, culturale economica delle donne nella storia non era correlata a una specifica natura femminile, ma era una questione politica, una dinamica di potere che si era costruita nel tempo». Purtroppo nella «post sfera pubblica piattaformizzata», in cui tutte le questioni si misurano e quasi si esauriscono sulle piattaforme, in occasione della discussione sul Ddl Zan mai approvato in Senato, la polarizzazione tra chi lo difendeva, parlando di diritti, e chi lo osteggiava esprimendo la paura che questo disegno di legge minasse il ruolo della famiglia “naturale”, raggiunse livelli altissimi e fece prendere posizione a molte persone che del tema non avevano alcuna conoscenza. 
Chi più di una storica può contribuire a fare luce su questi temi? Ben venga allora questo saggio necessario. Leggiamolo con l’attenzione e con la lentezza dovute, perché si tratta di un testo fondamentale. 

Oggi l’area dello scontro è chiara, secondo la ricercatrice dell’Università di Padova: «include le tensioni relative ai rapporti di potere e alle diseguaglianze tra uomini e donne, alle forme della famiglia, al controllo della riproduzione, alla concezione stessa dell’identità sessuale umana, ma anche più prosaicamente al modo in cui le persone vivono ed esprimono la libertà sessuale e le relazioni affettive…». Chi parla di attacco alla famiglia naturale, di ruolo delle donne nella società come spose e madri, di eterosessualità come normalità, minimizza ed eclissa da tempo, nel dibattito pubblico, la critica del patriarcato, e propone invece all’opinione pubblica il gender come un pericolo in primis per le donne. L’ideologia del gender è anche una reazione alla presenza, nella scena pubblica e nella vita politica, di modelli sessuali diversi da quello eterosessuale, considerato “normale” o “naturale”. 

Il libro si divide in tre capitoli: il primo, Confusioni di genere, è quello che mi ha appassionata di più, dato il mio approccio traumatico all’ideologia del gender. Titolo azzeccato per sottolineare quanta confusione ci sia in coloro che si oppongono alla presunta ideologia del gender e che, ogni volta che viene loro chiesto che cosa sia, si impappinano (Presidente del consiglio compresa) senza riuscire a darne una definizione, fermi però sulla necessità che il “gender” non debba assolutamente entrare nelle scuole.  

La cosiddetta ideologia del gender nasce come reazione della Chiesa cattolica alla Conferenza mondiale delle donne di Pechino e, prima ancora, a quella su popolazione e sviluppo del Cairo. Sull’onda degli scritti della giornalista e scrittrice statunitense Dale O’Leary, ultracattolica e militante dei movimenti pro-life e pro-family, fatti circolare proprio durante la Conferenza del 1995, esiste un femminismo buono o dell’equità, verso il quale si può essere favorevoli perché propone l’uguaglianza morale e giuridica tra i sessi, riconoscendo la diversità biologica tra uomini e donne, base dei diversi ruoli sociali. C’è poi il male assoluto, il gender feminism, identificato «nei femminismi sviluppatisi a partire dagli anni Sessanta che si sono schierati contro il patriarcato, la famiglia, la maternità, promuovendo omosessualità e aborto». In quel pamphlet sono racchiusi moltissimi dei ritornelli di quella che è diventata l’ideologia del gender. Secondo questa impostazione l’agenda gender punterebbe a far scomparire le differenze “naturali” tra i due sessi, proponendo un modello nuovo di donna, che insegue quello maschile. Leary si batte contro le femministe radicali che a Pechino hanno fatto entrare nella Piattaforma finale termini come “genere” invece di “sesso”, “ruolo” invece di “vocazione” e altro. Nei suoi ultimi sviluppi le vittime di questa ideologia, che ha visto alleati i cattolici conservatori integralisti e le destre populiste, sarebbero proprio le donne, in quanto defraudate, in nome di un’uguaglianza male interpretata, dell’unico potere di cui sono «naturalmente titolari: il potere riproduttivo». Secondo questa narrazione, molto astuta, recentemente sostenuta anche dalla Ministra Roccella, l’ideologia gender sarebbe quindi contro le donne e i loro diritti. Le femministe sarebbero il capro espiatorio per tutto: la denatalità, la mancata conquista della parità salariale e molto altro. Da questa vulgata sparisce improvvisamente il termine “patriarcato” e il focus si sposta sui presunti ispiratori dell’ideologia gender: soggetti potentissimi, ricchi, intellettuali, emissari del neoliberismo, di cui le donne sarebbero le vittime designate. Oggi molte persone, soprattutto tra le giovani generazioni, proprio in contrapposizione a questa narrazione, si definiscono queer, muovendosi tra omosessualità e eterosessualità, tra maschile e femminile. Nascono nuovi termini: non binario, gender fluid, gender queer, transfemminista, asessuale, aromantico ecc. 

Tra i paragrafi più interessanti di questo capitolo c’è l’approfondimento sulla guerra del maschile/femminile nella lingua italiana. In Si tratta solo di finali Schettini affronta uno dei temi che stanno più a cuore alla nostra associazione, quello della sessualizzazione del linguaggio. Se ne consiglia vivamente la lettura perché ripercorre il cammino delle donne e delle persone non binarie per uscire dall’invisibilità causata dal maschile sovraesteso: si affronta il tema del sessismo nella lingua italiana, riportando e commentando importanti riflessioni di Alma Sabatini, autrice delle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, accennando alle ragioni dell’uso dello schwa e di altri suffissi provenienti dalla galassia Lgbt. La lingua, ricordava Sabatini nel 1987, è una struttura dinamica, che cambia in continuazione: ma mentre per alcuni neologismi o termini stranieri le persone mostrano simpatia, altre parole incontrano aperta ostilità o paura e sono vissute come un attentato diretto e personale. Questo accade nei confronti delle istanze di “femminilizzazione” della lingua che è, a tutti gli effetti, una questione politica che rimanda ai rapporti di potere basati sul genere.  

Il secondo capitolo si occupa della storia del genere prima e oltre l’ideologia del gender e in particolare della storia delle donne, non a caso nata non nelle Università ma nei centri di documentazione, nelle librerie delle donne, nelle case editrici, nelle biblioteche. Vi incontriamo gli scritti sulla caccia alle streghe, sulla Resistenza taciuta delle donne, sulle deportazioni femminili, quelli sulle donne del Risorgimento, le riflessioni sullo stupro nella storia e in guerra, sulla violenza sessuale, sul parto, sulla gravidanza, sulla maternità, sul matrimonio, sulla segregazione sessuale e tanto altro, tutto ricostruibile attraverso la ricchissima bibliografia ragionata consultabile alla fine del libro, un contributo prezioso e un regalo inaspettato che farà piacere a molte/i di noi. Da segnalare l’approfondimento sullo stupro tratto da libro di Brownmiller. 
Il genere insomma, secondo Schettini, non è un tema ma una lente molto speciale che allarga lo sguardo e permette di vedere la molteplicità dei soggetti sulla scena storica, le relazioni sociali e i rapporti di potere, facendo della differenza sessuale il suo oggetto di analisi privilegiato. Il genere non significa affatto la fine della differenza sessuale, come sostengono gli inventori della ideologia del gender, ma «fa della differenza sessuale il suo oggetto di analisi privilegiato» e l’autrice, che fa parte della Società delle storiche, lo dimostra sostenendo come la categoria di genere non abbia minato la possibilità di sviluppare una critica femminista al patriarcato. Anzi «ha indagato i significati nel tempo all’essere donna e all’essere uomo; ha guardato a come i modelli di mascolinità e femminilità, le rappresentazioni e gli imperativi di genere sono cambiati nel tempo e come si differenziano in una stessa società a seconda di variabili come il colore della pelle, la classe, l’età, l’orientamento sessuale; ha analizzato e svelato come le retoriche di genere e le politiche sessuali abbiano giocato un ruolo primario nei processi storici: non solo nella storia del patriarcato o della famiglia, ma nella storia dell’imperialismo, del colonialismo, del lavoro, delle guerre, dei totalitarismi, delle migrazioni». 

Nel terzo capitolo la redattrice della rivista Genesis della Società delle storiche affronta la storia dell’ideologia del gender, quella che propugna un solo tipo di famiglia, considerata naturale, un solo tipo di sessualità e modelli di mascolinità e femminilità unici. Un capitolo che si caratterizza per la grande empatia verso le persone non binarie, ne racconta la storia di sofferenze, repressioni, persecuzioni, prevaricazioni e stigmatizzazioni e la confronta con un modello di famiglia e di donna che oggi forse sono minoritarie nella società. Testimonia però anche «la fioritura, già dalla fine dell’Ottocento, di luoghi di ritrovo, esibizione, incontro, sperimentazione artistica, vacanza e di sodalizi politici» per portare avanti le rivendicazioni dei diritti per queste persone. 

L’ideologia del gender è un pericolo? si chiede Schettini nelle Conclusioni. È davvero a rischio l’identità sessuale dei nostri bambini e delle nostre bambine? Davvero è in atto un progetto globale per farci diventare tutti “fluidi” e fluide, tutti queer? La conclusione del ragionamento è provocatoria ma estremamente convincente. Ai lettori e alle lettrici il piacere di scoprirla. 

Mi piace chiudere con questo pensiero di Schettini, che affido alle riflessioni di chi leggerà il suo saggio prezioso: «Che nel “gender” si individui la minaccia alla stabilità e alla salute nazionale o, al contrario, che di esso si faccia la leva della sovversione dell’ordine patriarcale e della realizzazione della propria rivoluzione personale, ora ci è chiaro che il conflitto intorno a questi temi sarà tanto più acceso quanto più la tenuta della nazione e dell’organizzazione sociale sarà affidata all’ordine di genere». 

Laura Schettini

L’ideologia gender è pericolosa

Edizione Laterza, Roma, 2023

pp.160

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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