Chiunque voglia approfondire il mercato del lavoro e le questioni di genere non può non imbattersi negli studi di Claudia Goldin, l’economista che abbiamo scelto per questo articolo della nostra serie “Credito alle donne”. E di credito, nel senso di credibilità e autorevolezza, la professoressa Goldin, prima donna titolare di una cattedra di Economia a Harvard, ne ha avuto davvero tanto, ricevendo il Premio Nobel per l’economia nell’ottobre 2023, per la prima volta nella storia senza doverlo condividere con uno o più uomini. Un simile riconoscimento non è stato concesso alle economiste che l’hanno preceduta in questo traguardo, Elinor Ostrom (2009) ed Esther Duflo (2019), una svolta importante che fa ben sperare per il futuro. Questa la motivazione del premio: «Per il suo ruolo nell’aver accresciuto le nostre conoscenze sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Donne che sono ampiamente sottorappresentate nel mercato del lavoro globale e, quando lavorano, guadagnano meno degli uomini». Goldin, esperta storica e innovatrice, ha saputo unire sapientemente la logica economica ai dati storici e statistici per capire il ruolo delle donne nell’economia, riuscendo a comprendere a fondo le disuguaglianze e le loro ragioni.

Claudia Dale Goldin nasce nel Bronx il 14 maggio del 1946. Appassionata di animali, in particolare di cani, fin da piccola rivela una spiccata attitudine per la soluzione dei problemi e ha un sogno: diventare una scienziata. Per questo legge moltissimo e si dedica ai giochi di carte. Non si appassiona subito allo studio dell’economia: attratta dalle mummie del Museo di Scienza naturale del Bronx, pensa in un primo tempo di diventare archeologa; poi quando scopre il microscopio immagina di diventare una batteriologa. Ciò che la incuriosisce è la scoperta, ma la sua vocazione si definisce al College di Cornell, dove sceglie finalmente l’economia politica dopo aver seguito un corso del professor Alfred Edward Kahn. All’Università di Chicago si laurea in Organizzazione Industriale. Sotto la guida di Bob Fogel studia la storia americana, in particolare l’Economia dello schiavismo e il Post-guerra di Secessione. Oltre ad essere una storica e un’economista del lavoro, Goldin è anche sociologa e demografa e l’approccio multidisciplinare alle questioni economiche fa di lei una pensatrice originale e innovativa, che riserva alla prospettiva storica un ruolo fondamentale nella “scienza triste” dominata dagli uomini.
Per i suoi studi viaggia in autostop in molti Stati del Sud e avvicina le persone che la possono aiutare nelle sue ricerche, come le archiviste, spesso ricevendo da loro ospitalità in casa ed entrando nella quotidianità di ciò che studia, vivendola da vicino in prima persona. Disdegna gli alberghi e non si preoccupa di farsi rimborsare le spese di viaggio e soggiorno, ignorando di averne diritto come studiosa. Il suo metodo di indagine traccia una strada importantissima per gli studi successivi: la ricerca sul campo affiancata dalla teoria economica e dalla storia. Accede alle fonti storiche, ai diari delle persone, le intervista per cogliere le motivazioni delle loro decisioni. Come ricorda una delle sue studentesse, Goldin insegna al mondo dell’economia l’approccio «da detective» rendendo la ricerca divertente come la soluzione di un mistero, aprendo fascicoli polverosi, frugando negli archivi meno consultati e scoprendo sempre nuovi dati e inattese informazioni.
Di scuola neoclassica, Goldin, secondo la classificazione ufficiale della disciplina fornita dai codici del Journal of Economic Literature (JEL), non può definirsi un’economista femminista, ma un’economista neoclassica che da sempre si occupa di disuguaglianze di genere in economia, quindi un’economista di genere. Sia l’economia neoclassica di genere che l’economia femminista si pongono come obiettivo la comprensione della natura e delle cause del divario di genere, suggerendo misure per ridurlo; ma, mentre l’economia neoclassica di genere considera il divario tra donne e uomini all’interno della teoria del capitale umano nella famiglia e nel mercato del lavoro, l’economia femminista respinge questa impostazione e attribuisce ai fattori culturali e al patriarcato l’origine e il perdurare del divario di genere.
Con i suoi studi sui dati relativi a circa 200 anni di storia americana, focalizzandosi su bambini/e, lavoratori/trici e famiglie, l’economista detective scopre che i principali cambiamenti nella forza-lavoro sono dovuti soprattutto alle donne, aspetto completamente ignorato dagli economisti, disattenti rispetto all’evoluzione della partecipazione femminile al mondo del lavoro.
L’economista del Gender Gap dimostra che questa partecipazione non ha avuto una tendenza costante all’aumento, ma ha invece formato una curva a U, con la presenza delle donne sposate in calo nella transizione dalla società agricola a quella industriale all’inizio del diciannovesimo secolo, seguita nel Novecento da un aumento della crescita del settore dei servizi.

Secondo Goldin questo andamento è il risultato di un cambiamento strutturale e dell’evoluzione delle norme sociali sulla responsabilità femminile in casa e all’interno della famiglia. Le scienze sociali attribuiscono il declino della partecipazione delle donne al mercato del lavoro alla diffusione del modello del ‘male breadwinner’, cioè all’attribuzione di un maggior valore del reddito maschile all’interno della famiglia che ha condizionato e ispirato le politiche di welfare nelle società industriali. Considerare la famiglia come unità economica fondamentale in cui il principale percettore del reddito è il maschio, ha inevitabilmente contribuito, nelle società occidentali, a un sensibile ritardo nell’accesso femminile ai diritti giuridici e politici, elemento di cui non si sentiva la necessità dal momento che le decisioni fondamentali spettavano “naturalmente” agli uomini.
Pioniera degli studi di genere in economia, Goldin ha riflettuto sulle ragioni per le quali risultava più comune pagare a cottimo le donne rispetto agli uomini, o sul perché si ritenesse “normale” che nelle famiglie i soldi delle retribuzioni femminili andassero ai genitori anziché alle lavoratrici. Ha inoltre indagato il ruolo del lavoro di cura all’interno del nucleo familiare, interamente addossato alle donne, e il suo impatto nel mercato del lavoro. Ha osservato che le donne hanno una probabilità maggiore degli uomini di lavorare part-time e di avere carriere lavorative intermittenti, con la conseguenza di redditi più bassi e carriere molto più difficili. Nel corso del ventesimo secolo, ricorda Goldin, i livelli di istruzione femminile sono aumentati costantemente e, nella maggior parte dei Paesi ad alto reddito, sono oggi sostanzialmente superiori a quelli maschili. Tuttavia le differenze salariali persistono, anche nelle professioni che richiedono un notevole grado di istruzione. All’inizio del rapporto di lavoro il gap salariale è limitato, ma aumenta con le interruzioni di carriera per la nascita di figli e figlie. Le differenze remunerative sono quindi quasi tutte imputabili alla maternità, soprattutto per il maggiore coinvolgimento femminile nella cura della prole. Nonostante la modernizzazione, la crescita economica e l’aumento della percentuale di donne occupate nel XX secolo, per un lungo periodo di tempo il divario retributivo tra donne e uomini si è limitatamente ridotto. Secondo Goldin parte della spiegazione si deve al fatto che le decisioni in materia di istruzione, determinanti per le opportunità di carriera di un’intera vita, vengono prese in gioventù. Se le aspettative delle giovani donne si formano sulle esperienze delle generazioni precedenti – a esempio delle loro madri, rientrate nel mondo lavorativo solo al termine della crescita della prole – lo sviluppo resterà lento.
L’approfondita e articolata ricerca porta la studiosa di Harvard a individuare quattro fasi della partecipazione femminile al mercato del lavoro, tutte risalenti alla fine del Diciannovesimo secolo, e capaci di plasmarne il ruolo nell’economia statunitense. Le prime tre fasi sono state evolutive. Nonostante questa tendenza positiva, le donne hanno continuato ad avere un ruolo secondario nelle decisioni importanti dell’ufficio o della fabbrica per l’intermittenza del loro lavoro, niente di più di un contributo al mantenimento della famiglia. Poi, con la rivoluzione silenziosa (quiet revolution) della fine degli anni ’70, le donne finalmente hanno guardato al lavoro come a una parte importante della loro identità. Questa fase è stata innescata soprattutto dai maggiori investimenti nell’istruzione e da una maggiore disponibilità di contraccettivi. In questa fase la partecipazione femminile è diventata più continuativa e di lungo periodo, le decisioni sul luogo di lavoro hanno tenuto in maggiore considerazione le opinioni delle donne e spesso sono state prese insieme a loro.
L’economista del Gender Gap è stata fondamentale negli studi sulle donne e sul lavoro in economia, offrendo un’originale prospettiva storica alla teoria economica. Lavorando con Larry Katz ha peraltro condotto anche importanti studi su istruzione, tecnologia, immigrazione e sui gravi danni della disparità salariale.
Le analisi di genere di Goldin sono state preziose proprio perché hanno studiato temi attuali con lo sguardo rivolto al passato, alla ricerca delle radici dei fenomeni indagati. I suoi studi, pur se in parte criticabili per alcuni assunti derivanti dall’impostazione neoclassica, unendo la storia e l’economia hanno stimolato altre ricerche e altri metodi, capaci di far emergere la parte femminile della storia e del pensiero economico, per troppo tempo nascosta.
Come prima donna titolare di una cattedra a Harvard, ha interpretato con passione e dedizione il suo ruolo di guida delle nuove generazioni di economisti ed economiste. Affabile, sorridente, divertente, poco seriosa, ha contribuito a far perdere all’economia politica l’appellativo di «triste scienza» a cui l’aveva condannata la scuola neoclassica, introducendo l’allegria nell’economia, come sottolineano alcuni suoi colleghi e colleghe di università.
Goldin ha sintetizzato i suoi studi in molti saggi. I principali sono Understanding the Gender Gap: An Economic History of American Women del 1990, e Career and Family: Women’s Century-Long Journey toward Equity, del 2021. In questo contributo l’economista del Bronx ha introdotto anche il concetto di “lavoro avido”, un tipo di lavoro strettamente legato alla produttività, che paga di più chi lavora per più ore o in determinate fasce orarie, come il fine settimana. Ciò penalizza le donne che hanno meno tempo da investire nel luogo di lavoro. Se saranno costrette a scegliere questo tipo di incombenze continueranno sicuramente a essere pagate di meno.
Dopo avere insegnato in molte Università (Princeton Pennsylvania, Wisconsin-Madison) oggi Goldin è Professor of Economics a Harvard. Condirettrice del Gender in the Economy Study Group del National Bureau of Economic Research americano, nel 2014 ha fondato l’Undergraduate Women in Economics Program, una grande iniziativa per incentivare le donne a studiare Economia politica. La studiosa statunitense è stata presidente dell’American Economic Association nel 2013/2014 e in questa veste ha incoraggiato le attività dirette a incrementare in campo accademico il numero delle studiose di economia, sia tra studenti che tra docenti. Come ricordano le autrici e l’autore dell’articolo Un’economista da Premio Nobel, pubblicato su Ingenere del 13 ottobre 2023 e contemporaneamente su Micromega.net, «la lenta progressione della carriera delle economiste è anche legata a fattori istituzionali. Infatti, negli ultimi anni si sono diffuse pratiche di valutazione della ricerca che condizionano l’accesso e la progressione nelle università, basati su quelli che vengono definiti criteri oggettivi di eccellenza (come il numero delle citazioni e una rigida gerarchia delle pubblicazioni). Queste pratiche hanno scoraggiato studi in campi come la storia del pensiero economico, gli approcci eterodossi e praticamente tutti i lavori che esplorano temi di ricerca innovativi, non convenzionali o semplicemente meno alla moda», penalizzando una volta di più le donne, che in gran parte sono attratte dall’approfondimento di questi temi, trascurati dal pensiero maschile.
Goldin è stata presidente dell’Economic History Association nel 1999/2000. Partecipa a numerose organizzazioni, tra cui l’American Academy of Political and Social Science, la Society of Labor Economists, l’Econometric Society e l’American Academy of Arts and Sciences, oltre che la National Academy of Sciences.
Come è stato affermato in occasione della sua designazione al Nobel per l’Economia: «La sua ricerca storica, che abbraccia un periodo di duecento anni fino ai giorni nostri, analizza sia il cambiamento sia i motivi che sono alla base del persistente gender gap». Comprendere il ruolo delle donne nel mondo del lavoro è importante per la società, secondo il comitato per il Nobel: «Grazie alla ricerca innovativa di Claudia Goldin ora sappiamo molto di più sui fattori sottostanti e su quali ostacoli potrebbe essere necessario affrontare e superare ancora in futuro».
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
