Gertrude ‘Ma’ Rainey. La madre del blues 

«Sono uscita ieri sera con un mucchio di persone care, 
dovevano essere donne, perché gli uomini non mi piacciono. 
È vero: indosso il colletto e la cravatta, 
è come avere il vento in poppa. 
Perché dici che lo faccio, nessuno mi ha beccata. 
Di sicuro devi dimostrarlo: 
tu dici che lo faccio, ma nessuno mi ha beccata. 
Di sicuro devi dimostrarlo». 
(Strofa di Prove It On Me Blues, brano registrato da Ma’ Rainey nel giugno 1928). 

Pubblicità Paramount per il brano di ‘Ma’ Rainey Prove It On Me Blues (1928). Si noti la donna di colore in abiti in parte maschili, a sinistra 

Gertrude Pridgett nasce a Columbus, Georgia, il 26 aprile 1886, figlia di due artisti minstrels itineranti, Thomas Pridgett Sr. ed Ella Allen-Pridgett. 
A quattordici anni entra a far parte di un gruppo teatrale di vaudeville e debutta all’Opera House di Columbus nello show The Bunch of Blackberries, che riscuote un discreto successo; attira l’attenzione di Will Rainey, detto ‘Pa’, lui pure uomo di spettacolo. La coppia dà vita a un gruppo chiamato Rabbit Foot Minstrels, che si esibisce in un repertorio misto di canzoni popolari e blues: uno degli spettacoli, con marcate influenze del vaudeville, reca lo spiritoso titolo The assassinators of the blues. Per un certo periodo, siamo nel 1912, farà parte della compagnia anche Bessie Smith, all’inizio della carriera. 
La stessa ‘Ma’ Rainey (che assume il soprannome dopo il matrimonio con ‘Pa’) racconta di aver ascoltato a St. Louis una donna cantare una canzone triste su un uomo che lascia una ragazza; dopo averne sistemato le parole e la musica, l’artista aggiunge quel brano, per il quale in seguito più volte sosterrà di aver coniato il termine ‘blues’, al proprio repertorio. La canzone viene intitolata See See Rider e qualche anno dopo, il 16 ottobre 1924, Gertrude ne registra la prima versione conosciuta, accompagnata, tra gli altri, da un giovane Louis Armstrong. 

«Sono così infelice, 
mi sento così triste, 
sono sempre depressa. 
Ho fatto uno sbaglio, 
subito, all’inizio. 
Oh, sembra così difficile separarsi. 
Oh, ma questa lettera 
che io scriverò 
spero faccia in modo che lui si ricordi 
quando la riceverà. 
Guarda, guarda cavaliere, 
Guarda che cosa hai fatto». 

‘Ma’ in una celebre foto di autore non noto, presumibilmente scattata dopo il 1923

Nel 1916 la cantante si separa dal marito e da allora porta sul palcoscenico un proprio spettacolo sotto l’insegna Madame Gertrude ‘Ma’ Rainey and Her Georgia Smart Sets. 
Dotata di una maestosa vocalità, ‘Ma’ Rainey, sul palcoscenico, elettrizza letteralmente il pubblico: ride, geme, urla, esercitando un fascino straordinario pur non essendo canonicamente bella. Nella sua autobiografia il pianista e compositore Thomas A. Dorsey, che l’aveva accompagnata più volte sia in sala d’incisione sia in tournée, ne fa una descrizione suggestiva: «Il numero di ‘Ma’ Rainey era quello che chiudeva lo spettacolo. […] Il sipario si alzava lentamente e i riflettori illuminavano con luce soffusa l’orchestra sul palcoscenico, mentre noi suonavamo l’introduzione della canzone di ‘Ma’ […] ‘Ma’ era nascosta in un grande scatolone che aveva la forma di una Victrola, uno di quei fonografi che si usavano molti anni fa. Questa Victrola si trovava sull’altro lato del palcoscenico. Poi arrivava una ragazza e faceva l’atto di mettere su un disco. Allora l’orchestra cominciava a suonare Moonshine Blues: ‘Ma’ cantava le prime battute nascosta dentro la Victrola, poi apriva una porta e usciva fuori nella luce del riflettore sfoggiando una scintillante toilette che pesava poco meno di dieci chili, e una collana fatta di tanti pezzi d’oro. Il pubblico impazziva. Era come se lo spettacolo ricominciasse da capo. ‘Ma’ teneva gli spettatori in pugno. I brillanti che portava alle dita luccicavano come tanti fuochi. La collana sembrava un’armatura d’oro che le coprisse il petto. La chiamavano la Signora dall’ugola d’oro… Quando ‘Ma’ ebbe cantato l’ultimo pezzo e il gran finale, avemmo sette chiamate…». 
Così scrive il critico Gunther Schuller, nella sua fondamentale opera Il jazz. Il periodo classicoGli anni Venti (1996): «È triste soprattutto che ‘Ma’ Rainey non abbia inciso agli inizi della sua carriera, che cominciò sul volgere del secolo, a quattordici anni. Sarebbe affascinante ripercorrere, attraverso la sua maturazione artistica, la via lungo la quale il blues rurale si mutò nel più raffinato e professionistico blues urbano, il cui sviluppo fu certo parallelo alla sua carriera. Quando finalmente ‘Ma’ incise, a metà degli anni Venti, non era certo la prima a farlo, aveva ormai una quarantina d’anni, e probabilmente non era più nel pieno delle forze».  

Nel 1923 l’artista firma un contratto con una delle principali etichette operanti nel mercato dei cosiddetti Race Records, una produzione destinata a essere venduta nei negozi riservati alla gente di colore; la Paramount ne fa una delle sue star, affiancandole spesso musicisti e arrangiatori di primo piano: peccato che la qualità delle registrazioni di questa etichetta sia decisamente mediocre, probabilmente per risparmiare sui costi, rispetto a quella di altre concorrenti dell’epoca, dalla Okeh alla Victor, pure operanti nello stesso mercato. Nel dicembre dello stesso anno, la Paramount porta in studio ‘Ma’ Rainey per una seduta di registrazione che produce otto brani, pubblicati in sequenza su quattro 78 giri, contrassegnati dai numeri di catalogo da PM12080 a PM12083; in queste incisioni è accompagnata da Lovie Austin and Her Blues Serenaders: si tratta di un trio guidato dalla pianista e compositrice Lovie Austin, una delle pochissime bandleader femminili del jazz non solo di quegli anni, ma anche dei decenni successivi; pianista non eccelsa ma efficace, in questa occasione si avvale della ruvida quanto espressiva capacità solistica del trombettista Tommy Ladnier e del fraseggio bluesy, non elegante ma dotato di una sonorità che fa pensare a volte al fango del Mississippi, del clarinettista Jimmy O’Bryant. Uno degli otto brani è il già citato Moonshine Blues: 
«Ho bevuto tutta la notte, caro, e anche la notte precedente. 
Ma quando ridiventerò sobria, non berrò più, 
Perché il mio amico mi ha lasciato, in piedi sulla mia porta». 

Nel novembre 1924 registra Cell bound blues, uno dei suoi brani più intensi e drammatici con l’accompagnamento della stessa formazione; qui si mette particolarmente in luce Jimmy O’Bryant, figura ingiustamente dimenticata, che dimostra di essere un clarinettista di grande sensibilità. 
«Sono entrata nella mia stanza, l’altra notte, 
Il mio uomo è entrato e ha iniziato a picchiarmi. 
Ho preso la mia pistola nella mano destra e ho detto: 
“Fermatelo, gente, non voglio uccidere il mio uomo”. 
Quando l’ho fatto, mi ha colpita sulla testa.  
Al primo colpo che ho sparato, il mio uomo è morto». 

Tra il gennaio e il marzo 1926 registra otto brani con una formazione straordinaria, che sotto il nome di Georgia Band nasconde in realtà un sestetto di all stars guidato dal pianista e bandleader Fletcher Henderson, che comprende Joe Smith alla tromba, Charlie Green al trombone, Buster Bailey al clarinetto, Coleman Hawkins al sax tenore e Charlie Dixon al banjo. 

Ma’ Rainey accompagnata da The Wild Cats Jazz Band nel 1928 (fotografia di autore non noto)

Del 1928 è una serie di registrazioni che sembrano riportare ‘Ma’ nell’ambito di una espressività più rurale e meno jazzistica (tra queste Prove It On Me Blues), nelle quali la accompagnano il chitarrista Hudson ‘Tampa Red’ Whitaker e il pianista ‘Georgia Tom’ Dorsey. L’ultimo 78 giri pubblicato dalla Paramount porta sul lato A questo titolo, a suo modo emblematico: Ma and Pa poorhouse blues
A questo punto la Paramount la scarica, non è più in linea con la moda; lo stesso sta accadendo, o accadrà presto, a molti artisti del jazz e del blues di quel periodo, da King Oliver a Jelly Roll Morton, fino ad allora celebri e sulla cresta dell’onda; la carriera della cantante conosce un rapido declino: si ritira dalle scene, definitivamente, nel 1933. 
Un attacco di cuore chiude la sua vita nella città che le ha dato i natali, il 22 dicembre 1939, a soli 53 anni: If anybody asks you who wrote this lonesome song, tell ‘em you don’t know the writer, but Ma Rainey put it on (Se qualcuno vi chiede chi ha scritto questa canzone triste, ditegli che non sapete chi l’ha scritta, ma che Ma Rainey l’ha messa insieme): così si conclude Last minute blues, il brano che l’artista utilizzava come bis nei suoi concerti. E cala il sipario. 
‘Ma’ Rainey è stata una delle prime cantanti di blues a fare della propria arte una professione, e una delle prime, anche se non la prima, a registrare dei dischi. La prima artista afroamericana a registrare un disco di blues cantato, entrando così nella storia, era stata nel 1920 Mamie Smith per la Okeh Records, col celebre Crazy blues, che divenne un successo straordinario vendendo milioni di copie in meno di un anno e aprendo la strada a tutte le sue colleghe. 

Viola Davis interpreta ‘Ma’ Rainey nel film Ma Rainey’s Black Bottom (2020)

Ma’ Rainey ha avuto grande influenza su tutte le cantanti che, dopo di lei, si sono dedicate al blues. La sua vita è stata raccontata nel dramma teatrale di August Wilson Ma Rainey’s Black Bottom, trasposto nel 2020 nell’omonimo film, nel quale la cantante viene interpretata splendidamente dall’attrice Viola Davis (attivista del movimento Black Lives Matter), candidata al Premio Oscar con quattro nomination per la sua interpretazione.

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Articolo di Roberto Del Piano

RobertoDelPiano

Bassista (elettrico) di estrazione jazz da sempre incapace di seguire le regole. Col passare degli anni questo tratto caratteriale tende progressivamente ad accentuarsi, chi vorrà avere a che fare con lui è bene sia avvertito

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