Protagoniste eccellenti 

Il 26 gennaio presso il IX municipio di Roma si è tenuto l’incontro di formazione per docenti “Protagoniste eccellenti”, una collaborazione tra le istituzioni e Toponomastica femminile che mette in risalto la questione della memoria femminile e di quanto la società ancora tenda a nascondere o sminuire i contributi delle donne.  
Per le istituzioni sono presenti la presidente del IX Municipio Titti Di Salvo e l’assessora alla scuola Paola Angelucci, ai cui saluti seguono gli interventi di Barbara Belotti, Giuliana Giusti, Tiziana Concina e Fiorenza Taricone. 

Intervento di Paola Angelucci

La prima a prendere la parola è Angelucci sul tema dell’empowerment femminile, sempre più al centro del dibattito pubblico soprattutto a seguito dei tragici casi di femminicidio. L’assessora spiega che è stata una decisione condivisa con la presidente Di Salvo quella di collaborare con Toponomastica femminile al progetto Protagoniste eccellenti, per riflettere su quanto le donne risultino invisibili nella vita di tutti i giorni, nascondendo i loro contributi e non rendendole partecipi alla formazione dell’identità comunitaria. A partire dal territorio, l’impegno è stato quello di far emergere nei giovani e nelle giovani il bisogno di riconoscimento delle pari opportunità per far crescere in loro la consapevolezza che la storia è stata percorsa non solo da uomini ma anche da donne. 

Conoscere il territorio. Intervento di Barbara Belotti

Prende poi la parola Barbara Belotti, cofondatrice di Toponomastica femminile, con un intervento dal titolo Conoscere il territorio. Uno sguardo di genere sullo spazio pubblico. L’associazione è nata nelle scuole e nelle classi dove trova il suo luogo naturale, in questi spazi di scoperta che permettono di aprirsi a nuove conoscenze non soltanto agli alunni e alle alunne, ma anche alle loro famiglie. È importante tenere a mente che gli spazi fisici in cui noi ci muoviamo hanno tutti una dimensione simbolica il cui effetto ci arriva in modi più o meno evidenti; l’odonomastica è un modo di comunicare a “bassa tensione”, lento e non aggressivo, ma non per questo apolitico o neutro: nel nominare strade, giardini, qualunque spazio, si concretizza il legame tra quel luogo e il passato suo e delle persone che lo abitano. L’intitolazione ha sempre un valore politico che riflette gli umori dell’epoca in cui essa avviene, perché è un decidere cosa è degno di essere ricordato e tramandato, quali sono i modelli a cui aspirare. Per esempio, negli ultimi tempi si sono moltiplicate richieste sia da parte della cittadinanza che di varie aree politiche, di creare intitolazioni a vittime di femminicidio e di donne morte in gravidanza: una odonomastica del lutto che ripropone un modello di donna che annulla sé stessa, che si sacrifica o viene sacrificata per l’interesse altrui; simbolo di una vera e propria malattia sociale. 
Andando a vedere i numeri in Italia, le denominazioni maschili sono la netta maggioranza e solo il 4% delle strade è rivolto a donne. Di questo già scarso numero la maggior parte di esse è legate alla sfera religiosa o letteraria; pochissime sono le donne “laiche” a cui è stata dedicata una intitolazione – sul sito di Toponomastica femminile è possibile trovare i dati relativi a Roma e al IX Municipio. Da alcuni anni le regole riguardo le targhe sono cambiate, quelle in metallo con sfondo bianco stanno lentamente sostituendo quelle in pietra di modo da rendere più agevole la loro visione per chi guida. In queste nuove intitolazioni si sono visti spesso casi di pigrizia se non di vera e propria sciatteria: da targhe che riportano solo il cognome a quelle che non denotano la professione, oppure hanno errori di battitura. Questi episodi, che accadono soprattutto nelle periferie, sono gravi perché la toponomastica ha una importantissima ricaduta sull’attività scolastica, consentendo interdisciplinarietà e collaborazione tra docenti, e quidi permette di riflettere sulle presenze e soprattutto sulle assenze, di creare percorsi scolastici efficaci per la lotta agli stereotipi, valorizzando la cittadinanza attiva. Iniziative come Sulle vie della parità, il concorso di Toponomastica femminile, sono in tal senso un caso esemplare di buone pratiche. 

Prende poi la parola la prof.a Giuliana Giusti, con un intervento dal titolo Linguaggio e identità. Il linguaggio ha una natura biologica: la nostra specie è l’unica a possedere un modo di comunicare così complesso e variegato. L’acquisizione di una lingua è un processo veloce, inconsapevole e continuo (spesso ne impariamo più di una allo stesso tempo), ed è legata all’identità del gruppo in cui cresciamo e in cui ci identifichiamo; inoltre, essa evolve con il passare del tempo e permette di esprimere concetti culturali come il genere: è attraverso il lessico, la parola, che un concetto entra nella nostra ontologia culturale. Il genere è un costrutto sociale: una dicotomia netta di genere non esiste nemmeno in natura – si veda Farsi un’idea della biologa Raffaella Donati – e gli stereotipi che associamo a un genere o all’altro di “naturale” non hanno nulla e sono anzi tramandati da una generazione all’altra. Neanche i ruoli di genere hanno alcunché di determinato dalla biologia: quando nasciamo ci viene assegnato un genere – che non è detto sarà quello con cui poi ci identificheremo una vola cresciuti/e – ed è una delle prime informazioni che dobbiamo condividere e che determina la maggior parte delle aspettative che ricadranno su di noi. Per comprendere davvero il ruolo della lingua in questo processo è necessario analizzare tre fattori: riflettere su come l’italiano esprima il significato di genere della persona; come demascolinizzare il modo di comunicare; come parlare delle donne e di cosa voglia dire rappresentare persone che non si identificano nel binario uomo-donna. 

Il genere è un costrutto socioculturale. Intervento di Giuliana Giusti

L’italiano ha due generi grammaticali, maschile e femminile; la lingua da cui deriva, il latino, ne aveva tre ma il neutro è stato in vari gradi assorbito dagli altri due. In quest’ultima lingua il genere veniva espresso dalla concordanza verbale, mentre in italiano sono i nomi stessi ad avere un genere, compresi quelli di oggetti inanimati o di animali – da notare che di per sé il genere dei nomi non ha particolari connotati. Inoltre, in italiano deve esserci sempre concordanza di genere e numero: nonostante svariate classi nomali il neutro non è perciò mai raggiungibile – al momento per lo meno, il dibattitto a riguardo è ancora aperto. È nel modo in cui decidiamo di concordare le parole che emerge il lato culturale: il rifiuto di usare il femminile di determinati mestieri, come medica o ingegnera; la fatica a dire la presidente quando a ricoprire la carica è una donna. Non è certo una questione di cacofonia, come spesso viene detto, ma di andare contro quello che Giusti chiama “maschile di prestigio”. L’italiano utilizza il maschile non marcato per i gruppi misti, che solo teoricamente include anche le donne; a quest’ultime viene spesso negato il riconoscimento del titolo professionale – si è sempre “signora” e mai “professora”, “avvocata”, “medica”; parole come “segretaria” hanno un valore di prestigio minore quando declinate al femminile, motivo per cui molte scelgono di usare la declinazione maschile per non perdere autorevolezza. Come risolvere questo problema? Eliminare del tutto il genere dalla lingua non garantisce che poi ci sarà uguaglianza a livello sociale; d’altro canto l’italiano, che ha già in sé il modo di far risaltare il femminile, è tuttavia assai limitato nel permettere alle persone non-binarie di esprimersi. Questo dibattito, tuttora aperto, non deve comunque farci perdere di vista il fatto che il problema reale è a livello culturale: siamo noi a dover cambiare prima ancora della lingua che parliamo . 

Intervento di Titti Di Salvo

Prende poi la parola Titti Di Salvo, che rinnova il ringraziamento alle relatrici e propone la realizzazione di un libro da presentare al Festival della lettura e della letteratura del IX Municipio con gli interventi della giornata, prendendosi anche l’impegno di migliorare l’odonomastica locale. 

Intervento di Tiziana Concina

Segue poi l’intervento di Tiziana Concina, Ripensare il canone letterario in ottica di parità. Il canone è una selezione di testi atta a fornire modelli e gerarchie che ordinano la realtà e definiscono lo sguardo con cui si guarda a essa. Ciò lo ha reso un’arma ideale per le classi al potere: il canone, che sia letterario o artistico, permette di rendere unico ciò che è molteplice, universale e neutro ciò che è invece parziale. Il suo studio è parte fondamentale della costruzione del processo identitario, del sistema di valori e di idee che ci aiutano a interpretare il mondo che ci circonda. Il canone fino a questo punto ha spesso escluso o nascosto qualunque contributo femminile in due modi: impedendo alle donne di entrare nella scena culturale e di produrre opere che aspirassero a essere significative e, qualora riuscissero in qualche modo a superare questa barriera, ignorandole del tutto e cancellandole così dalla storia. Passa così l’idea che le donne non abbiano mai prodotto o contribuito a nulla, ma non c’è niente di più falso: bisogna spesso scavare per scoprirle e far venire a galla il loro lavoro e le loro idee, lottare per diffonderle in un mondo che ancora tende a sminuire qualunque cosa sia stata prodotta da mano femminile, scoprire così l’inganno che cerca di far passare come immutevole e perpetuo ciò che è in realtà prodotto culturale e di un sistema di potere. Questa costante svalutazione risulta ancor più incredibile quando si affronta la letteratura del Novecento: nel pieno delle ondate femministe e dei nuovi traguardi, la produzione femminile assai di rado viene riconosciuta. Si veda il caso del romanzo La storia di Elsa Morante, che sia all’epoca in cui uscì sia oggi continua a vendere migliaia di copie, eppure fu demolito sia dalla stampa che dalla critica, compresi quella più progressista, che lo giudicarono troppo sentimentale, quasi patetico, non cogliendo o ignorando l’intenzione di Morante di allontanarsi dalle grandi ideologie e di raccontare chi del flusso imperioso della storia è stato quasi vittima. Tra l’altro, gli attacchi a Morante vertevano – e in parte vertono ancora oggi – sulla sua vita privata, riducendo una scrittrice particolarmente apprezzata dal pubblico alla relazione con Moravia. Alberica Bazzoni ha condotto una ricerca su quanto le donne siano studiate nei corsi universitari, trovando un rapporto di 91:9 nel periodo pre-novecentesco e di 90:10 nel secolo scorso. Il Premio Strega è stato assegnato solo a 11 autrici nel corso della sua storia, mentre il Premio Campiello, che include una giuria popolare, vede un 23% di vincitrici. 
La scuola è rimasta ancora più indietro: nonostante le tante e varie iniziative per includere l’altra metà della popolazione, nei libri di testo le autrici sono ancora isolate dentro dei box di approfondimento, lasciando spesso alla classe docente la responsabilità di approfondire – è esemplare che Moravia abbia un capitolo a lui dedicato, mentre Morante no; Deledda, vincitrice di un Nobel, è nella stessa situazione. 
Fatta questa analisi rimane un problema teorico: come superare il canone occidentale? Sostituirlo con un contro-canone? Si rischia di cambiare una visione parziale del mondo con un’altra. Creare un canone femminile? Bisogna prima discutere su quanto ci sia di effettivamente diverso tra la scrittura femminile e quella maschile, al di là delle esperienze legate al proprio genere. Rinunciare al canone in toto? Significherebbe la perdita di paradigmi e strumenti di analisi preziosi per le nostre riflessioni. Per Concina la strada migliore da percorrere, anche se ancora oggetto di studi, è quella dell’oltre-canone: rispetto della complessità e recupero del lavoro di scambio e di altri punti di vista, tenendo sempre a mente che il canone è sempre costruito a posteriori ed è una visione parziale che cerca di farsi passare come universale. A oggi molte autrici stanno venendo riscoperte, un’analisi critica che è tuttavia fatta da altre donne, in quanto sono pochi gli uomini che si occupano della produzione di questi nuovi canoni, che si interessano dlla parte femminile. La scuola in tutto questo ricopre un ruolo fondamentale: permettere ai giovani e alle giovani di entrare in contatto diretto con i testi, farli leggere è importantissimo per superare pregiudizi e difficoltà. Se è vero che il testo letterario è un modo diverso di vedere e rappresentare il mondo, allora è uno dei pochi modi per costringere la gioventù a guardare oltre il proprio orizzonte. Continuando a proporre solo nomi maschili come autori oggetto di studio e lettura si finisce col cancellare un universo di sentimenti e bisogni in cui le ragazze si possono identificare e attraverso cui i ragazzi possono imparare empatia e a esprimersi meglio. La letteratura insegna a guardarsi dentro e nell’altro/a, e far leggere autori e autrici del Novecento aiuterebbe le giovani a trovare nuovi modelli a cui guardare, migliorando la loro autostima, e i giovani a comprendere meglio altri punti di vista. 

Intervento di Fiorenza Taricone

Prende poi la parola Fiorenza Taricone, con un intervento dal titolo La pace prima di tutto. Docente di Storia del pensiero politico, dal 2005 attiva il corso di Pensiero politico e questione femminile per colmare quello che lei definisce un abisso: la mancata istituzionalizzazione delle discipline di genere – appartenente a quella tipologia di iniziative che vanno avanti soltanto grazie alla volontà di queste docenti e muoiono nel momento in cui vanno in pensione. Taricone ha tenuto poco prima del seminario una lezione in aula magna sulla Letteratura al fronte, quest’anno dedicata alle esperienze femminili in guerra e alla questione dei corpi violati, dalla Seconda guerra mondiale a quelle più recenti nei Balcani e in Rwanda. Cita gli episodi delle “marocchinate”, una storia drammatica che soltanto in anni recenti sta tornando a galla, con le vittime che trovano la forza di raccontare la loro tremenda esperienza. Per la questione della condizione femminile le due guerre mondiali che sconvolsero l’Italia e il mondo furono, paradossalmente, fondamentali per poterla migliorare: dalla legge Sacchi nel 1919, che aboliva la necessità del permesso maritale per poter lavorare, fino al voto del 1946; importanti conquiste che vanno di pari passo con il subire episodi di violenza inaudita, mentre sono in prima linea per il processo di pace come dimostrano le donne che nel corso degli anni hanno vinto il Nobel, veri e propri modelli da seguire per la gioventù e che tuttavia sono spesso tenute fuori dai libri adottati nelle scuole e dai manuali. Soltanto riscoprendo la storia e le azioni di chi ha combattuto per la pace si possono creare gli anticorpi sociali necessari a formare un mondo più giusto. 

Titti Di Salvo                        Paola Angeucci
Barbara Belotti       Giuliana Giusti         Tiziana Concina       Fiorenza Taricone
Protagoniste Eccellenti locandina

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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