Nel video girato l’11 aprile 1984 al Rooster Club di Los Angeles si vede salire sul palco un uomo alto e scheletrico, con un cappello da cowboy in testa, infagottato in un completo grigio di diverse taglie più grande della sua. Ha una sigaretta in mano, si muove a fatica, si mette subito a sedere davanti alla band ed estrae dalla tasca un’armonica a bocca sulla quale soffia qualche nota di prova, poi lascia che la band suoni una lunga introduzione e quindi comincia a cantare. Ma non è un uomo: è Big Mama Thornton. Il vestito è quello che portava quando pesava più di un quintale – alcune fonti riportano addirittura uno e mezzo, perfino due – ma ora, dopo l’incidente d’auto e una vita da alcolista, pesa sui quarantacinque chili.

La voce, però, non sembra smagrita. Il pubblico l’accoglie con calore, la stravaganza dell’abbigliamento non lo inganna e lei sorride e ammicca come al solito. Canta, suona l’armonica e fuma per tutto il concerto e quando finalmente attacca il suo capolavoro premette: «Ora vi canterò Ball and Chain», e precisa con aria di sfida: «a modo mio». La smorfia con cui lo dice meriterebbe un romanzo. Il pubblico è in prevalenza bianco, ma nel 1984 Big Mama è diventata un’icona, non come ai vecchi tempi del ghetto.

Willie Mae Thornton era nata l’11 dicembre 1926 ad Ariton, un paesino dell’Alabama che contava circa seicento anime e nessuno aveva mai sentito nominare, per cui lei soleva invece dichiarare di essere originaria della capitale dello Stato, Montgomery. Era una ragazzona alta forte e robusta, per cui il soprannome Big Mama arrivò come logica conseguenza, probabilmente ispirato da Mami, il personaggio della cameriera nera enorme e volitiva di Via col vento, e dalla cantante blues Gertrude “Ma” Rainey.
Il termine “mamma” riferito a donne forti e importanti sembra riassumere il senso di identità delle comunità nere, in cui i pari grado si chiamano fra loro “fratello” e “sorella”, come in una famiglia, e alla gente di rispetto ci si rivolge con “mamma” e “papà”.
Willie Mae, come tante altre artiste blues, era figlia di un pastore battista e di una cantante di chiesa, e in chiesa aveva cominciato a cantare con i fratelli e le sorelle. Ma il nome d’arte era anche un tributo alla sua voce, così potente che il microfono risultava superfluo. Un giorno raccolse dalla spazzatura un’armonica a bocca buttata via da uno dei fratelli e imparò a suonarla. «Non ho mai avuto nessuno che mi insegnasse niente. Non sono mai andata a scuola di musica né niente del genere. Ho imparato da sola a cantare e a suonare l’armonica, e persino la batteria, guardando gli altri. Non so leggere la musica, ma so cosa sto cantando. Non canto come nessuno tranne me stessa».
Le notizie sulla sua vita sono frammentarie. Leggendo qui e là si scopre che aveva sei fratelli, o quattro, forse un marito, forse uno o più figli, perché Big Mama non ha mai riscosso il grande successo internazionale che sorrise, per esempio, a Elvis Presley e Janis Joplin, che interpretarono due suoi pezzi; ma loro avevano la pelle bianca.
La mamma, Edna M. Richardson Thornton (ma alcune fonti la nominano Mattie Haynes), morì tubercolosa in giovane età e Willie Mae lasciò la scuola, dapprima per accudire lei e quindi per lavorare come donna delle pulizie. A quattordici anni vinse un concorso per dilettanti, andò via di casa, cominciò a cantare in giro con varie formazioni e per tutti gli anni Cinquanta ebbe un discreto successo. Poi arrivarono Elvis Presley e il rock and roll, e i tempi divennero duri. Elvis si appropriò di Hound Dog, il cavallo di battaglia di Big Mama scritto da Jerry Leiber e Mike Stoller, due ragazzi bianchi di Los Angeles, che lei aveva trasformato in quello che è stato definito in seguito un inno femminista, ma il cui tema è assai frequente nel blues delle donne: la cacciata di un uomo parassita e violento e la rivendicazione della propria autonomia. Dice: «Non sei altro che un cane da caccia/smettila di curiosare intorno alla mia porta/puoi scodinzolare/ma non ti darò più da mangiare». Il testo di Elvis è naturalmente diversissimo, puritano e bianco: parla di un amico che piagnucola e che, nonostante si consideri un cane da caccia, non ha mai preso un solo coniglio. La registrazione di Thornton del 1952 fu un successo colossale per una cantante blues: vendette 500.000 copie ma la cover di Elvis superò i dieci milioni e per molti anni nessuno ricollegò la canzone a lei.

Big Mama si vestiva da uomo e manifestava apertamente il suo orientamento sessuale, ma tale stravaganza le era permessa dall’essere nera e dal vivere nel ghetto, perché nell’America puritana di quegli anni (ma solo quelli?) qualunque riferimento esplicito al sesso era forzatamente ignorato. Come scrive Angela Davis, «Uno degli aspetti più evidenti per cui le canzoni blues si discostavano dalla cultura musicale dell’epoca era le pervasività e provocatorietà dell’immaginario sessuale, omosessualità inclusa (…). Gli aspetti delle relazioni amorose incompatibili con l’idea dominante eterea e astratta dell’amore – come le relazioni extraconiugali, la violenza domestica e l’occasionalità di molte relazioni sessuali – erano banditi dal canone della popular music». La sessualizzazione del blues era dovuta al fatto che il pubblico, ovvero il mercato, era completamente nero e che il blues, così come il jazz statunitense, era di fatto puro intrattenimento. La gente si aspettava dagli artisti e dalle artiste un abbigliamento vistoso, un comportamento eccentrico sul palco e palesi riferimenti sessuali mentre, al contrario, la musica pop bianca doveva corrispondere alla morale corrente e quella colta avocava a sé uno status culturale elevato e di nicchia. Ancora Davis: «Le rappresentazioni dell’amore e della sessualità nel blues femminile spesso contraddicevano palesemente i presupposti ideologici tradizionali sulle donne e l’innamoramento. Sfidavano (…) l’assunto che il “posto” delle donne fosse nella sfera domestica».


Sorte simile a Hound Dog ebbe Ball and Chain, composta da Big Mama all’inizio degli anni Sessanta ma divenuta celebre grazie all’interpretazione di Janis Joplin. Rispetto a Elvis, Janis era molto più vicina in spirito a Big Mama, ma questa non percepì mai le royalties che le spettavano. E non si esibì mai davanti al pubblico immenso che osannava artisti e artiste di pelle bianca. Gli anni Sessanta, la controcultura, il nuovo mercato giovanile non riguardavano neri e nere che cantavano blues. Era solo “intrattenimento”, non “cultura”. Come altre stelle del blues e del jazz, solo in Europa Big Mama fu accolta come meritava e, di rimbalzo, quando l’etichetta della “cultura” arrivò negli Stati Uniti, alla fine degli anni Settanta, Big Mama fu invitata ai primi grandi festival di blues e jazz e conobbe un po’ di notorietà.
In quel video dell’aprile 1984 la donna vestita da uomo canta suona e fuma seduta, poi alla fine si alza e abbozza qualche passo di danza, qualche smorfia e ammiccamento come da copione. Si regge in piedi a malapena ma porta avanti lo spettacolo e il pubblico quasi tutto bianco, che ormai è colto e informato, l’applaude con calore. Tre mesi dopo, il 25 luglio, Willie Mae Thornton, detta Big Mama, muore per le conseguenze epatiche e cardiache della propria dissolutezza blues. Le fonti si contraddicono sulle cause, sul luogo esatto del decesso e su chi la trovò morta. Pare impossibile stabilire la verità su una persona marginale come una musicista nera. Lei per prima non lo troverebbe interessante. Cantava a modo suo, e questo è tutto.
Qui le traduzioni in inglese, francese, spagnolo.
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Articolo di Mauro Zennaro

Mauro Zennaro, grafico, è stato insegnante di Disegno e Storia dell’arte presso un liceo scientifico. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla grafica e sulla calligrafia. Appassionato di musica, suona l’armonica a bocca e altro in una blues band.
