Prima di parlare di questo avvincente libro, pubblicato da Sellerio nel 2020, dal titolo Lo splendore del niente e altre storie (premio Piero Chiara), per la maggior parte di lettrici e lettori occorre partire dall’inizio, ovvero dall’autrice Maria Attanasio, in passato conosciuta in una cerchia piuttosto ristretta, ma nel tempo sempre più apprezzata da critica e pubblico.


Buona parte del merito va a quella scopritrice di talenti che è stata Elvira Sellerio che molti anni fa la incoraggiò a passare dalla poesia alla prosa. E così è stato, tanto che diverse opere si sono susseguite da Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile (1993) a La ragazza di Marsiglia (2018), scritte sempre partendo da uno spunto reale, magari un nome o un personaggio, una semplice traccia, un luogo preciso.
Attanasio è nata nel 1943 a Caltagirone, nei romanzi trasfigurata come Calacte, cittadina in provincia di Catania nota per la meravigliosa arte della ceramica e per il suo centro storico inserito dall’Unesco nei siti da preservare. Lì ha insegnato a lungo Storia e filosofia ed è stata attiva nelle file del Partito comunista italiano. La Sicilia comunque è il fulcro della sua attività creativa e la sua fonte inesauribile di ispirazione, sia che scriva in poesia sia che utilizzi la prosa.

In ambito poetico si segnalano sette pubblicazioni, di cui alcune tradotte in inglese e premiate, come Blu della cancellazione, che ha ottenuto nel 2017 il premio Brancati e il premio internazionale Gradiva di New York, mentre Amnesia del movimento delle nuvole ebbe il premio Montano nel 2003.

Ugualmente importanti e pure premiati i romanzi, fra cui si ricordano oltre a quelli citati: Piccole cronache di un secolo, Di Concetta e le sue donne, su Concetta La Ferla, animatrice del Pci locale, Il falsario di Caltagirone, sullo strano caso del pittore Paolo Ciulla, Dall’Atlante agli Appennini e Della città d’argilla (gli unici due a oggi non editi da Sellerio), Il condominio di Via della Notte. Da menzionare il pregevole cortometraggio del 2008 realizzato da Vivian Celestino, ispirato alle sue affascinanti figure femminili e intitolato: Francisca, Concetta, Catarina e Maria, rimasto praticamente sconosciuto al grande pubblico. Ma torniamo alle donne protagoniste di questa raccolta di sette testi, già editi altrove dal 1994 al 2014, ma ora riuniti con l’intento, segnalato nelle epigrafi firmate Anna Banti e Marguerite Yourcenar, di riscattare «frammenti di un’oscurata genealogia» femminile e di far rivivere personaggi dimenticati di donne vissute fra Sei e Settecento nella sua città, in un’epoca dunque assai turbolenta e difficile a causa di terremoti, della pestilenza del 1626, di carestie e altre tremende calamità naturali. «Un’inquietudine tellurica riflette quella delle anime», così ha scritto in proposito Melania Mazzucco, tessendo le lodi dell’autrice e della qualità straordinaria della sua «prosa ricercata rinvigorita da parole desuete», «in pagine dense e rapide».
Di volta in volta è bene sfogliare le annotazioni finali che forniscono ragguagli sui documenti, le cronache, le testimonianze edite e inedite custodite in archivi e biblioteche che l’autrice ha consultato per fornire un quadro coerente e preciso dei tempi, ma anche per trarre le ispirazioni che dicevamo: vicende per lo più di donne destinate all’anonimato e al silenzio, tuttavia protagoniste di «sorprendenti storie di coraggio e di resistenza alla discriminazione e all’ingiustizia».
Delle fiamme, dell’amore, che apre la raccolta, prende spunto da uno sconvolgente terremoto del 1693; se le cronache dell’epoca non fanno i nomi della coppia protagonista, ci pensa Attanasio a dar loro voce e volto, in una commovente vicenda di amore coniugale. Il mastro carpentero Giacomo e la moglie Catarina, nonostante la precaria condizione di sfollati, diventano i felici genitori di una munachedda, una piccolina che sarà chiamata Salvatora perché nata in un modestissimo pagliaio, come Gesù. Ma un furioso incendio divampa fra baracche e alloggi provvisori coinvolgendo anche la casupola della coppia dove giace infermo Giacomo: Catarina lo raggiunge nonostante il pericolo e, «sul vano della porta ― in un braccio la figlia, all’altro appoggiato il marito», «arse come una torcia» tentando di pronunciare con la bocca in fiamme le sue ultime affettuose parole.
Il secondo racconto e primo testo in prosa di Attanasio, Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile, è ben più ampio degli altri e nasce da una serie di documenti e da una curiosa cronaca di tale Giacomo (Francesco, nella realtà) Polizzi, illetterato pittore di stoviglie, da cui la scrittrice prende parte del lessico, con vocaboli antichi e fantasiosi ma estremamente evocativi: hominigno, Coriosità, sferrettò, Charciarata (le maiuscole sono del cronista). E da qui emerge la storia della bella Francisca, grande lavoratrice, rimasta presto vedova di un marito che amava chiamarla cumparuzzu, essendo appunto compagna di vita forte e indipendente come un uomo. Il ruolo inedito di bracciante la porta ad abbandonare le scomode vesti femminili, a non rispettare le convenzioni e a cambiare addirittura identità diventando Messer Francisco: «Masculo fora e fimmina intra». Chiacchiere, sospetti, pettegolezzi smuovono le autorità e l’onnipotente Inquisizione e, attraverso pagine bellissime dense di descrizioni del paesaggio e della nebbiolina che tutto avvolge, si arriva alla cattura della sospetta magara (strega). Cosa accadde in quelle segrete stanze non si sa, certo è che avvenne un fatto memorabile, appunto: Francisca non solo fu liberata ma anche autorizzata a vivere come voleva, «che di Fimina operava di Huomo», tanto che venne assunta come bordonaro, ovvero chi si occupa della stalla, dei finimenti, del carico degli animali, degli attrezzi da lavoro, dei trasporti in lunghe carovane. A lei andò bene, ma nel 1724 a Palermo, in un pubblico rogo, fu bruciata viva suor Gertrude Cordovana di Caltanissetta. «Ma questa è un’altra storia. Un altro il paziente cronista», conclude la scrittrice.
Il terzo racconto restituisce identità a un’anonima pittora epilettica che viene chiamata Annarcangela e con la sua arte ridà vita a un prezioso crocifisso disseppellito fortunosamente. Quel dipinto riprende colore, emoziona chi lo ammira, diventa fonte di devozione popolare a tal punto da far edificare il Santuario del Soccorso, attivo fino al 1867, poi in abbandono, infine di nuovo aperto al culto. Oggi in pellegrinaggio si arriva in autobus, commenta Attanasio. «Fino a trent’anni fa rigorosamente a piedi. Discesa e risalita».
Ha un nome certo invece la protagonista del quarto racconto (Lo splendore del niente), anche se ignorata per secoli: si tratta di Ignazia Perremuto, una serva di Dio alla pari di padre Innocenzo Marcinnò, al contrario ancora oggi assai ricordato e venerato. Fu una bambina originale e una giovinetta particolare, non amante dei lussi, dei divertimenti, delle opere femminili, piuttosto pregava, leggeva, digiunava, osteggiata persino dal padre spirituale, ma disposta a dotte conversazioni e a interessanti riflessioni teologiche con chi sapeva ascoltarla. Aveva adottato un motto: «Il corpo in ceppi, libera la mente: non servo alcun, né d’altri son che mia». Morì il 1° dicembre 1730, dopo giorni di delirio e vaneggiamenti. Suggerisce acutamente Attanasio nell’epilogo che Ignazia, se fosse vissuta a Parigi una settantina di anni dopo, avrebbe fatto parte di quelle femmes-filosofes che affermavano la parità dei sessi e cercavano la libertà; lei, quella libertà, la cercò e la volle nella sua mente e per il suo animo.
Ben diverso il tenore del racconto successivo: I gatti dell’isola nomade, in cui si fa riferimento a una assurda legge del Regno di Napoli che obbligava all’uccisione dei gatti colpevoli di sottrarre prede alla caccia, praticata a dismisura da ricchi e poveri, i primi per puro divertimento, i secondi per necessità, mentre topi di ogni dimensione spadroneggiavano indisturbati. Qui si assiste a una ulteriore prova di bravura della scrittora (come lei stessa si definisce) che fa un ritratto quanto mai efficace del sovrano, Carlo di Borbone, fanatico cacciatore ma alla fine acuto uomo politico, ma anche degli altri personaggi coinvolti nella questione. A noi interessa in particolare «la pietosa e temeraria badessa che con affetto e rispetto tutti chiamavano Sant’Ammiraglia». Da gustarsi il seguito della descrizione che non riveliamo, come pure l’esito della vicenda. Una spiegazione però va fornita: cosa può essere un’isola nomade? esiste veramente? Si tratta di Procida, che, a causa delle onde che penetrano con violenza nelle sue grotte costiere, sembra staccarsi e vagare nel mare trasportata dai venti.
Ancora una donna nel penultimo breve racconto, e che donna! Vi si parla della «vecchia dell’aceto», cioè Giovanna Bonanno che vendeva alle sue clienti, spesso maltrattate o insoddisfatte del matrimonio, un aceto assai particolare, aspro sì ma soprattutto letale; insomma un «arcano liquore» destinato ai mariti scomodi e ignari. Per finire un’altra storia al femminile, ma stavolta siamo nel regno animale e protagoniste sono le famigerate cavallette, o bibliche locuste, che hanno funestato la Sicilia con le loro periodiche dannose invasioni, ma hanno affascinato nei secoli i più fini studiosi come Biagio Crescimone e Jules Michelet. Inedito il punto di vista che entra nei pensieri, stupiti e fragili, di Levia, una cavalletta «libertina e mutevole» alle prese con la sua precaria e breve esistenza e con una fuga che la porta nella Parigi rivoluzionaria del 1789, fino a un tragico epilogo.

Prima di concludere, a proposito di femmine originali e ribelli, dobbiamo segnalare, all’interno della bella produzione di Maria Attanasio, almeno il già citato romanzo biografico La ragazza di Marsiglia (vedi Vv n.89) in cui la protagonista è Rose Montmasson (1823-1904), compagna e poi moglie ripudiata dell’onorevole Francesco Crispi, conosciuto a Marsiglia quando era un giovane patriota mazziniano. In realtà merita il ricordo per ben altro: fu infatti ufficialmente arruolata nella spedizione di Garibaldi, a cui poi si unì un ristretto gruppo di donne in Sicilia, dove fu ribattezzata affettuosamente Rosalia dalla popolazione per il suo generoso operato. Nell’album fotografico dei Mille ha il numero 338.
Leggete questi libri e scoprirete una penna impagabile che vi ripagherà con la gioia di una scrittura sapiente e con storie lontane nel tempo, ma vicine al nostro sentire.
In copertina: Firenze, targa in via della Scala in ricordo di Rose Montmasson.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
