Lungo viottoli e carrarecce. Racconti brevissimi di Daniela Piegai

Alzare lo sguardo nell’attimo che precede il primo passo, per abbracciare l’orizzonte e, se possibile, spingersi oltre. Non per scegliere la meta, no, ma per rabbrividire e gioire di fronte alle infinite possibilità che il percorso ci offre: quale storia incontreremo, quale vorrà trattenerci o lasciarci andare, quale sarà il precario punto d’arrivo? Quale via – suggerisce il geografo ed esploratore Franco Michieli – vorrà trovarci, quando ci saremo smarriti? (Perdersi, si sa, è condizione necessaria per scoprire e ritrovare sé stessi).

Affrontare la lettura dei racconti brevissimi di Daniela Piegai è questo: inoltrarsi nel mondo, come viandanti (Dio stessa «è una camminatrice»), tra terra e cielo, tra vita e sogno, tra gli estremi – lontani, eppure vicinissimi – dell’infanzia e della vecchiaia. Età, la prima, in cui ogni cosa è possibile, la promessa di un miracolo prossimo venturo, è certo, si compirà; tempo, il secondo, in cui della vita trascorsa non vi è che la consapevolezza del suo essere breve. E poi, conoscere l’abisso del dolore (l’insensatezza ottusa della guerra) e la straziante, meravigliosa (shakespeariana) bellezza del creato; aprire all’intuizione di universi infiniti, di stelle remote e galassie lontane; trovare consolazione nella forza della scrittura che crea. Perché così è Daniela: una fantascientista creatrice di mondi, che, adempiendo a una promessa interiore della bimba che ancora è in lei (come in tutte noi che abbiamo vissuto), scrive per riparare e medicare le ingiustizie di questo pianeta, «perché – come lei stessa afferma – le parole a volte hanno un suono che ti canta dentro peggio delle sirene di Ulisse, e perché certe canzoni vanno seguite, e se non le pubblica nessuno, non ha importanza, semplicemente sono lì che spingono per uscire, e poi, una volta nate, sono come i figli, non sono più tue».

Daniela Piegai, Cortona gennaio 2023, foto di Camilla Frattini, archivio Daniela Piegai

Daniela Piegai ha da poco compiuto ottantuno anni: i suoi primi testi, liriche e prose, datano alla fine degli anni Cinquanta, quando era liceale; il primo racconto pubblicato (Il mestiere di strega: e il femminile ribelle è da parte di lei oggetto di lunga fedeltà) è del 1978, quando di anni ne ha trentacinque. Non è la ‘prima’ donna della fantascienza italiana, altre l’hanno preceduta, ma è certamente la prima autrice femminista, la prima che declina temi e problemi nella prospettiva delle donne come soggetto collettivo. E nell’attribuirle l’aggettivo ‘femminista’ (che mi è caro), so di renderle giustizia; e tutto sommato (io pure invecchio) provo una qualche nostalgia per il tempo in cui non era necessario operare distinguo sempre più articolati e rivendicativi all’interno del colorato insieme ‘femminismo’…

Daniela Piegai, Cortona 1978, archivio Daniela Piegai

Non è un caso, comunque, che Nicoletta Vallorani (la prima donna ad aver vinto il Premio Urania per il miglior romanzo di fantascienza, nel 1992) abbia affermato che leggendo Piegai si era resa conto che “un’altra fantascienza è possibile”: una letteratura di immaginazione né massimalista né muscolare, grazie alla quale, invece, raccontare – come Primo Levi in una riflessione divenuta celebre – «l’esperienza di una smagliatura, di un vizio di forma che vanifica uno od un altro aspetto della nostra civiltà o del nostro universo morale»; tracciare il disegno di un futuro, di più futuri alternativi, legittimandoli; pensare finalmente a quel mondo migliore al quale noi viventi abbiamo diritto. Daniela, già bimba lettrice instancabile e avventurosa narratrice («Mi piaceva molto di più rintanarmi da qualche parte a leggere, piuttosto che correre e fare la guerra», ricorda), dagli anni Settanta non smette mai di scrivere, proprio per l’urgenza che la porta a generare senza sosta storie e mondi; di pubblicare, sì, invece, perché quando la fantascienza italiana tenta di percorrere una propria via, autonoma rispetto a quella angloamericana, non vi riesce, a causa dell’ostilità dell’editoria, anche del settore, e lei non si piega al mercato. Fino alla sua riscoperta recente: per una singolare, fortunata coincidenza, proprio grazie al contributo su Daniela Piegai all’interno della serie Fantascienza, un genere (femminile), pubblicata da Vitamine vaganti (e grazie all’intuizione e all’incoraggiamento delle amiche Maria Pia Ercolini e Danila Baldo), nel 2022 ho vinto il Premio Italia per il miglior articolo su rivista amatoriale. L’opera della fantascientista è ora in corso di pubblicazione per Delos Digital, per la cura di Roberto Del Piano e mia: sono già apparsi il romanzo Il mondo non è nostro, la raccolta di racconti Incanti alieni, il romanzo perduto e ritrovato Strega di sera bel tempo si spera, scritto con Nicoletta Vallorani negli anni Ottanta, ed è in stampa la silloge di quattro romanzi brevi dal titolo Linee d’ombra.

Daniela Piegai e Roberto Del Piano, Cortona dicembre 2022, foto di Laura Coci

Le donne, si sa, non hanno mai tempo (e con il tempo Daniela ha un rapporto che lei stessa definisce «orizzontale»): un figlio e una figlia, l’attività quale esperta di comunicazione, la cura familiare… e scrivere, e dipingere, e coltivare mille altre cose per sé e soprattutto per gli altri, le altre. E allora, in luogo di romanzi e romanzoni, ecco racconti e raccontini, che richiedono indubbiamente meno tempo, sia per la stesura sia per la revisione.

E sono proprio dodici racconti brevissimi – scritti nell’arco degli ultimi due anni, dal febbraio 2022 al gennaio 2024, presentati in ordine cronologico – che Daniela dona a Vitamine vaganti, quasi un viatico per addentrarsi, seguendo lei, «lungo carrarecce e viottoli», percorrendo «sentieri appena visibili», ove la direzione è a intuito, ma in ogni caso porta «da qualche parte», riscoprendo la consolazione di «andare senza sapere dove». Sì, occorre perdersi per ritrovarsi, smarrire la via – quella piana e diritta – per conquistare il senso delle cose.

Quadri di Daniela Piegai su una parete della sua casa, Cortona marzo 2022, foto di Laura Coci

Il mistero dell’universo, il continuum del tempo che si avvolge inesplicabile su sé stesso, il significato dell’esistenza (quasi domanda inespressa “E voi che vita vivrete?”) sono al centro di Le stelle parlano una lingua straniera, con la sua piccola protagonista dai grandi sogni che guardano lontano; Futuro anteriore, la voce narrante (femminile come sempre) immersa nel buio e nel silenzio del non-sapere; In principio era l’urlo, sorta di teogonia con un principio femminile di pace e uno maschile di guerra.

La guerra, che irrompe nuovamente in Europa proprio nel febbraio 2022 (e ora si rovescia sul popolo palestinese), la violenza e la morte occupano con la propria desolazione altri tre racconti: Sogno, che contrappone il filo leggero della dimensione onirica alla crudezza della realtà, impossibile da riparare; Un’aliena di meno, con il dolore narrato dall’interno di una vita letteralmente spezzata; La straniera, che ripropone il tema ricorrente nell’immaginario femminile del figlio rubato a una madre percepita come diversa, e per questo soltanto colpevole.

L’infanzia, l’adolescenza, la vecchiaia sono invece, rispettivamente, in La dolcezza del miele, ove la catastrofe è già avvenuta ma sono bambini e bambine a indicare la via della salvezza; in Ta, spiritoso divertissement tra fantascienza e linguistica; in Anemone, il fiore del vento, che, proprio come fa il tempo, si porta via ogni cosa, anche le parole che sai che esistono e non sai più afferrare.

Fino all’incanto di vivere molteplici vite, vite che non sono la propria, e vedere queste esistenze prendere forma, grazie alla lettura, in Fantasmi vagabondi; al semenzaio di storie, favole, racconti che l’autrice voce narrante (oh sì che la vedo, Daniela, camminare con un cappello di paglia in capo, minuta e sorridente) custodisce con cura perché volino via, augurando loro la buona sorte, in Ho un piccolo orto; e, infine, On the Road Again, con Jack Kerouac e i Canned Heat, e con Dio, a bordo di una due cavalli gialla del 1975 in I sogni di Dio, dio che non possiamo non amare.

E non possiamo non amare le creature che popolano i racconti brevissimi della scrittrice, «creature – come per Umberto Saba – della vita e del dolore». Ma, suggerisce Daniela Piegai, rovesciando il segno del finale, la vita può essere felice e magnifica, e, soprattutto, «la vita è femmina: ci salverà».

In copertina: da sinistra: Tiziana Rinaldi, Laura Coci, Daniela Piegai, Nicoletta Vallorani, Cortona febbraio 2023. Foto di Roberto Del Piano.

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Articolo di Laura Coci

Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.

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