«La narrazione, si sa, è un’arte delicata, essa “rivela il significato senza commettere l’errore di definirlo”. Contrariamente alla filosofia, che da millenni si ostina a catturare l’universo nella trappola della definizione, la narrazione rivela il finito nella sua fragile unicità e ne canta la gloria».
Adriana Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti: filosofia della narrazione.

Per il terzo incontro del ciclo Parlarne tra amiche. Raccontarsi e ri-conoscersi nella relazione con le altre, organizzato dal Laboratorio di studi femministi Anna Rita Simeone. Sguardi sulle differenze, si è scelto il tema della sorellanza. Il seminario dal titolo Prendere forma nello sguardo delle altre si è tenuto il 19 gennaio presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma e ha avuto, come sempre, un’enorme partecipazione in aula e da remoto. La necessità espressa fin dal principio è stata quella di porre l’accento sulla rilevanza politica dell’attività del parlarsi tra amiche, attraverso tre relatrici appartenenti a tre generazioni diverse, punto fondativo e di forza del collettivo. Gabriella De Angelis, docente di Latino e Greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne “Virginia Woolf”, membro del Laboratorio e del Circolo Lua “Clara Sereni”, per il quale organizza laboratori di scrittura autobiografica; Maria Bianco, insegnante di Filosofia, Storia, Storia della filosofia, Filosofia eco-femminista, Teologa di genere e autrice; Maria Giulia Mancuso Prizzitano, laureata presso il Dams e la New York Film Academy, ha diretto un documentario dal titolo Embodiment; modera la discussione Maria Serena Sapegno, docente di Letteratura italiana e Studi di genere. I testi presi in analisi sono due: un estratto da Tu che mi guardi, tu che mi racconti: filosofia della narrazione di Adriana Cavarero nell’edizione Feltrinelli del 2009, e un articolo di Elena Vacchelli dal titolo L’idea di “sorellanza” nelle epistemologie femministe: l’eredità dell’autocoscienza, contenuto in Sorelle e sorellanza nella letteratura e nelle arti, a cura di Claudia Cao e Marina Guglielmi, edito da Franco Cesati Editore nel 2017 (disponibili qui).

Il testo di Cavarero, filosofa piemontese, viene introdotto dalla moderatrice, che ne inquadra il contenuto e l’importanza facendo riferimento al paradosso dell’essere “narrate”: cosa accade quando due donne si “raccontano” vicendevolmente? Di chi è la vita “narrata”? Si ragiona sulla riflessione che un’amica fa su un’altra, come accade per Emilia e Amalia, le protagoniste del testo analizzato. Le due donne si sono conosciute nell’ambito delle “150 ore”, un programma secondo il quale venivano riconosciute centocinquanta ore retribuite ogni tre anni ad uso “scolastico e culturale”. Così, ad esempio, molte lavoratrici e molti lavoratori presero il diploma della scuola dell’obbligo grazie a questo esperimento culturale gestito dalle avanguardie del sindacato. Tra gli obiettivi generali dei programmi vi era il «rafforzamento del controllo collettivo sulle condizioni di lavoro e sul processo produttivo, recupero dell’esclusione scolastica senza nulla concedere ad un processo di rincorsa dell’esistente, messa in questione della funzione sociale della scuola e della sua neutralità; individuazione del ruolo dell’intellettuale nei confronti delle classi operaie e subalterne». In questa cornice che favorisce l’incontro e il confronto, si creano spazi di condivisione delle vite private, si scrivono volumi di storie orali ed esperienze di vita. Ci si racconta alle altre. È quello che fa Emilia, che recita ripetutamente la sua storia ad Amalia, e quest’ultima, più abile nella scrittura, decide di riportarla. La reazione dell’amica narrata viene confrontata da Cavarero con la reazione di Ulisse (nel paragone abbiamo quindi un eroe catapultato nella periferia milanese moderna) che ascolta l’aedo raccontare le sue avventure e si riconosce nelle sue parole, scoppiando in un pianto di commozione. Avviene un rispecchiamento che permette di apprendere su di sé, di conoscersi di nuovo, costruire una soggettività relazionale con una potente forza creatrice.

La prima relatrice a prendere la parola è Gabriella De Angelis, che parte dall’attenzione al titolo del libro di Adriana Cavarero e al tu. La relazione infatti è plurale, collettiva, ma diventa ancora più creativa e profonda quando si fa relazione a due. È qui che avviene il ri-conoscimento, inteso come il conoscersi di nuovo, il vedersi con lo sguardo di un’altra e attraverso l’altra. L’universalismo viene messo in discussione in nome della ricerca di unicità di ogni soggetto e di ogni storia, così come di Ulisse e di Emilia, che non ha gli strumenti per scrivere di sé, ma potrà ri-conoscersi tramite la scrittura di Amalia. Sono dunque le amiche a essere in grado di mostrarci la nostra storia, di cogliere la nostra unicità sfuggendo al pericolo di universalizzazione della figura della Donna che elimina ogni differenza.
La seconda relatrice, Maria Bianco, riporta la propria esperienza formativa: ha studiato filosofia secondo un’ottica universale maschile finché non ha adottato il femminismo come forma di studio. Analizza la questione della differenza sessuale in Cavarero, della costitutiva sessuazione del sé e della rivoluzione simbolica che deriva dal non essere definitorie nel raccontare la vita delle altre. È così che la narrazione permette di nascere, e questo ci è stato insegnato anche dalle pratiche femministe che ci aiutano a non sentirci mai sole, dice, perché consapevoli che altre prima di noi hanno percorso la nostra strada. Bianco nomina anche l’articolo sulla sorellanza – in parte criticato da Maria Serena Sapegno in quanto ritenuto incompleto – facendo riferimento al passo in cui l’autrice esprime preoccupazione nei confronti del rischio di nostalgia per le vecchie forme di femminismo e sorellanza. Come soluzione, la relatrice propone di parlare di storia, non di nostalgia, e di reificare le esperienze femministe del passato tenendo a mente che si tratta prima di tutto di pratiche, poi di riflessioni teoriche.
La terza e ultima relatrice, la giovane studiosa Maria Giulia Mancuso Prizzitano, spiega di essersi imbattuta in Adriana Cavarero e quindi nel concetto di soggetto relazionale e rivoluzione simbolica durante la stesura della tesi. Dice di aver trovato nei suoi testi uno strumento per risemantizzare gli stereotipi femminili, come può essere quello del chiacchiericcio, del confidarsi tra amiche. La pratica dell’affidare la propria storia alle altre diventa infatti un potentissimo strumento di lotta e coesione, un modo per nutrire lo scambio.
Si accende poi, come di consueto, un dibattito molto partecipato e ricco, nel quale si confrontano persone di età e provenienze culturali o accademiche assai diverse tra loro. Ci si dà allora appuntamento al prossimo incontro che avrà come tema l’ambivalenza e si svolgerà il 17 febbraio; nel frattempo si cercherà di far sedimentare dentro ognuna di noi i testi letti e le parole ascoltate, per costruire nuove pratiche di sorellanza e per guardarci e raccontarci a vicenda ancora, e quindi ri-conoscerci.
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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.
