La mia non è affatto una famiglia di melomani, forse con una qualche debolezza in più per Verdi e Puccini, di cui le nonne cantavano volentieri qualche pezzo d’aria, ma non certo di conoscitori del teatro né di ciò che ci ruota intorno, anche se il quartiere dove sono nata era quello curato dalla parrocchia di Santa Lucia sul Prato, dove era situato l’ex Teatro Comunale di Firenze. Un rione non privo di contraddizioni; signorile e borghese in una sua più recente porzione, rivolta verso i Lungarni e le Cascine e popolano nell’altra, fatta di vie e viuzze più anguste, tipiche del centro cittadino. Quando ancora ero piccola e giravo per le sue strade accompagnata da qualche parente, mi stupivo quando all’orizzonte si palesava una bella signora, dal fare cordiale ma impostata da diva, che tutti facevano a gara a omaggiare. Si trattava della nota cantante lirica Fedora Barbieri, che a Firenze aveva trovato fama e marito e che nel mio medesimo quartiere ha sempre conservato la sua prima abitazione da giovane coppia di neosposi. La casa, che ancora appartiene alla famiglia, così vicina al Teatro, ha rappresentato, per tutti i lunghi anni della sua folgorante carriera, un buen retiro dove riposarsi fra le lunghe sessioni di prove e dove ospitare amiche, amici e parenti per convivi memorabili.

Quando Fedora non era in giro per qualche tournée e cantava o per il Maggio musicale fiorentino come nella stagione lirica invernale, era facile incontrarla nel quartiere, dove aveva mantenuto tanti dei suoi precedenti fornitori e dove era ben felice di accrescere l’orgoglio degli abitanti. Nonostante non fosse fiorentina di nascita e in Toscana si fosse trasferita solo per sostenere la sua prima audizione, nel 1940, Barbieri fiorentina lo divenne, entrando subito in relazione con lo spirito del luogo grazie a un carattere estroverso, frutto pure delle sue ascendenze familiari.
Nata a Trieste il 4 giugno del 1920, non poteva dirsi infatti originaria di quella splendida realtà marittima di confine, provenendo la famiglia dalla Romagna. In ognuna di queste due realtà, ella seppe prendere il meglio, specialmente per quanto riguarda la posizione sociale della donna, che era in entrambe le zone molto avanzata. A Trieste, città dove le mogli rimanevano spesso sole in città durante i lunghi mesi di navigazione dei mariti, le donne si erano da sempre organizzate in piccoli circuiti di solidarietà; molte di loro lavoravano o praticavano gli sport all’aria aperta, come il trekking o i bagni di mare. Come ricordato sia in alcune narrazioni che da storici/che locali, le “mule” ragazze triestine furono le prime femmine in Italia a permettersi di fumare nei bar e a frequentarli anche da sole; per loro non rappresentava affatto una stranezza camminare in gruppo o da sole in città. Indipendenti e col gene del comando le donne romagnole ― azdore (azore) ― che già nell’Ottocento più che rivendicare il loro diritto al lavoro lo praticavano proprio, uscendo da casa per raggiungere i campi o la fabbrica in bicicletta; colte, eleganti, romantiche, naturalmente internazionali le triestine ― le mule ― abituate pure loro molto all’indipendenza e a praticare l’imprenditoria. Il talento di Fedora emerse quasi naturalmente fra le pareti di casa, dove amava usare la voce per farsi compagnia; nessuna scuola specifica, solo una innata predisposizione al canto, alla melodia, all’interpretazione.
A circa diciotto anni ebbe l’opportunità di cantare nella bella e antica Cattedrale di San Giusto, arrampicata sul colle che domina Trieste. È proprio in quella precoce occasione di esibizione in pubblico, che ebbe modo d’ascoltarla il triestino Maestro Luigi Toffolo, allora Direttore Artistico in città, che ne riconobbe immediatamente le doti e decise, con l’aiuto del collega musicista Federico Bugamelli, di coltivare le sue ottime caratteristiche canore per impostarle la voce liricamente, insegnandole l’importanza artistica dei recitativi, l’articolazione e la chiarezza della parola, la precisione musicale nel fraseggio.

Assai soddisfatto del lavoro svolto in quei primi mesi di applicazione, il Maestro Toffolo decise di spingere la giovane Barbieri verso qualche concorso, consigliandole di presentarsi alla selezione prevista al Teatro Lirico di Firenze. Nel giugno del 1940, Fedora giunse in ritardo alla prova, dove si rifiutò di invertire l’ordine dei brani preparati, ma, nonostante ciò, i commissari dovettero riconoscere le sue qualità decretandola come prima qualificata; circostanza che dava accesso a una borsa di studio che però obbligava l’allieva a soggiornare stabilmente in città, tanto era serrato il calendario delle lezioni che avrebbe dovuto seguire. La madre, vedova ormai da alcuni anni si rassegnò così a lasciare Trieste e prendere alloggio con la ragazza a Firenze, dove pareva le si stessero per aprire le porte su di una buona carriera.

Il debutto fu di lì a poco, nell’autunno del medesimo 1940 esordì, con grande successo, nel ruolo di Fidalma nel Matrimonio Segreto di Cimarosa presso il medesimo Teatro comunale di Firenze, plauso che si ripeté anche l’anno successivo, nel 1941, con il ruolo di Dariola nella prima assoluta del Don Juan de Manara, opera originariamente d’Henri Tomasi, che Franco Alfano rifece per il Maggio Musicale Fiorentino insieme al librettista Ettore Moschino. Dotata di una voce di bel timbro e di grande potenza ed estensione, facilmente s’impose come interprete esuberante e intensa di ruoli drammatici, come l’Azucena nel Trovatore, divenuto una specie di “esclusiva”, ma fu pure capace di interpretare personaggi di grande compostezza, anche in virtù di una sua naturale predisposizione alla recitazione, tutte doti che la portarono al secondo debutto importante in un teatro italiano, quello della Scala nel successivo 1942. Ma nel capoluogo toscano la cantante non aveva solo trovato la sua seconda patria, ma pure l’amore; proprio al Teatro comunale aveva conosciuto Luigi Barlozzetti, originario di Orvieto e come lei precocemente orfano, che già lavorava come amministrativo all’interno dell’organismo teatrale. Bastò poco perché i due giovani si piacessero, iniziassero a frequentarsi per poi convolare a nozze nel 1943. A distanza di poco tempo la carriera subì una pausa per la nascita del loro primogenito, Ugo, avvenuta negli ultimi mesi dell’anno successivo, e poi nuovamente sulla cresta dell’onda appena trascorsa la Seconda Guerra Mondiale. Carattere volitivo, tenace ma non capriccioso, schietta e diretta, Fedora, trascorso il conflitto, dette avvio a quella vorticosa girandola di trasferte, anche oltreoceano e oltre la Manica, che la portarono, ogni anno, a esibirsi sia in Nord America ― New York ― che in America del Sud ― Argentina e Brasile ― come in Inghilterra; il debutto alla Metropolitan Opera di New York avvenne nel 1950. Una particolarità assai curiosa: la cantante, pur non avendo alcun timore di volare, tutte le volte che doveva spostarsi verso l’America preferiva viaggiare per 15 giorni in transatlantico, piuttosto che prendere l’aereo. In questa maniera aveva modo di svagarsi e riposarsi, trascorrendo un po’ di tempo con il proprio marito, che nel frattempo era divenuto anche il suo manager, seguendola ovunque, mentre i due ragazzi ― a Ugo si era aggiunto nel 1953 Franco ― venivano lasciati stabilmente a Firenze, affidati alle cure della nonna, mancata nel 1975, quando i giovani erano oramai adulti.

Nel 1983 Fedora Barbieri resta vedova. Nei successivi 20 anni continuerà a cantare in giro per il mondo, diminuendo progressivamente le sue esibizioni, ma aumentando la quantità dei ruoli comprimari, sempre di grande rilievo, sebbene meno impegnativi fisicamente. Vero “animale da palcoscenico”, la Barbieri in sessanta anni di attività ha interpretato 109 ruoli e ha lasciato un grande numero di incisioni, prodotte, dal vivo e in studio, con i maggiori direttori e interpreti della sua epoca, come Toscanini, Serafin, Karajan, Levin e cantanti del livello di Moffo, Callas, Gigli, Raimondi.
Il 3 novembre del 2000, il giorno precedente al suo antico debutto, diede l’addio alle scene proprio interpretando il ruolo di Mamma Lucia, nella Cavalleria rusticana di Mascagni, nel medesimo Teatro Comunale di Firenze che ne aveva battezzato gli esordi.

Negli ultimi anni Fedora Barbieri si era proficuamente impegnata anche nel ruolo di insegnante e di commissaria, conducendo alcune Master-Class e partecipando alle giurie di concorsi indetti da vari teatri, prevalentemente italiani ed europei. Donna molto attiva, dotata di un’energia proverbiale, si è spenta a Firenze nel marzo del 2003, all’età di 83 anni. Ora Fedora Barbieri riposa a Trieste, vicino alla madre e alla sua famiglia di origine, nel Cimitero di S. Anna, dove i figli hanno trasportato le sue ceneri, seguendo un suo preciso desiderio. Alla medesima città è stata affidata la donazione dei suoi abiti di scena, che a differenza di quanto avviene adesso, al tempo restavano proprietà dell’interprete e non del teatro. I costumi storici di scena sono ora conservati, insieme ad alcuni bozzetti, presso il Civico museo teatrale Carlo Schmidt; la donazione dette spunto pure per allestire una mostra avvenuta nel 2006. Sempre a lei, la città di Trieste ha intitolato un giardino pubblico, in segno di memoria e riconoscenza.

Alla città Firenze, nel corso della propria vita, la cantante ha donato e lasciato molto, specialmente come patrimonio intangibile, essendo stata una “grande cittadina del mondo”, capace di portare ovunque la gloria vocale della scuola del Maggio Musicale Fiorentino. Per il momento, in occasione del centenario della sua nascita, Firenze ha intitolato alla cantante la piccola Piazza davanti all’ingresso del nuovo Teatro del Maggio Musicale e apposto una targa nel luogo della sua prima abitazione fiorentina, al civico 29 di via il Prato.

http://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=29464https://verdepubblico.comune.trieste.it/giardini-attrezzati/giardino-fedora-barbieri.
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Articolo di Lucia Mascalchi

Fiorentina, da sempre interessata alla storia di genere e alle dinamiche dei movimenti femministi, attualmente lavora come funzionaria pubblica presso un museo della propria città. Nel suo tempo libero svolge il ruolo di Tutrice Volontaria di Minore Straniera/o non Accompagnata/o ed è fra le socie fondatrici dell’associazione che ne coordina le iniziative sul territorio toscano.
