Lidia Poët e il giardino di San Pietro in Gessate

Una piazzetta piccola con qualche albero, aiuole e cespugli verdi, un giardino raccolto davanti alla suggestiva facciata a capanna della Chiesa di San Pietro in Gessate, con decorazioni in cotto, caratteristica del Rinascimento lombardo, qualche panchina discreta sullo sfondo, spazio verde, ordinato, quasi un mondo a sé rispetto ai palazzi che la circondano e al corso di Porta Vittoria che si stende davanti col suo traffico di bus, tram, auto e l’imponente confine del palazzo di Giustizia di Milano.
Non sembra di essere a Milano, ma in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, basta non guardare i palazzi intorno e i tram e bus di corso di Porta Vittoria. Ma dietro la via, vicino e lontano insieme, nella sua maestosità, è proprio il Palazzo di Giustizia con la sua struttura imponente e la sua storia il punto di riferimento significativo per l’evento che sta per accadere.
Tra le aiuole, infatti, su un lato del giardino, una targa aspetta di essere svelata. È quasi l’ora, poca gente un po’ dispersa e poi un avviso: evento spostato due ore dopo… sconcerto e sorpresa, si saprà dopo di sopraggiunti problemi in precedenti eventi istituzionali.
Mi viene in mente che sembra quasi una provocazione: cosa sono due ore in confronto ai quarant’anni che Lidia Poët ha dovuto aspettare per un riconoscimento formale della sua professionalità?

Maria Rosa Del Buono e Marina Cavallini
Foto di Marinita Cataldo

Dopo due ore arrivano gruppetti di persone, macchine fotografiche, soggetti in divisa, autorità, qualche cartello tra cui quello di Toponomastica femminile, citato dall’assessore alla cultura Tommaso Grossi come assidua e gradita presenza alle intitolazioni. E cominciano i discorsi in preparazione al disvelamento della targa per Lidia Poët. Dalle parole dell’assessore alla cultura, con delega alla toponomastica, del presidente di zona, delle referenti di diverse associazioni, appare subito chiaro che intitolare questo giardino a Lidia Poët è come animare lo spazio del giardino di fronte al Palazzo di Giustizia con l’unico soggetto veramente adeguato al contesto.
Nata nel 1855 in un’agiata famiglia valdese in val Germanasca, Lidia é stata infatti la prima donna a entrare nell’ordine degli avvocati in Italia ben 40 anni dopo la laurea, conseguita nel 1881 alla facoltà di giurisprudenza di Torino, unica donna e per di più con una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto alle donne.

Tommaso Grossi, assessore alla cultura con delega alla toponomastica
Foto di Maria Rosa Del Buono

In alternanza tra affermazioni positive e pesanti rifiuti, ci volle una lunga battaglia per veder realizzato il suo diritto a svolgere la professione di avvocata. A partire dal brillante voto di abilitazione alla professione forense, abilitazione raggiunta dopo una ricca pratica legale a Pinerolo presso l’avvocato e senatore Cesare Bertea, arrivando al pesante rifiuto della cancellazione dall’albo degli avvocati, al quale le era stata concessa inizialmente l’iscrizione. La cancellazione dall’albo avvenne in seguito su richiesta del procuratore con riferimento tra l’altro nella motivazione all’inadeguatezza del carattere delle donne a tale ruolo, al loro dovere di dedicarsi ad altro, ovvero famiglia e figli, e, non ultimo, anche con un  richiamo all’abbigliamento femminile definito bizzarro, che mal si conciliava con l’austerità della toga.
Lidia non poté, quindi, esercitare a pieno titolo la sua professione, ma collaborò con il fratello, anch’esso avvocato, a cui fece da assistente senza fermarsi mai a ruoli subalterni. Diede, infatti, importanti contributi per la realizzazione dell’attuale diritto penitenziario, partecipando anche a diversi congressi penitenziari internazionali, dove ricoprì ruoli di rilievo per ben 30 anni.
Il Governo francese, invitandola a Parigi, la nominò Officier d’Accademie, onorificenza tributata per i lavori svolti al congresso penitenziario internazionale di Parigi del 1895. Aderì al Consiglio Nazionale delle Donne Italiane. Operò per il voto delle donne e partecipò attivamente alla realizzazione del programma del primo congresso delle Donne Italiane a Roma nel 1908, rivendicando diritti per le donne che saranno riconosciuti solo molto dopo, come il diritto di voto, divorzio, equiparazione tra figli naturali e legittimi, servizio civile per le ragazze.
Questo il ritratto che esce nei discorsi delle autorità, affascinante e suggestivo, quasi frutto di una creazione da romanzo. Non a caso forse Lidia Poët è stata protagonista di un’affascinante storia romanzata in una serie di Netflix che ha visto in scena una donna libera, brillante, emancipata e competente capace di azioni brillantemente provocatorie, anche se forse un po’ troppo liberamente caratterizzata, secondo le osservazioni critiche della famiglia che non ne condivide la rappresentazione troppo disinvolta in non pochi aspetti messi in scena.

Lella Costa e la pronipote di Lidia Poet
Foto di Marinita Cataldo

Infatti è proprio dalle testimonianze commosse delle pronipoti Daniela e Margherita, che sotto alla targa appena scoperta fanno seguito agli interventi delle autorità, che traspare senza caratterizzazioni strumentali un ritratto autentico di Lidia, come se l’avessero conosciuta da viva. Un ritratto non formale o estremizzato, così come se lo sono costruito nei racconti che hanno sentito in casa fin da piccole in un clima intorno a loro carico di affettuosa ammirazione nei suoi confronti. Dalle loro parole traspare l’orgoglio per la passione e l’impegno che hanno caratterizzato la vita di Lidia. Sottolineano in particolare il suo coraggio per non essersi fermata a diventare maestra, una delle poche professioni concesse alle donne nell’Ottocento e l’orgoglio per la sua indefessa difesa dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne.
Ma dal gruppo sotto alla targa una figura femminile, che era rimasta nascosta, avanza e entrano in scena con lei in una recita ironica pregiudizi e stereotipi sulle donne, ancora purtroppo così attuali. «Dietro a un grande uomo, c’è sempre una donna stupefacente», ecco l’incipit di Lella Costa che con il fascino del suo approccio recitato senza recitare, con ironia e disinvoltura, ci porta in vita il messaggio forte dello spirito di Lidia, evocandone più che le azioni i suoi atteggiamenti e la forza delle sue affermazioni, in un breve monologo che la fa diventare viva tra noi e che ci fa riflettere sul cammino che ancora oggi noi dobbiamo fare.

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Articolo di Maria Rosa Del Buono

Di formazione classica, filosofica, psicologica, iscritta all’albo degli psicologi della Lombardia, sono stata docente dalla scuola secondaria di I grado all’Università e mi sono dedicata alla formazione docenti in ambito istituzionale e associativo, con particolare attenzione ai temi delle Pari Opportunità e della Differenza di Genere. Sono membro del direttivo della Casa delle Artiste.

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