«Meraviglia dello stare bene
quando le formiche mentali
non partoriscono altre formiche
e si sta leggeri come capre sulla rupe
della gioia».
Mariangela Gualtieri, Meraviglia dello stare bene, 2019.

Per Natale mi è stato regalato un libro di cui non conoscevo l’esistenza. Sono una lettrice compulsiva e non invidio i miei amici e le mie amiche quando devono scegliere un titolo per me.
Questa volta però chi me lo ha regalato mi ha spiazzata. Lo ha trovato in una libreria particolare, Livres et Musique di Champoluc, un piccolo gioiello gestito dalla libraia Danila Cugnod e dalla sua amica Cinzia, in cui, oltre a un’ottima scelta di best seller e novità editoriali, si possono rinvenire collane delle case editrici grandi e piccole, gadget intelligenti, quaderni e oggettistica legata ai libri, cd musicali e tanta letteratura di montagna. Prima o poi mi piacerebbe intervistare questa donna coraggiosa, che ha lasciato l’insegnamento per realizzare il sogno di aprire una libreria (in foto).

Lontano dalla vetta. Di donne felici e capre ribelli di Caterina Soffici è un libro che solo chi mi conosce bene poteva scegliere per me. L’autrice è una persona che ha sempre amato il mare e il caldo ma che sulla sua strada ha incontrato il compagno della vitache le ha fatto scoprire la montagna. Una vita per molti aspetti parallela a quella toccata in sorte a me, figlia di un uomo che «sapeva di mare», nuotatore provetto che da piccolissima mi insegnò a stare a galla e ad andare al largo nel Golfo di Napoli e in quello del Tigullio. Per alcuni anni le mete delle vacanze sono state, per Soffici e per chi scrive, un po’ di terra e un po’ di mare, poi hanno finito per essere prevalentemente di montagna.
L’autrice da molto tempo ha scelto di fare escursioni alpine durante le vacanze ed è quasi sempre, come me che sono soprannominata escargot, quella che nelle gite chiude il gruppo. Soffici non ama la vetta ma il cammino e si trova a passare un anno in una baita (con qualche comodità in più rispetto alle più spartane) a 1700 metri durante «l’anno dell’Accadimento», cioè presumibilmente nel periodo del confinamento in pandemia, ma questo nel libro non sarà mai detto in modo esplicito.
Già l’esergo del libro mi ha aperto il cuore. Si tratta di una citazione della mia alpinista preferita, Nives Meroi (in foto): «Io sono le montagne che non ho scalato».

Il testo di Caterina Soffici, che «crede nel potere delle parole di cambiare il mondo e per questo tiene corsi di scrittura al Ministry of Stories, il laboratorio di East London per bambini e ragazzi di ambienti svantaggiati, dove si lavora sulla creatività, il racconto e la memoria», si colloca a metà tra un diario e un saggio, con citazioni e poesie di donne e uomini che con la montagna hanno intrattenuto un rapporto speciale. Racconta il percorso di scoperta della vita in montagna, non quella del “lunapark” delle stazioni sciistiche, ma quella di chi la vive davvero. L’autrice si sofferma su alcune relazioni importanti, soprattutto con figure femminili: la pastora detta la Regina delle caprette, la conoscitrice delle erbe, soprannominata la Donna dei fiori, e la ragazza che, dopo l’omicidio di Agitu in Trentino, ha tenuto per un po’ il gregge della pastora etiope e adesso di tanto in tanto aiuta la Regina delle caprette, tornando dal Trentino in Val d’Ayas. Eh sì, perché un’altra parte delle vite parallele è proprio la Valle che frequento da 20 anni, una delle più aperte della Valle d’Aosta, in cui ho deciso, da qualche anno, di passare molto più tempo che in Lombardia.
La protagonista del libro, che è giornalista e scrittrice e trascorre molto tempo a Londra, è inizialmente attratta da questa vita così diversa, così legata alla natura (che però i valligiani e le valligiane chiamano semplicemente “montagna”, come ci ricorda Cognetti nei suoi racconti), così terapeutica per l’anima. Non lo ha fatto per scelta, ma per caso. Moglie di quello che i ragazzi valdostani amici dei due figli chiamano “Signor Stambecco” (appellativo che rivela profonda stima quando è scelto da un nativo della Valle nei confronti di un turista speciale), ha imparato a camminare con il suo cane calabrese in montagna e ad apprezzarne in vacanza la bellezza ma anche i disagi, che patisce più delle persone che le stanno vicino. Si lamenta del freddo quando non sente più le dita dei piedi, del vento gelido che mette a dura prova, dei disagi della montagna vera, non quella delle spa e delle pubblicità patinate veicolate dalle tv.
Agitu, la bella pastora barbaramente uccisa, è una presenza che aleggia per tutto il diario/saggio. La incontriamo all’inizio e alla fine del libro e continuerà a restarci nel cuore.

In questo racconto di un anno in montagna incontriamo la diffidenza iniziale, che poi si smorza, dei valligiani nei confronti di turisti e turiste, le tante scuole chiuse per mancanza di bambini e il problema dello spopolamento, l’inverno con la neve che, per turisti, alberghi e impianti è una benedizione, ma per chi vive in quota è fatica, disagio, ostacolo. La frase «speriamo che non nevichi» oggi, in epoca di riscaldamento globale, è difficile da condividere, ma in questo contesto si può capire. Soffici (in foto) e il Signor Stambecco stanno al pc e possono lavorare da remoto ma i ritmi sono completamente diversi da quelli cittadini. Anche i vestiti che dovevano servire per stare via solo due settimane sono più che sufficienti, perché in baita riscopri l’essenziale. Less is more. E la fortuna è quella di poter camminare all’aria aperta in grandi spazi, anche durante il confinamento, perché il territorio e il borgo sono molto più estesi di quelli degli isolati delle nostre città dove in periodo di pandemia sembravamo criceti in gabbia.

Il romanzo/saggio attraversa le stagioni ed è un percorso di consapevolezza e recupero della connessione con sé stesse/i. Particolarmente belle e interessanti sono le descrizioni delle capre, animali intelligenti, ribelli e coraggiosi che gli amici e le amiche cittadine della protagonista fanno fatica a distinguere dalle pecore. Non riuscirò mai a capire perché, di una persona che ha più difficoltà delle altre persone a capire, si continui a usare il paragone con le capre. Forse proprio perché chi vive in città ha perso il contatto con la realtà e non sa di che cosa parla. Trascorso l’anno dall’”Accadimento” la protagonista ritorna a Londra, dove fa fatica a riabituarsi al rumore, al traffico, alla frenesia, alla quantità illimitata di cose superflue. Ma non crediate a una fine scontata. Non sempre Less is more. Caterina Soffici non è andata nei boschi con lo spirito di Henry David Thoreau. Ha imparato moltissime cose, soprattutto a stare con le caprette e il sottofondo dei loro campanacci, quello che la pastora chiama “il rumore della felicità” richiamandole alla memoria le parole della poeta Mariangela Gualtieri, in Meraviglia dello stare bene. Ha apprezzato i nevai anche attraverso le parole della grande poeta Antonia Pozzi.

Il libro, che spero di avervi convinto a leggere, è profondamente femminile, mescola emozioni e sensazioni personali a tematiche con cui in montagna ci si confronta per forza, come il ritorno del lupo e la diversa visione in merito di pastori e ambientalisti, la presenza della volpe, il rapporto con la neve, il ghiacciaio e il suo respiro, che chi cammina in alta montagna ha imparato ad ascoltare; e ancora il problema della delimitazione dei confini, tanto importante per i valligiani, il vacanziero assalto dei turisti alla montagna (tra gli escursionisti veri che frequento definiti merenderos) cui segue il senso di liberazione quando finalmente tornano in città, l’importanza del passo e del respiro, la bellezza e la varietà dei fiori e delle stagioni. Sedersi su un masso a respirare ed inspirare serve a capire che non ci si deve fidare troppo della mente, che il corpo va ascoltato e può aiutarci a far scomparire i pensieri negativi.
Di Lontano dalla vetta mi hanno tanto divertita i racconti delle escursioni della protagonista con il Signor Stambecco, sempre più veloce, pronto per tempo, più preparato, più resistente alle intemperie rispetto all’autrice del libro. Mi sono rivista in tante discussioni e piccole ribellioni in famiglia durante le camminate in montagna, al termine delle quali torno sempre contenta di avere visto luoghi tanto belli, di avere ritrovato la connessione con me stessa, di avere immaginato soluzioni a problemi che in città sembravano irrisolvibili. Un pò come è capitato a Caterina Soffici, in cui spesso mi sono rispecchiata, anche nella scelta finale che lascerò alle nostre lettrici e ai nostri lettori il piacere di scoprire.

Caterina Soffici
Lontano dalla vetta
Ponte alle Grazie, Firenze, 2022
pp. 160
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
