La biblioteca nel ghiaccio. Le carote e i loro segreti

Il Museo del Clima di New York nel 2018 ha organizzato una mostra dal titolo In Human Time, in cui le artiste Zaria Forman e Peggy Weil, per coinvolgere e informare gli spettatori/trici sul cambiamento climatico e il ruolo degli esseri umani, hanno utilizzato la bellezza dei paesaggi polari e del ghiaccio. 
Nella mostra non si parla esplicitamente di Antropocene, ma il riferimento al tempo della Terra e all’essere umano è evidente.
L’Antropocene è il nostro tempo, l’umano al pari di altre forze planetarie, è considerato agente di cambiamenti geologici estesi e irreversibili, per lo meno a medio termine (qualche milione di anni). E non è una buona notizia.

Peggy Weil 88 Cores, Art Exhibition

Peggy Weil con il suo filmato 88 cores mette insieme le scansioni digitali di 88 carote di ghiaccio, come dice il titolo, risultato di una perforazione che scende nella calotta glaciale della Groenlandia per poco più di tre chilometri, andando indietro nel tempo fino a circa 110.000 anni fa. Con lo sguardo dell’artista, Weil ci mostra la bellezza del ghiaccio e ci porta a riflettere sulle scale temporali, la rapidità della vita degli umani paragonata al tempo del pianeta e il clima del passato remoto rispetto a quello del presente. Quando ero una matricola a Geologia, scoprii che le “carote” non erano solo ortaggi dal colore vivace, ma in gergo tecnico erano chiamati così i cilindri di roccia, sedimenti, o ghiaccio che venivano estratti per meglio studiare la stratigrafia, la composizione e le modalità di formazione. La cosa mi fece ridere, perché da giovane stolta che ero, e in parte sono ancora, immaginavo conigli giganti molto interessati a quello strano tipo di frutti della terra. Lo strumento dedicato alla raccolta delle carote si chiama carotiere, una punta cava alla fine di un’asta che viene fatta ruotare da un motore, e si parla di carotaggio per descrivere l’azione di perforazione che porta all’estrazione dei cilindri. Nel mondo anglosassone si usa invece il termine core, che si può tradurre con nucleo, essenza, ma anche torsolo. 

Bolle nel ghiaccio, CSIRO Australia

La storia delle perforazioni nel ghiaccio risale ai primi del Novecento e all’inizio venivano eseguite per misurare le temperature interne ai ghiacciai a diverse profondità. Per motivi tecnici i primi carotaggi veri e propri, arrivarono solo negli anni Quaranta sulle Alpi, quando si pensò di utilizzare l’acqua calda per aiutare la rotazione dei carotieri.

La prima carota di ghiaccio degna di questo nome venne estratta in Groenlandia da una spedizione francese nel 1949. 
Ma cosa c’è nel ghiaccio e a che serve disturbare ghiacciai e calotte polari tirando fuori questi cilindri gelati?
Tutto inizia con la neve quando si accumula in quantità superiori a quella che si scioglie o evapora. Questo avviene in zone dove la temperatura è bassa, ad alta quota o a latitudini elevate. Tra un cristallo e l’altro di neve è presente molta aria; col tempo, precipitazione dopo precipitazione, la pressione degli strati superiori comprime la neve sottostante. L’aria viene espulsa quasi tutta e i cristalli si avvicinano, formando un freddo materiale intermedio noto come firn. Man mano che si aggiungono nuovi strati e la pressione aumenta, il firn si compatta ulteriormente trasformandosi in ghiaccio. Questo processo può durare secoli. 

Carota dalla calotta glaciale dell’Antartide occidentale (WAIS Divide). L’anello scuro nel ghiaccio è cenere di una eruzione vulcanica. Heidi Roop NSF

Per quanto la pressione renda compatto il ghiaccio, al suo interno rimangono intrappolate bolle d’aria, particelle di sedimento e polveri, goccioline di liquido. Sono proprio queste impurità che interessano le scienziate/i. Le carote permettono di recuperare queste fonti di informazione: più vengono raccolte in profondità, più indietro si va nel tempo. Attraverso l’analisi delle carote si possono ricostruire le temperature e le concentrazioni di gas serra, e in generale il clima del passato, il paleoclima, per confrontarlo con quello attuale. L’aria intrappolata nelle bolle è proprio l’atmosfera del passato, letteralmente, e attraverso tecniche analitiche come la spettrometria di massa o la gascromatografia possiamo sapere quanta anidride carbonica, o metano, ci fossero al momento di quella antica nevicata. I sedimenti e le polveri nel ghiaccio (ceneri vulcaniche, resti carboniosi), invece, possono essere la testimonianza di grandi eruzioni e incendi del passato. Così come nelle carote dal 1945 al 1980 si possono riconoscere gli isotopi di plutonio liberati in atmosfera durante i test nucleari, il famigerato fallout radioattivo. 

Campo Base Little Dome C. Progetto Beyond EPICA

Ma come si capisce quanto è antico il ghiaccio, come si fa a datarlo? 
I ricercatori e le ricercatrici utilizzano vari metodi per attribuire un’età al ghiaccio. Nelle carote più superficiali si può distinguere un’alternanza di strati sottili più chiari, estivi, o più scuri, invernali. In questo caso è sufficiente, per così dire, mettersi a contare gli strati per ricavare l’equivalente in anni. La differenza di colore è dovuta alla variazione di struttura dei cristalli nei diversi momenti dell’anno. Questo metodo non può essere usato per le carote più profonde e antiche, perché a causa della pressione diventa difficile distinguere i singoli strati. Le ceneri vulcaniche hanno una firma isotopica caratteristica che può essere correlata al vulcano di provenienza e all’eruzione che le ha prodotte. Gli isotopi radioattivi, elementi chimici dal nucleo instabile, tendono a decadere, cioè a trasformarsi in elementi più stabili, in tempi noti, consentendo così di attribuire un’età piuttosto precisa ai materiali che li contengono attraverso la misura del rapporto tra gli isotopi decaduti e quelli ancora instabili. Allo stesso modo vengono misurati gli isotopi dell’idrogeno e dell’ossigeno che danno informazioni sulla temperatura di atmosfera e oceani
Un altro metodo per contare l’alternanza delle stagioni in alcune carote è quello di misurare la quantità di sale marino, portato sulla calotta dal vento proveniente dal mare. La quantità di sale sarà maggiore d’estate e minore d’inverno. Infatti, nella stagione invernale, a causa della porzione di mare ghiacciato, il sale marino sarà più distante dalla nuova neve caduta all’interno della calotta. Il sale e la polvere vengono misurate facendo attraversare il ghiaccio da una corrente elettrica, la conduttività del ghiaccio viene, infatti, alterata dalla presenza o meno di impurità. 

Carotaggio. Progetto Beyond EPICA

La Groenlandia e l’Antartide sono i luoghi in cui vengono fatte la maggior parte delle perforazioni, in particolare l’Antartide con i suoi 2.200 m. di spessore medio della calotta, è il luogo ideale per l’estrazione del ghiaccio da studiare. Il progetto europeo Beyond EPICA – Oldest Ice, coordinato dall’Istituto di Scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), vuole ricavare dati sull’evoluzione delle temperature, sulla composizione dell’atmosfera e sul ciclo del carbonio. L’obiettivo del progetto è quello di scendere di circa 2.700 metri per tornare indietro nel tempo di 1,5 milioni di anni. Il sito di perforazione è sul plateau antartico a pochi chilometri dalla base italo—francese Concordia, a Dome C. A oggi 2024 il progetto Beyond EPICA ha raggiunto la profondità di 1.836 metri.
Un altro progetto Ice Memory, riconosciuto dall’Unesco, sta prelevando dal 2015 carote dalle Alpi e dalle montagne di tutto il mondo, per conservare l’identità glaciale dei ghiacciai, sempre più minacciati dal riscaldamento globale. In una corsa contro il tempo e le temperature in aumento, questi campioni verranno conservati in Antartide in un vero e proprio archivio glaciologico
La storia climatica e ambientale del nostro pianeta è archiviata nei ghiacci, una vera e propria biblioteca terrestre di inestimabile valore che può aiutarci a comprendere meglio il passato e a capire cosa aspettarci dal clima del futuro.

Carota in “lavorazione”. Progetto Beyond EPICA

In copertina: 2018, Climate Museum Open House.

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Articolo di Sabina di Franco

Geologa, lavora nell’Istituto di Scienze Polari del CNR, dove si occupa di organizzazione della conoscenza, strumenti per la terminologia ambientale e supporto alla ricerca in Antartide. Da giovane voleva fare la cartografa e disegnare il mondo, poi è andata in un altro modo. Per passione fa parte del Circolo di cultura e scrittura autobiografica “Clara Sereni”, a Garbatella.

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