Oltre lo specchio. Conflitti e fantasmi

Il quarto incontro tenuto dal laboratorio Sguardi sulle differenze nell’ambito del ciclo Parlarne tra amiche — Raccontarsi e ri — conoscersi nella relazione con le altre, si intitola Oltre lo specchio: conflitti e fantasmi. Si è svolto il 17 febbraio presso la facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, a Roma. Il tema centrale è l’ambivalenza all’interno dei rapporti tra donne. Dopo aver analizzato, nei seminari precedenti, gli aspetti positivi del rispecchiamento, si dà spazio stavolta a un tema più difficile da affrontare ma altrettanto necessario. Il punto di partenza della riflessione, come si legge nella presentazione, è il seguente: «Conflitto, odio, gelosia e invidia dell’altra hanno raramente trovato luoghi nei quali essere elaborati. Eppure, sono elementi costitutivi delle relazioni fra donne, nelle quali si producono giochi di specchi tra immedesimazione e contrasto, ammirazione e invidia, desiderio e gelosia, senso d’uguaglianza e dissimmetrie. Se da una parte il pensiero patriarcale attribuisce questi sentimenti, fra tutti l’invidia, alle donne (e l’ira, più eroica, agli uomini), dall’altra essi sono generalmente silenziati, rimossi. Tuttavia, le “passioni negative” possono anche trasformarsi in punti di forza perché spingono a riconoscersi debitrici e bisognose l’una dell’altra, riducendo le pretese di onnipotenza. Esploriamo i sentimenti scomodi, scoprendone le sfaccettature e il potenziale politico». Come d’abitudine, ad avviare la discussione sono i testi proposti: Silvia Vegetti Finzi, La mela avvelenata: funzione dell’invidia nella relazione tra donne, nel volume L’invidia. Aspetti sociali e culturali, Scheiwiller 1990, a cura di Gustavo Pietropolli Charmet e Massimo Cecconi; Luisa Muraro, Le ragioni che una donna può avere di odiare la sua simile in Piccoli racconti di misoginia di Patricia Highsmith, La Tartaruga nera 1984; Patricia Highsmith, Piccoli racconti di misoginia.

Bompiani 2012, tutti disponibili sul sito:
https://www.sguardisulledifferenze.eu/2024/02/12/oltre-lo-specchio-conflitti-e-fantasmi/.
Le tre relatrici appartengono a tre generazioni diverse, in modo da favorire un punto di vista più completo e ampio e una lettura diversificata dei testi. L’introduzione è affidata alla mediatrice, Annalisa Perrotta, che, nel presentare le ospiti, rimarca l’importanza dei sentimenti negativi e il loro ruolo nell’allontanare dall’obiettivo comune di un gruppo coeso che mira alla libertà.
La prima a prendere la parola è Manuela Fraire, membro onorario della Società Psicoanalistica Italiana, femminista formatasi attraverso la pratica dell’autocoscienza, autrice. Questo primo contributo prende le mosse dal saggio di Silvia Vegetti Finzi, che opera un’importante analisi della parola invidia e della sua provenienza dal latino invideo, “guardare con sospetto”, “esaminare malignamente”. Prosegue così: «Non si invidia chi si disprezza. Nessuno invidia l’elevato tenore di vita di un mafioso o le ricchezze di una prostituta. Di solito l’invidia va di pari passo con l’ammirazione ma non vi è piacere come in quest’ultima, ma sofferenza. L’invidioso soffre perché il malanimo che prova per l’altro lo avvelena». E ancora: «La misoginia, che alligna tanto nel pensiero comune quanto nella cultura, è solita attribuire alle donne il difetto dell’invidia così come all’uomo quello dell’ira». L’invidia di cui parla Vegetti Finzi non verte sull’avere, ma sull’essere: per lei, una donna potrà competere con un uomo ma invidiare veramente solo un’altra donna. Il testo propone poi una riflessione sulla posizione freudiana in merito all’invidia del pene, della quale Fraire riesce a restituire un’analisi molto lucida e supportata dall’esperienza con le/i pazienti oltre che dallo studio teorico. Secondo Freud, le bambine, durante la prima infanzia, si scontrerebbero con la consapevolezza di essere manchevoli di qualcosa, in un certo senso mutilate, sviluppando così un’invidia nei confronti dell’altro sesso. Un punto di vista esclusivamente maschile che non tiene conto della percezione che la bambina ha del proprio corpo; punto di vista ribaltato da Melanie Klein, che si è concentrata principalmente sul rapporto madre — figlia. Il ragionamento di Klein riportato da Manuela Fraire è incentrato sulla potenza procreativa della donna, che ha generato un sentimento d’invidia tanto nel mondo maschile quanto in quello femminile. Ogni donna, dice, si ritrova prima o poi a interrogarsi sulla maternità, sul perché la desideri o meno; e questo avviene per il confronto con le altre donne, prima fra tutte la madre. Il patto interumano tra uomini e donne detto patriarcato non ha permesso alle donne di riconoscere questo potere: bambini e bambine si chiedono come sia possibile che un corpo sia contenuto in un altro corpo e nutrono ammirazione per questo potenziale. Oltre a ciò, nel corso dello sviluppo non viene riconosciuta alla bambina una pulsione sessuale che invece è riconosciuta ai maschi. Le figlie non possono condividere con le madri la questione sessuale, non può esserci rispecchiamento, e anche questa mancanza genera ambivalenza nel rapporto tra donne. Per Fraire l’invidia è un fenomeno molto più strutturato, ma che può trovare le sue radici anche nel rapporto con la madre, come le insegna la sua esperienza pluriennale con le pazienti.
Il secondo contributo arriva da Fabrizia Giuliani, docente di Filosofia del Linguaggio e fondatrice del laboratorio. Definisce l’invidia un tabù, e ne rintraccia i sintomi nella propria esperienza professionale e personale, mettendosi generosamente a nudo; e constata che l’invidia delle donne verso altre donne è un qualcosa su cui gli uomini hanno sempre fatto affidamento. Anche per quanto riguarda la letteratura femminista, a suo parere, si tratta di un tema che resta molto problematico e di difficile individuazione. L’ordine simbolico e politico auspicato dal femminismo non si è ancora avverato, e ci si trova di fronte alla difficoltà ad agire insieme per uno scopo comune. Afferma che il testo di Muraro non si limita a descrivere la misoginia, ma vi partecipa: si tratta di un disprezzo assimilato che fa parte della nostra storia e con cui bisognerebbe fare i conti. La storia delle donne fatta di privazioni è stata in realtà anche il nutrimento delle rivendicazioni, ma è necessario fermarsi ad analizzare quanto ciò abbia contribuito ad alimentare le relazioni tra simili. È auspicabile, per Giuliani, superare il disprezzo accettando di porsi in una relazione “impari” che non elimini le differenze e tenga conto dell’invidia e delle sue conseguenze. 
Il terzo e ultimo intervento è quello di Giorgia Natalini, neo — laureata in Filologia moderna e compositrice di poesie visive tramite la tecnica del collage. Introduce il suo pensiero parlando del senso di colpa generato dal provare invidia per le proprie simili, legato al sentirsi manchevoli di cura del rapporto con le compagne di lotta. Porta un interessante contributo sul tema del conflitto, dicendo che pensa che il suo evitamento sia stato il modus operandi delle donne. Fin da bambine viene richiesto di essere accoglienti, buone, accomodanti, non polemizzare, non criticare, non confliggere, appunto. È forse il momento di creare un nuovo modo di confrontarsi e di gestire le divergenze, di accogliere i sentimenti negativi nella consapevolezza che non saranno in grado di vincere la sorellanza e il rispecchiamento positivo. 
Segue un dibattito molto partecipato nel quale esperienze intime e personali si mescolano ai supporti teorici di ognuna, dando vita a un confronto ricco e stimolante, come sempre. 

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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.

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