Maria Rosa Coccia, la prima Maestra di Cappella

«…non seguendo il metro del commun impiego al mio sesso, procurai distinguermi coll’acquisto di qualche scienza, che potesse supplire a ciò che non sortii dalla fortuna. Fu questa la musica…» così scrisse Maria Rosa Coccia nella Lettera a Maria I Regina di Portogallo, Roma 28 maggio 1778.
L’ampia e circostanziata monografia di Candida Felici raccoglie e analizza tutte le stampe e i manoscritti di Coccia conosciuti fino al 2004 mettendone in luce l’originalità e la modernità: «… la scrittura della Coccia si rivela degna d’interesse e nient’affatto marginale nel panorama dell’ultimo trentennio del Settecento, facendo sue le istanze più moderne, pur da una posizione d’isolamento quale poteva essere quella di una donna compositrice che, per quanto ne sappiamo, non si mosse mai da Roma nel corso della sua pur lunga vita». (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Roma, Colombo 2004, p. 70). Se le composizioni sacre presentano «…un linguaggio fortemente influenzato dalla musica profana e spiccatamente moderno», le Cantate profane Arsinoe e Il Trionfo d’Enea «…per la condotta dell’azione e le dimensioni [sono] da considerarsi delle vere e proprie opere…» (idem p. 68). 

Nei secoli XVII e XVIII molte ragazze nobili e ricche erano indotte a farsi monache per evitare il pagamento di esose doti matrimoniali e non mancarono casi di monacazione forzata. Ma poteva anche accadere che giovani dotate di talento musicale preferissero il chiostro al matrimonio per poter cantare, suonare e soprattutto comporre musica più liberamente. A Venezia esperte suore musiciste, eludendo anche il vincolo della musica sacra, insegnavano l’esecuzione strumentale, la composizione e il canto alle giovani povere. Nelle corti europee era costume diffuso che nobili e regnanti eccellessero come compositrici ed esecutrici. Uno stile di vita a cui si andava uniformando la borghesia ricca e illuminata anche in Italia, dove ci si avvaleva delle competenze delle monache o si ricorreva a un Maestro di Cappella. Ma per quanto fosse accettabile e auspicabile che le donne praticassero musica per diletto — potenziando le proprie attrattive come future mogli e padrone di casa — o, come è il caso delle suore, per dovere, non era approvato che ne facessero una professione. Meno che mai a Roma dove dal 1716 il papa aveva stabilito che solo la Congregazione di Santa Cecilia, previo il superamento di un severo esame, poteva conferire la patente di Maestro di Cappella, titolo che dava diritto a dirigere e coordinare il complesso delle attività musicali presso chiese, dimore nobiliari e teatri, assicurando ai maestri contratti e redditi cospicui. Fu in questo ambiente maschile e competitivo che tentò di farsi strada Maria Rosa Coccia. Figlia di Antonio, di professione speziale, e di Maria Angela Luzi, era nata a Roma il 4 giugno 1759. Bambina prodigio dotata di eccezionale talento musicale all’inizio venne probabilmente istruita da una suora. A otto anni già eseguiva «difficili composizioni e trasportandole in tutte le tonalità, tanto da essere invitata a suonare il clavicembalo in casa del barone Carlo Odoardo du Classe che l’accompagna al violoncello» (idem p.40). A dodici anni compose sei Sonate per clavicembalo dedicate a Carlo III Stuart e L’isola disabitata, opera andata perduta di cui rimane solo il libretto di Pietro Metastasio. L’anno dopo compose l’oratorio Daniello (andato perduto) sempre su testo di Metastasio, dedicato alla duchessa Marianna Caetani Sforza Cesarini, eseguito presso la Chiesa Nuova. Fu un evento eccezionale in quanto, per la fama della compositrice tredicenne, fu permesso l’accesso anche alle donne a cui di norma era vietato assistere agli oratori. Il periodico romano Diario Ordinario riferì: «…numeroso intervento di nobiltà ne’coretti e di persone civili ne’banchi… stato il tutto applaudito da numeroso uditorio». (idem p. 44)
Sotto la guida di Sante Pesci, Maestro di Cappella della basilica Liberiana (Santa Maria Maggiore), studiò per l’ammissione alla Congregazione di Santa Cecilia. La fama di cui godeva e l’intercessione del Maestro avranno avuto un peso nel consentirle, anche se donna, l’accesso all’esame, ma bisogna aggiungere che nella seconda metà del Settecento pure alle istituzioni più conservatrici ed impermeabili arrivava l’eco di un certo cambiamento delle idee. Nel 1773 c’era stata l’ammissione della prima donna alla prestigiosa Accademia Filarmonica di Bologna. Era Marianna De Martinez, figlia del Nunzio papale a Vienna, cantante e clavicembalista di grande valore legata a Metastasio, che si era molto prodigato nel sostenerne la carriera.

L’anno seguente, il 28 novembre 1774, a quindici anni, Coccia superò brillantemente l’esame che consisteva nella composizione di una fuga estemporanea a quattro voci sull’antifona Hic vir despiciens mundum, alla presenza di quattro professori, fra cui Pesci stesso. L’Esperimento estemporaneo svolto in un’ora e mezza fu giudicato ottimo: «…esaminata ed approvata la signora Maria Rosa Coccia, in qualità di Maestra di Cappella, concediamo libera ed ampia facoltà alla medesima di poter esercitare l’impiego pubblico di Maestra di Cappella in questa città di Roma con tutti gl’onori preminenze dritti e ragioni…confermati con Autorità apostolica». (idem pp.45-46). L’anno successivo l’Esperimento venne pubblicato e Coccia entrò a far parte anche dell’Accademia dei Forti assumendo il nome pastorale di Trevia. Nel 1779 a venti anni fu ammessa, con voto unanime, all’Accademia Filarmonica di Bologna. Nel 1780 Michele Mallio, che presiedeva l’Accademia dei Forti, pubblicò un Elogio storico della signora Maria Rosa Coccia a cui allegò poesie in lode e lettere di altri estimatori. Tuttavia, pur ricevendo entusiastici riconoscimenti da parte di illustri contemporanei tra cui il poeta cesareo Metastasio, il sopranista Carlo Broschi (Farinelli), l’erudito teorico della musica padre Martini, il principe dell’Accademia Filarmonica di Bologna Petronio Lanzi, il Maestro di Cappella Pasquale Antonio Basili ecc, il titolo conseguito non bastò a garantirle un impiego al servizio della Chiesa o un patrocinio stabile che le permettesse di vivere con i proventi della sua attività di compositrice. Non v’è dubbio che tanto successo potesse generare anche invidie e risentimenti. Nel 1781 Francesco Capalti, Maestro di Cappella di Narni, pubblicò la Critica all’esame fatto dalla signora Maria Rosa Coccia in cui rilevava errori nella tecnica del contrappunto e accusava di incompetenza Pesci e gli altri esaminatori di Santa Cecilia, da cui aveva peraltro subìto due bocciature consecutive nel 1756. Ne scaturì un’aspra controversia che la musicologa Maria Caruso riconduce al risentimento di Capalti verso l’Accademia di Santa Cecilia e allo scontro fra due concezioni diverse della tecnica del contrappunto: una più moderna ed evoluta e l’altra pedissequamente ancorata a regole dogmatiche. È evidente che Coccia si trovò, suo malgrado, a essere usata come pretesto per lo scontro. Questa ‘sovraesposizione’ non giovò alla giovanissima compositrice che, pur avendo conquistato ufficialmente una posizione di prestigio, in quanto donna dovette sopportare controlli e critiche a cui nessun uomo, nella stessa condizione, sarebbe stato sottoposto. Diverso il caso di altre compositrici ed esecutrici professioniste. Di solito erano figlie d’arte che, viaggiando con le famiglie presso le corti europee, potevano conoscere mecenati, farsi apprezzare e intraprendere carriere di successo, oppure erano donne di talento di famiglie nobili, ricche e di vedute molto larghe, che, già introdotte in ambienti esclusivi, avevano modo di comporre ed esibirsi senza essere vincolate alla professione per sopravvivere. Rimane il fatto che, comunque, nell’opinione corrente non era ben visto che una donna mettesse in mostra i propri talenti. Per Coccia il titolo di Maestra di Cappella rimase un mero riconoscimento formale, né ebbe appoggi che l’aiutassero a uscire dal chiuso ambiente romano. Lo stesso Metastasio, che pure fu uno dei suoi più grandi estimatori, addusse scuse poco credibili onde evitare di far conoscere alla corte di Vienna o a una eventuale committenza i «tre eccellenti di Lei musicali componimenti» (idem p. 140) pervenutigli. Forse per tema che potessero oscurare la fama della sua protetta De Martinez. Dalla Congregazione Coccia ebbe solo l’incarico di comporre un Vespro per la festa di Santa Cecilia «…cantato con molto applauso nella Chiesa di San Carlo ai Catinari.» (1776). La Chiesa non le commissionò lavori e lei si diede all’insegnamento, occupazione più onorata e socialmente accettabile per una donna. Ma risulta che almeno fino al 1783 continuò pervicacemente a comporre musica sacra e profana destinandola per lo più a nobildonne illustri e regine nell’intento strategico di ottenerne appoggio e protezione per continuare la carriera. Fra le dedicatarie troviamo Maria Amalia Augusta Elettrice di Sassonia, Maria I Regina del Portogallo, Maria Carolina di Napoli. Ancora a donne sono dedicate altre sue composizioni scoperte di recente: i Vingt Menuets pour le clavecin à l’usage de son excellence M: Henriette Milano (1783) per la Principessa Enrichetta Caracciolo Milano, ritrovati nel 2008 nell’ Archivio del Monastero di S. Gregorio Armeno a Napoli, e Ifigenia, cantata a 5 voci e orchestra (1779) indirizzata a Maria Luisa di Parma Principessa delle Asturie, rinvenuta nel 2019 nella Real Biblioteca di Madrid. Composizioni rispettivamente analizzate dalle musicologhe Maria Caruso e Judith Ortega Rodriguez. (Maria Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered manuscript by Maria Rosa Coccia del 2016; Judith Ortega Rodriguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositora italiana Maria Rosa Coccia del 2021). Se ne deduce che esisteva una rete di donne che promuoveva il lavoro di altre donne di cui Coccia cercò di avvalersi stringendo anche rapporti epistolari personali come con Enrichetta, lungamente vissuta in Francia a cui si rivolgeva in francese, inviandole minuetti francesi e musica adatta all’esecuzione di gruppi amatoriali domestici molto in voga nei salotti nobiliari del tempo. Le composizioni le procurarono gratitudine, riconoscimenti e doni in denaro che però non furono sufficienti a garantirle una tranquillità economica. Dal 1783 non si hanno più notizie della sua vita fino al 1832 quando rivolse alla Congregazione di Santa Cecilia la richiesta di un «caritatevole sussidio» (idem p.154). Ormai anziana e malata non poteva più insegnare né comporre e, avendo mantenuto i genitori e la sorella fino alla loro morte, si ritrovava priva di mezzi per sopravvivere. L’Accademia le accordò solo pochi scudi. «Comunque Lei non peserà a lungo sulle finanze della Congregazione, poiché morì a Roma, sola e dimenticata come volevano i suoi detrattori, il 20 novembre 1833. Tutti i maestri Congregati avevano diritto a un funerale pubblico… Maria Rosa Coccia fu congedata da questo mondo con quattro messe celebrate in suffragio della sua anima, nella Cappella della Congregazione, a San Carlo ai Catinari». (Breve biografia di M.R. Coccia a cura del sito web dell’Accademia Maria Rosa Coccia). Il lavoro di ricerca di altre studiose e musiciste come lei l’ha sottratta all’oblio, tuttavia resta ancora al buio un lungo periodo di circa cinquant’anni in cui si perdono le tracce della sua vita e delle sue opere. 

Per approfondire: Patricia Adkins Chiti, Almanacco delle virtuose, primedonne, compositrici e musiciste d’Italia, Novara, De Agostini, 1991 Patricia Adkins Chiti, Donne in musica, Roma, Armando Armando, 1996 
Candida Felici, Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Roma Colombo, 2004 https://www.academia.edu/40570145/A_Gift_of_Twenty_Minuets_Exploring_a_Recently_Discovered_Manuscript_by_Maria_Rosa_Coccia in cui è contenuto l’elenco aggiornato delle composizioni di Maria Rosa Coccia a cui va aggiunta la Cantata Ifigenia ritrovata nel 2019 https://www.jstor.org/stable/24642697 https://theconversation.com/al-rescate-de-ifigenia-cantata-de-la-compositora-italiana-maria-rosa-coccia-172910 https://accademiamariarosacoccia.jimdofree.com/biografia-maria-rosa-coccia/ https://www.loc.gov/item/09004223/

Qui la traduzione in francese, inglese, spagnolo.

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Articolo di Rossana Laterza

Insegnante di Italiano e Storia in pensione. Con il gruppo Toponomastica femminile ha curato progetti di genere nella scuola superiore e collaborato a biografie di donne di valore dimenticate.

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