Mary Edith Durham è stata un’antropologa, viaggiatrice, artista, etnologa e scrittrice britannica, nota soprattutto per il suo lavoro nei Balcani, in particolare in Albania. Nata a Londra nel 1863, frequenta il Bedford College prima e la Royal Academy of Arts dopo, avviando in seguito una carriera da illustratrice, che deve interrompere per prendersi cura a tempo pieno della madre gravemente malata, e procurandosi una sorta di esaurimento che il dottore le consiglia di risolvere con un lungo viaggio.

Questi elementi di vita personale strettamente legati con lo spirito indipendente che la porterà a viaggiare per molti anni, sono custoditi in Twenty Years of Balkan Tangle, pubblicato nel 1920.
Il primo spostamento la porta in Dalmazia, dove inizia a interessarsi di usi e costumi delle popolazioni che incontra, per poi cominciare a studiare, una volta tornata a Londra, la storia dei Balcani e la lingua serba. Proprio in Serbia andrà qualche anno dopo, scegliendo una meta inconsueta per le viaggiatrici del suo tempo, e per questo ancora più affascinante ed entusiasmante. Decide di scrivere un diario di viaggio, che però non incontra inizialmente l’interesse britannico ai fini della pubblicazione, che avviene poi successivamente e porta il titolo di Through the Lands of the Serb. Le critiche e l’assenza di interesse per il suo modus operandi derivano anche dal fatto che Edith si distacca dalla visione comune dell’epoca, che etichettava quei territori come “esotici”, attraenti per un certo tipo di turismo borghese, da cui appunto si discosta presto.
L’Albania di Lord Byron, per esempio, aveva contribuito a creare un immaginario che rimandava a un certo esotismo, pur limitandosi a descrivere le zone più note del Paese. Nel suo Childe Harold Byron crea una sorta di mappa comune che permette all’Albania di entrare negli itinerari di viaggio, dando vita a percorsi che da lì in poi molte persone intraprenderanno anche solo per attraversare i luoghi letterari byroniani. A tal proposito Mary Edith, nelle prime pagine di High Albania, scriverà: «I say High Albania advisedly, for the conditions that prevail in it are very different from those in South Albania, and it is with the wildest parts of High Albania alone that this book deals», proprio per svincolarsi da quel tipo di descrizione e specificare la scelta delle regioni più “remote” e “selvagge”.

Il percorso descritto comprende diverse tappe, a piedi o a cavallo, e passa per esempio da Shala, Shoshi, Dushmani, Berisha, Nikaj, Ljuma, Luria, luoghi che per lei appartengono alla «terra del passato vivente», quasi fuori dalla Storia.
Un aspetto molto interessante della sua ricerca è quello riguardante la condizione femminile e la riflessione attorno a una società a tutti gli effetti patriarcale, che vedeva la donna unicamente come un mezzo riproduttivo. Purtroppo la maggior parte delle testimonianze riguardanti questo tema appartengono a uomini incontrati durante il viaggio, che descrivono le loro abitudini nel trattamento di mogli, figlie, concittadine, ma Durham descrive anche, pur non dando loro parola, alcune donne. In particolare parla con interesse del fenomeno delle vergini giurate di Scutari, donne che si impegnano al celibato per tutta la vita e assumono ruoli sociali e familiari considerati tipicamente maschili in modo da poter partecipare alla vita della loro comunità di appartenenza.
Contestualmente alle esplorazioni, porta avanti l’impegno politico, che inizia quando le viene offerto di partecipare al Macedonian Relief Committee a supporto della popolazione macedone contro il dominio dell’Impero ottomano. Dopo la morte della madre, nel 1906, si concede viaggi più lunghi che la porteranno a solcare la Bosnia, il Kosovo, il Montenegro e l’Albania. Dall’esplorazione di quest’ultima nascerà High Albania, il libro che consegnerà la sua autrice alla fama e che sarà la traccia del suo viaggio più importante. Soprannominata “regina delle montagne” in Albania e “viaggiatrice intrepida” nella terra natia, Mary Edith Durham durante i suoi soggiorni non si limita a osservare la cultura dall’esterno, ma si immerge completamente nella vita quotidiana del popolo. Impara la lingua albanese e vive con le famiglie locali, guadagnandosi la fiducia e il rispetto della popolazione.


Visita le zone meno conosciute, vale a dire le montagne e i villaggi dell’entroterra, venendo a contatto con le comunità che li abitavano; raccoglie molte informazioni etnografiche in merito alle credenze religiose, le strutture sociali e le tradizioni, documentando anche le trasformazioni in atto. Mary Edith Durham si muove da sola, conquista la fiducia e l’ospitalità delle persone che incontra, le quali si mostrano sempre disponibili ad aiutarla e rendere le sue esplorazioni sicure. L’osservazione non si traduce solo in parole, ma anche in immagini: sono conservate, infatti, diverse fotografie di grande impatto scattate dalla viaggiatrice. Il British Museum ospita oltre cinquecento scatti di vita quotidiana, manifestazioni folcloristiche e figure tradizionali dei territori da lei visitati.
A tutto ciò, come accennato, veniva affiancata una parte di attività politica, infatti Durham è stata una sostenitrice dell’indipendenza albanese e ha lavorato per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulle ingiustizie subite dal popolo albanese sotto il dominio ottomano. L’ultimo viaggio nei Balcani avviene nel 1921, ma per tutto il resto della vita si occupa delle questioni dei Paesi che aveva visitato e amato, seppur da lontano.
Il mancato riconoscimento del suo operato deriva anche dall’assenza di una formazione antropologica ordinaria, che tuttavia non le ha impedito di essere la prima a occuparsi di aspetti di vita dei popoli balcanici fino ad allora non ancora studiati in maniera dettagliata. Il suo impegno sul campo fa di lei un’etnografa a tutti gli effetti che ha saputo dare un contributo originale alla ricerca su luoghi non molto battuti. Ovviamente il fatto che fosse una donna a condurre questo tipo di studi, e con queste modalità, fece sì che venisse aspramente criticata, e che avvenisse un tentativo di consegnare la sua opera all’oblio. Si è inoltre cercato di descriverla come la viaggiatrice romantica in cerca di sé stessa, non come la studiosa appassionata e competente mossa dalla curiosità e dall’intraprendenza.
Restano, oltre ai testi, le collezioni di costumi, tessuti, foto, ceramiche, disegni, alcuni dei quali conservati presso il Royal Anthropological Institute, del quale fu la prima donna vicepresidente ricoprendo il suo primo ruolo di carattere ufficialmente scientifico. Si possono apprezzare anche le registrazioni acquisite durante i viaggi con un fonografo a rulli di cera, oggi conservate alla British Library Sound Archive; si tratta probabilmente delle prime testimonianze sonore della musica popolare balcanica. La strabiliante completezza degli elementi raccolti dall’esploratrice ha fatto sì che le persone interessate alla cultura balcanica si siano potute servire di questi preziosi materiali per nutrire la ricerca etnografica. La toponomastica albanese, inoltre, l’ha omaggiata dedicandole diverse strade a Scutari, Coriza e Tirana, dove le è stata intitolata anche una scuola.
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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.
