Il teatro, come molti altri spazi, continua a essere virato al maschile. Questo comporta, all’interno delle strutture drammatiche, una rappresentazione del soggetto femminile costruito come una copia inferiore del maschio e spesso posto in relazione prevalentemente con gli uomini, perché le relazioni che le donne stabiliscono tra loro sono estranee all’esperienza del drammaturgo.
Un caso raro nel panorama italiano è costituito da Emma Dante in quanto donna di scena divenuta, oramai, anche donna di libro. E non è solo una delle poche donne affermate nel mondo teatrale, è anche un’artista che affronta in modo dialettico e complesso i temi delle differenze sessuali.
La mia analisi intende concentrarsi proprio sul femminile, centrale nella sua drammaturgia e con una costruzione del tutto inedita. I personaggi di Emma Dante, infatti, sono spesso bassi e grotteschi e prendono una direzione ibrida tra il femminile e il maschile. È un teatro che muta l’orizzonte abituale, mostrando possibilità diverse. Viene messo in luce il dramma umano dei personaggi alla ricerca di un equilibrio tra i due generi che supera quella differenziazione stereotipata a cui siamo, da sempre, abituati. Il lavoro di tesi si articola sul piano drammaturgico, inteso sia come scrittura che come drammaturgia scenica, in quanto il copione di Emma Dante si forma solo successivamente al lavoro fisico con gli attori e le attrici, dove la parola non è che la conseguenza delle improvvisazioni sul corpo. È per questo che, nel presente lavoro, si passa dalle parole stampate alla messinscena e viceversa, unendo il lavoro teatrale a questioni attuali anche dal punto di vista socioculturale.
Il primo capitolo, dopo una breve analisi del lavoro dell’artista in generale, si concentra in particolare su due adattamenti della tragedia classica: l’Eracle e la Medea di Euripide. Le tipologie sessuali sono rovesciate (femmine interpretano maschi e viceversa) o con-fuse, così come i generi teatrali e/o performativi. Lo studio si interessa a questa ambiguità semantica come tentativo di spostamento della percezione negli spettatori e di conseguenza riflessione.
Il secondo capitolo è interamente dedicato alla drammaturgia di Emma Dante e prende in esame tre delle sue opere: Cani di Bancata, Le Pulle e Le sorelle Macaluso. Si sviluppa così un’analisi non solo del femminile, ma anche del rapporto con il maschile. Vengono analizzati i temi ricorrenti nella sua drammaturgia sempre in relazione al paradosso di genere e il suo universo immaginifico come panorama umano, popolato non più da uomini e donne, ma più di frequente da creature a metà tra l’una e l’altra parte.
Infine, il terzo capitolo tenta di andare oltre al teatro, raggiungendo la donna di libro. Vengono prese in esame tre riscritture di favole: Cappuccetto Rosso, La Bella Addormentata e Biancaneve, per analizzare come anche nel caso della fiaba la regista tenti di scardinare gli stereotipi e in particolare quelli legati ai personaggi femminili.
Il lavoro di Emma Dante si è rivelato ai miei occhi come un teatro ermafrodita. Questo perché l’artista, nelle sue creazioni, appare sempre interessata al modo in cui il femminile diventa maschile e viceversa, in risposta a ogni pregiudizio. L’attenzione al femminile non va letta esclusivamente come un rifiuto della rappresentazione (u)omosessuale, ma, piuttosto, un passaggio necessario per superare quella differenziazione dei generi. Emma Dante lavora, quindi, prettamente sul femminile nella consapevolezza che esso, nella rappresentazione teatrale, risulta essere ancora subordinato e debole. Provare a riscattare la rappresentazione femminile è funzionale al raggiungimento dell’equilibrio tra i sessi. Inoltre, il teatro risulta essere il medium più efficace e popolare per esporre le problematiche relative a quello che definiamo binarismo di genere.
La regista, delineando personaggi/creature o-scene (cioè fuori dalla scena) e, sostanzialmente, anche fuori dalla società patriarcale, offre la possibilità di una risemantizzazione. Il lavoro di quest’artista si sviluppa in modo da creare un linguaggio nuovo per aprire quanti più interrogativi possibili, facendo tornare il teatro alla sua funzione originaria: esso deve servire, deve smuovere un pensiero; non ha forse il potere di cambiare le leggi, ma la possibilità di accendere una piccola miccia negli spettatori.
Questo lavoro si è proposto di testimoniare come la drammaturgia della Dante tenti di essere un superamento dell’opposizione tra i due generi. Riposizionando i significati e i significanti in maniera sbagliata, decostruisce i generi per come li conosciamo, connette pensieri e lavora sulla scorrettezza. È una strategia che permette di creare un cortocircuito, una riflessione. Le donne mascoline, i corpi maschili che interpretano donne, maschile e femminile che tentano un equilibrio… tutto concorre a costruire un mondo sognato all’interno del teatro e a produrre consapevolezza nelle persone che questa consapevolezza non l’hanno più.
Il femminile di Emma Dante va inteso, quindi, come ciò che supera l’opposizione maschile/femminile, un’opposizione di valore tra i due sessi. Superando questa differenziazione stereotipata, la scena diventa la casa di creature flessibili, reversibili e nessun sesso è certo del suo fondamento o della sua superiorità.
Quello che emerge con maggior forza è il dramma umano, un dolore che, presto o tardi, ci accomuna tutti e tutte, maschi e femmine. In questa maniera il teatro di Emma Dante cerca di essere universale.
Qui il link alla tesi integrale: https://www.toponomasticafemminile.com/sito/images/eventi/tesivaganti/pdf/269_Guida.pdf
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Articolo di Sofia Guida

Nata a Fabriano nel 1998, è un’attrice teatrale e cinematografica, con competenze anche nell’ambito della scrittura per lo spettacolo. Appassionata di tutto quello che ruota intorno al mondo dell’arte, si è laureata in Arti e Scienze dello spettacolo alla Sapienza e attualmente frequenta la magistrale in Scritture e Produzioni dello spettacolo e dei media a Roma.
