Una storia come tante

Eravamo tre sorelle e un fratello.
Giancarlo era il più grande, poi c’era mia sorella Maria Grazia, io e mia sorella Donatella, la più piccola.
Quanti ricordi in questa famiglia tutt’altro che tranquilla!
Mio padre ragioniere, amava molto il suo lavoro e ci dava dentro in tutti gli aspetti possibili, penso che apparentemente fosse per mantenere la famiglia (mia mamma era casalinga), ma in realtà si muoveva in molti altri ambiti oltre la Banca, con vera passione ed era molto apprezzato. Addirittura dava ripetizioni di diritto e ragioneria, a casa nel suo studio, agli studenti dell’Istituto tecnico Bassi di Lodi.
Mio fratello Giancarlo studiava al classico ma era più portato per la matematica e la fisica. Negli anni ’60, infatti, si iscriverà alla facoltà di fisica all’Università di Milano, la più difficile forse d’Italia.
Non c’erano eclatanti trattamenti differenziati tra noi femmine e nostro fratello, ma con la scusa che doveva sempre studiare era esentato da molte faccende che toccavano a noi: io, Franchina, e Maria Grazia (Donatella era ancora piccola).
Maria Grazia sapeva imbrogliare, io mi sentivo sempre in colpa, non dicevo bugie neanche a me stessa, mi sentivo sempre in colpa verso il mondo, perché odiavo i mestieri di casa che mia madre ci dava da fare, naturalmente quando non c’era la scuola. Spazzare e passare lo straccio sui pavimenti, spolverare e molto altro. Mestieri che odiavo, ancora adesso li trascuro, ho sempre qualcosa di più importante da fare!
Naturalmente ci lamentavamo che solo a noi toccavano queste faccende e a Giancarlo no, ma come ho detto la scusa era lo studio impegnativo. Maria Grazia in un lampo faceva la sua parte, sapeva risolvere così i problemi! Imbrogliando, nascondendo la polvere sotto il tappeto, come si dice. Io no, non potevo fare così, dovevo essere onesta, ubbidiente, ma il risultato era che giravo come un’anima in pena da una stanza all’altra con uno straccio in mano cercando distrazioni: accendere la radio, andare in stanza di mio fratello e con la scusa di pulire il pavimento e spolverare, fargli delle domande assurde per richiamare la sua attenzione. E le domande erano del tipo: «Si può pulire lo sporco?». Non volevo dire togliere lo sporco da una superficie, ma pulire e recuperare la spazzatura… Certo forse oggi avrebbe un senso! ma detto in quel contesto, per me adesso è come dare alla mia immagine di povera fanciulla sottovalutata l’aspetto di una persona con un pensiero geniale!!!

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Articolo di Franchina Tresoldi

Artigiana artista, come ama definirsi, si documenta con fotografie da lei stessa scattate e avvalendosi della tecnica calcografica, realizza opere di grafica originale, all’acquaforte in bianco e nero e colore e con acquatinta solo a colori. Dal 1969 espone in Italia e all’estero. Nella seconda metà degli anni ‘90 crea e inizia la produzione del Ciottolo di Città e in seguito del Ciottolo del Parco.

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