Sguardi sulle differenze. Ritratti di giovani in fiamme

«Ho scelto di usare i termini esistenza lesbica e continuum lesbico perché la parola lesbico evoca un ambito clinico e limitativo […]. Per continuum lesbico intendo una serie di esperienze, sia nell’ambito della vita di ogni singola donna che attraverso la storia, in cui si manifesta l’interiorizzazione di una soggettività femminile e non solo il fatto che una donna abbia avuto o consciamente desiderato rapporti sessuali con un’altra donna. Se allarghiamo il concetto fino ad includervi molte altre espressioni di intensità affettiva primaria fra donne, […] allora cominceremo a recuperare brandelli di storia e di psicologia delle donne che ci erano finora esclusi come conseguenza delle definizioni limitative ed in gran parte cliniche di “lesbismo”». Adrienne Rich, Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica.
Il settimo incontro del ciclo Parlarne tra amiche. Raccontarsi e ri-conoscersi nella relazione con le altre, tenuto dal laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza di Roma, si è tenuto il 17 maggio ed è stato intitolato Ritratti di giovani in fiamme. Le domande che hanno guidato gli interventi sono le seguenti: che ruolo ha, per il pensiero femminista, il desiderio verso l’altra e le altre? La valorizzazione dell’esperienza erotica e amorosa tra donne ha sempre rappresentato l’emersione di un “imprevisto” da cui il patriarcato si è difeso generando una cortina di silenzio. Dall’esperienza lesbofemminista degli anni Settanta al separatismo lesbico, alla (omo)sessualità diffusa concepita come pratica politica, l’eros ha sempre fatto parte delle relazioni tra donne: con quali linguaggi si è potuto dire l’indicibile? E, una volta detto, esso potrà considerarsi definitivamente liberato?
Appare chiaro, perciò, che il tema dell’incontro non è l’omosessualità femminile, della quale non serve parlare per ore come fosse un’anormalità, appunto, quanto piuttosto il ruolo che essa ha avuto nella società e all’interno dei movimenti femministi
I materiali resi disponibili sono: Aldilà dell’amore degli uomini, introduzione di Margherita Giacobino a Una storia tutta per noi. Lillian Faderman: un’antologia, Il Dito e la Luna 2016; Elena Biagini, Lesbismo e femminismo negli anni Settanta, in L’emersione imprevista. Il movimento delle lesbiche in Italia negli anni ’70 e ’80, ETS 2018; Luce Irigaray, Quando le nostre labbra si parlano, in Questo sesso che non è un sesso, Feltrinelli 1980; Adrienne Rich, Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica, in “Ciliegie: supplemento a DWF”, n. 98 (2013).
La moderatrice è Francesca Zaccone, studiosa di Lingua e letteratura neogreca, Studi di genere applicati alla Letteratura neogreca, Translation studies, Cultural studies, Postcolonial studies; a curare gli interventi, invece, sono Francesca Izzo, Claudia Marsulli, Martina Manfredi Selvaggi. Come sempre, si dà la parola a tre relatrici appartenenti a tre diverse generazioni, in modo da restituire all’uditorio un punto di vista più complesso e completo, che tenga conto delle differenze di pensiero e pratiche che caratterizzano le diverse epoche del movimento femminista.

Laboratorio di studi femministi, Ritratti di giovani in fiamme, 17 Maggio, Facoltà di Lettere e Filosofia – La Sapienza

Francesca Izzo, ex docente presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Algeri e presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Salerno, di Storia delle dottrine politiche, Filosofia della politica e Storia e Politica dell’integrazione europea alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università L’Orientale di Napoli, apre l’intervento facendo riferimento al titolo dell’incontro, che riprende a sua volta un film del 2019 diretto da Céline Sciamma. Portrait de la jeune fille en feu, ci racconta Izzo, è ambientato nella Francia del XVIII secolo e segue la storia di Marianne, una pittrice incaricata di realizzare un ritratto di Héloïse, una giovane donna destinata a un matrimonio combinato. La storia ruota poi attorno al rapporto tra le due, che da una forte connessione sfocia in una relazione amorosa della quale si esplorano gli sviluppi negli anni. Secondo la professoressa il titolo dell’incontro è particolarmente azzeccato perché descrive una situazione (quella del film) di eterosessualità imposta, o istituzionalizzata, come avrebbe detto Adrienne Rich; racconta due donne che arrivano alla scoperta della libertà attraverso il rapporto. Fa una riflessione sulla scoperta che ha cambiato la vita a tante: la conquista dell’amore di sè attraverso l’altra; confessa, parlando del suo personale percorso di decostruzione, di essere passata dal disprezzo verso le donne, dal voler essere come l’uomo, dalla misoginia profonda e interiorizzata. Il punto di svolta arriva dopo il 1968, con le disillusioni e le letture sconvolgenti, gli sputi su Hegel e i gruppi di donne separatiste che iniziano a escludere lo sguardo maschile che le aveva plasmate. Da allora, dice, mai più senza una donna accanto.
Cita Irigaray dichiarando che «non c’è amore dell’altro senza amore del medesimo», ma segue sempre le orme della filosofa nei cenni al rischio di fusionalità che sta nel formarsi di una soggettività che deve invece essere capace di aprirsi all’altra senza smarrirsi».
Si interrompe per passare il testimone alla seconda relatrice, Claudia Marsulli, laureata in Lettere Moderne presso La Sapienza, poi all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna per il titolo magistrale in Italianistica, Culture letterarie europee e Scienze linguistiche. Attualmente, nell’ambito del XXXVII ciclo di dottorato in Scienze del testo, lavora sui paradigmi di natura nella letteratura delle donne fra età moderna e contemporanea. Il primo testo che prende in analisi è quello di Biagini, ma, come è consuetudine, alle relatrici viene chiesto di raccontare la propria esperienza in comunione con l’analisi testuale. Marsulli dice di aver attraversato la scoperta di parti di sé con difficoltà e solitudine, e aver trovato le parole per esprimerlo proprio in Rich e Irigaray. Rich mette a tema l’eterosessualità come istituzione, e critica il fatto che l’omosessualità sia sempre un qualcosa da spiegare, di cui discutere. Alla fine dell’intervento pone una domanda: che ruolo ha avuto realmente l’omosessualità nella teorizzazione del pensiero femminista?
La terza e ultima studiosa a parlare è Martina Manfredi Selvaggi, attualmente dottoranda in Scienze documentarie, linguistiche e letterarie, laureata in Lettere Moderne presso La Sapienza e in Filologia Moderna presso lo stesso ateneo per la laurea magistrale. Il suo contributo è molto intimo e sentito, e prende le mosse dalla sua esistenza lesbica e dal racconto degli intrecci tra lesbismo e femminismo nella sua storia personale mescolata alle parole delle autrici lette.
Si crea ora un dibattito nel quale si analizzano diverse tematiche, tra le quali quella dello sguardo voyeristico maschile presente in molta cinematografia sull’argomento, e quanto sia ancora forte la feticizzazione del maschio. Subito dopo si apre un bel momento di condivisione nel quale le partecipanti più grandi fanno i conti con il percorso svolto, con gli errori e le conquiste, in maniera assai onesta e trasparente, alimentando come sempre una situazione sicura e fertile per lo scambio di pratiche, pensieri ed emozioni.

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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.

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