Consapevoli che l’insieme ha valore superiore rispetto alla somma delle singole parti, le fantascientiste (femministe)n, noi fantascientiste (femministe)n ci siamo riunite per la prima volta in costellazione eccentrica a Montaretto, nel Levante ligure, in occasione della convention Fantascienza comunist(ic)a che si è tenuta sabato 25 e domenica 26 maggio alla Casa del Popolo della piccola frazione di Bonassola: «una sede piena di bandiere rosse e ritratti di Gramsci e Berlinguer, tanta ottima focaccia e una vista sul mare spettacolare. E anche la completa assenza di segnale cellulare», scrive Silvio Sosio, presidente delle edizioni Delos Digital, tra i partecipanti.

Fantascientiste (femministe)n (Claudia Corso Marcucci)
Noi fantascientiste – scrittrici, saggiste, illustratrici: siamo Giulia Abbate, Romina Braggion, Francesca Cavallero, Laura Coci, Claudia Corso Marcucci, Angelica De Palo, Elena Di Fazio, Elisa Franco, Giuliana Misserville, Silvia Tebaldi, Nicoletta Vallorani, cui da lontano si unisce affettuosa Daniela Piegai – ci siamo unite privilegiando gli elementi che ci accomunano rispetto a quelli che ci dividono, che, tuttavia, riconosciamo. La ‘n’ in esponente significa proprio questo: i fili colorati che si intrecciano nella tessitura di tutti i femminismi, cari a molte autrici di fantascienza, perché l’Ultragenere – definizione di Angelica De Palo, che molte di noi fanno propria – è uno spazio di libertà. Non siamo invisibili, esistiamo, apriamo lo spazio alla presenza e all’immaginazione narrativa delle donne nello specifico della fantascienza, della quale intendiamo ri-scoprire
la dignità letteraria insieme alla capacità di critica sociale e di costruzione
di nuovi (migliori) futuri.
La convention che ho organizzato a Montaretto con Roberto Del Piano ha dato ampio spazio alle presenze femminili (in analoghe occasioni, quando va bene, le relatrici sono a malapena un terzo del totale): dieci su tredici previste – complici i malanni che questa primavera ancora incerta porta con sé – a fronte di otto uomini su undici pure previsti fino a pochi giorni prima. Tra queste, questi, nell’ambito dell’illustrazione fantascientifica, Claudia Corso Marcucci e Franco Brambilla.

Il primo panel è stato intitolato Fantascienza comunist(ic)a. Nuove comunità per futuri possibili: accanto a Lukha B. Kremo, Franco Ricciardello, Silvio Sosio sono intervenute Giulia Abbate ed Henriette Molinari, quest’ultima tra le anime della Casa del Popolo. Completamente al femminile, e non poteva essere altrimenti, Da corpo a corpo. Sguardi femminili su nascere, ri-nascere, trasformarsi, nel quale hanno preso la parola Francesca Cavallero, Anna Curcio, Elisa Franco e io stessa (in sostituzione di Silvia Tebaldi e Nicoletta Vallorani), toccando il tema della riproduzione e della maternità sotto il profilo politico e sociale e naturalmente dal punto di vista di alcune delle narratrici che lo hanno affrontato nei propri testi: oltre a Francesca Cavallero medesima (autrice di punta tra le italiane contemporanee), Tanith Lee e Sheri Tepper, e ancora Mary Shelley, Judith Merril, Marge Piercy.

Giuliana Misserville ha conversato con Roberto Del Piano, Mario Pesce, Silvio Sosio, portando il proprio contributo di studiosa femminista e attenta al queerness al tema Fantascienza italiana. Una diversità da tutelare. Per mia parte, poi, riunendo finalmente le mie due vite (di fantascientista femminista e di presidente di un Istituto per la storia della Resistenza), ho coordinato Nico Gallo – esperto conoscitore della materia – e Simone Campanozzi –storico e insegnante – in Mai morti. Fantafascismo e fascismo immaginario, intrecciando la storia del fascismo, che riscrive il passato e impone il presente, con la corrente neofascista e fantascientifica che, invece, riscrive il futuro.

Infine, la presentazione delle fantascientiste (femministe)n: otto su undici (quando siamo uscite dallo sgabuzzino delle scope per alzarci in volo nella notte, forse alcune di noi non si sono coperte a sufficienza), ma tutte presenti in pectore. Ecco il mio esordio.
«Chi viaggia nel tempo, secondo la fantascienza classica, si limita (o dovrebbe limitarsi) a osservare la storia. Finora. Ora, in questo presente, non è così. Un gruppo di uomini misogini e omofobi, con la complicità di non poche donne, compie incursioni in questo presente per inverare il mondo peggiore possibile per le donne, per le persone non binarie, vale a dire per ogni persona, perché in un mondo nel quale i diritti di donne, diversi, minoranze non sono tutelati ogni persona sta peggio. È questa la mia lettura (fantascientifica e serissima) di quanto accade nella linea temporale in cui vivo, in cui viviamo: certo, una lettura mediata dal bel romanzo di Annalee Newitz The Future of Another Timeline, del 2019 (Il futuro di un altro tempo nella traduzione italiana di Giorgia De Santis per Fanucci, del 2021). La conclusione, dunque, non può che essere la stessa del gruppo di donne e persone non binarie alleate nella resistenza al nuovo, violentissimo attacco del patriarcato ben descritto dall’opera di Newitz: “Dobbiamo fermare questi cavalieri del cazzo prima che accada”».
Ciascuna, poi, ha parlato secondo la propria inclinazione di un tema che le è caro, del quale per ragioni di tempo si è limitata a presentare uno spunto o una suggestione (con la promessa di svilupparlo poi in forma di saggio).
Angelica De Palo ha argutamente argomentato Del perché la fantascienza tra i generi letterari è l’Ultragenere, ovvero il genere che tutti gli altri comprende, rappresenta e nobilita.

Elisa Franco, con Ti metto nei miei panni, ha rovesciato i ruoli tradizionalmente assegnati a maschile e femminile, descrivendo «un universo parallelo lontano lontano» nel quale
gli uomini si dedicano ai lavori domestici e le donne svolgono una brillante
vita professionale.
Francesca Cavallero, invece, ha iniziato a redigere un proprio, originalissimo vocabolario nel quale le parole ‘confine’, ‘madre’ e rivoluzione’ rappresentano l’inizio di altrettante storie.

Giulia Abbate, a proposito del portato di critica sociale della fantascienza, ha richiamato alla necessità di fermarsi e riposizionarsi quando alcuni dei nostri messaggi sono espropriati e volgarizzati, concludendo che «la fantascienza non può più limitarsi a essere immaginazione, né interpretazione, né speculazione. Deve farsi profezia».
Romina Braggion, nel suo contributo Madre Terra si prende cura di noi, prendiamoci cura di Madre Terra. Percorsi di connessione, aggregazione e alleanza, ha presentato il pianeta come «organismo vivente complesso e gigantesco, dotato di sangue, linfa e ossatura al suo interno, di cute e liquidi in superficie, di polmoni per produrre atmosfera, di simbionti di ridotte dimensioni dall’enorme al microscopico sia mobili che immobili e di parassiti che tendono a destabilizzare il suo umore e la sua salute».

Giuliana Misserville con Torniamo a Frankenstein. Antispecismo e fantascienza ha analizzato la relazione tra femminismo, fantascienza e vegetarianesimo, leggendo un breve passo del Frankenstein di Mary Shelley e ricordando come «a distanza di due secoli e più, la questione animale resta al centro – sanguinante – delle nostre scelte di vita, scelte che destabilizzano pesantemente l’equilibrio del pianeta».
Claudia Corso Marcucci (Utopie. Nascere libere ed esistenze liminali) si è chiesta come sia possibile per le donne nascere libere: «le nostre esistenze – questa la risposta della giovane illustratrice e fantascientista – per ora, devono essere extra-terrestri. Necessariamente essere come ci insegnano le migliori: cyborg, aliene, robot, microrganismi, onde elettromagnetiche, forza di gravità pianeti, plasma,
fantascientiste. Donne».

Sono stati letti, infine, gli abstract fatti pervenire da Silvia Tebaldi (Ogni cosa in questo mondo è molti mondi allo stesso tempo, «un discorso su trasformazioni, transizioni, metamorfosi nelle nostre vite»), Elena Di Fazio (Umanità, alienità, comunità. Risorgere dalle ceneri), Nicoletta Vallorani (Respirare sott’acqua. La fantascienza delle donne e la pratica del respiro, nel quale l’autrice sostiene che «il respiro è una pratica di presenza. Perciò questo facciamo noi fantascientiste: respiriamo e scriviamo, e bene, per affermare una volta di più che noi si esiste utilmente come donne, nonostante ogni cosa»).
E, ultimissimo, il viatico Maschiacci e donnine di Daniela Piegai, non organica ma affettuosamente vicina al nostro gruppo: «tutte noi che facciamo questo balordo mestiere, scriviamo non per diventare il numero uno, o per fare soldi, o per chissà quale altro astruso motivo che ogni tanto sento nominare, ma perché diventi vero, in qualche modo, il mondo che vorremmo, e anche perché le parole a volte hanno un suono che ti canta dentro peggio delle sirene di Ulisse, e perché certe canzoni vanno seguite, e se non le pubblica nessuno, non ha importanza, semplicemente sono lì che spingono per uscire, e poi, una volta nate, sono come i figli, non sono più tue. Se qualcuno le legge, sei felice, ma se nessuno le legge, pazienza, il mondo che volevi comunque lo hai concretizzato… e siamo pronte per farne nascere un altro… Ed è solo la letteratura fantastica, nel suo enorme spazio siderale, che permette questo tipo di libertà».
Nell’ambito della convention – una delle «più particolari della storia della fantascienza italiana», scrive ancora Silvio Sosio – si è svolta la premiazione della prima edizione del Premio Porco Rosso (omaggio alla splendida pellicola di animazione di Hayao Miyazaki) per il miglior racconto di fantascienza comunist(ic)a. Otto i testi finalisti, quattro scritti da donne (Elisa Franco, Daniela Piegai, Silvia Tebaldi, Vanessa West) e quattro da uomini (Giuliano Cannoletta, Roberto Robiz Pastene, Mario Pesce, Mariano Rampini): il premio è stato assegnato a Nel paese dei balocchi di Daniela Piegai, struggente racconto di infanzia e di guerra, di speranza e rivoluzione.

Silvio Sosio mostra l’opera dell’artista Allison Robertson che rappresenta il Premio Porco Rosso 2024
A seguire, l’intervento di Angelica De Palo, fantascientista femminista ironica e pirotecnica come sempre, che qui riporto per intero a suggello di questa due giorni dedicata alla Fantascienza comunist(ic)a, una convention nella quale, forse per la prima volta in questo ambito, le donne sono state più numerose degli uomini. Ed ecco il discorso sui generis di De Palo.
«A un certo punto, mi è stato chiesto di preparare qualche cosa da dire, dopo la premiazione, nel caso avesse vinto un uomo, oppure nel caso avesse vinto una donna, uomo e donna presi come due grandi raggruppamenti di riferimento.
Ci si potrebbe chiedere perché fare la differenza. Allora vi racconto un aneddoto. Prima però, per evitare gaffes, vi chiedo se tra noi esiste un meccanico di Macerata. Non esiste? Bene, meglio, perché se esistesse sarebbe un guaio. Torniamo a noi, quindi, e al perché faceva la differenza se a vincere fosse stato un uomo oppure una donna.
L’aneddoto è il seguente: un uomo a cui era stato chiesto di partecipare a un evento sulla fantascienza, presa sicuramente visione di chi partecipava, commentò: «C’è una grande preponderanza di donne, ma dai, vabbè, ci sarò».
Le donne preponderanti erano dieci, gli uomini tredici. L’osservazione è interessante per ciò che cela più che per ciò che manifesta. Ciò che manifesta è che il soggetto in questione, non importa chi era, per capirci è l’equivalente della velina di Voghera, appunto il meccanico di Macerata, ciò che manifesta, dicevo, è che superate le dita delle mani costui non sa più contare visto che tredici gli è sembrato minore, e molto, di dieci.
Avrà ricominciato a contare da uno e allora ci sta: tre è decisamente più piccolo di dieci. O forse se fosse stata estate e avesse avuto le dita dei piedi scoperte, magari arrivava fino a venti e non saremmo qui a trarre conclusioni antropologiche. E questi sono gli aspetti facilmente manifesti.
Ciò che cela la preponderanza del dieci sul tredici è altro, cioè che le donne in certi ambienti, superate le due o tre unità, appaiono preponderanti. E non è colpa del meccanico, la percezione fa l’habitus mentale così come l’abito fa il monaco.
Non è colpa del meccanico, anche secondo Pindaro, un poeta greco del V secolo, è l’abitudine a essere maestra di vita e non la storia.
Va da sé che se le donne non le vedo mai, non ci sono mai, senza scomodare poeti e poete, e va anche da sé che se ne appaiono di donne più di tre laddove prima regnava il nulla, bisogna fare una riflessione.
E magari poi aggiustare il fuoco della percezione.
Infatti succede che una donna sola, come una rondine, non fa primavera, due donne sono una coincidenza, che si sa capitano, tre costituiscono già un’associazione per delinquere, quattro donne giocano a burraco, cinque donne che potranno fare mai senza uomini, sei saranno delle femministe, sette forse queste femministe stanno esagerando, otto donne sono due squadre da burraco, nove donne fanno un branco di streghe, dieci donne: ed ecco le avvisaglie di uno sbarco alieno sicuramente ostile.
Mai come in un consesso di fantascienza siamo tutte e tutti scafati, qui non ci illudiamo che gli alieni possano essere amichevoli. “Veniamo in pace” era il mantra dei Visitors televisivi, e vi ricordo che volevano usarci come dispensa alimentare.
Scherzi a parte, a questo premio sono arrivati in finale quattro racconti scritti da donne e quattro racconti scritti da uomini. La probabilità statistica – che non è un modello di previsione del futuro, facciamo attenzione – dava la possibilità esattamente identica di vittoria a entrambi gli schieramenti, se di schieramenti si tratta.
Potremmo dire, allora, che la presenza equipollente di uomini e donne nella fantascienza fa diventare esattamente identica la probabilità di vincere un premio? Ci piacerebbe, naturalmente, se non fosse che un premio è accompagnato da giurie e qui casca l’asino. Ritengo infatti che chi giudica dovrebbe farlo con una benda sugli occhi e i tappi nelle orecchie e dopo essersi nutrito o nutrita di bacche e acqua per circa una settimana. L’ho proposto agli organizzatori del Porco Rosso che, però, non mi hanno mai spiegato perché si sono rifiutati di selezionare una giuria che accettasse condizioni così eque e depurate. In conclusione, quindi, la vittoria di una donna, da parte di una giuria senza bacche e bende, dimostra che gli alieni sono sbarcati, sono tra di noi e non giurerei sulle loro intenzioni.

Ma a questo punto: che avrei detto se avesse vinto un uomo?
C’era un altro discorso preparato, più breve, che faceva più o meno così.
«I piani inclinati delle nostre abitudini sono ripidissimi, avrei detto, e scivolarci è naturale. Dunque ha vinto un uomo, ma non facciamoci influenzare dalla preponderanza maschile, questa volta il racconto che ha vinto è davvero il più bello.
Due postille: la prima è che mi sono premurata di sapere se c’era un meccanico di Macerata e non se c’era una velina di Voghera. So che in origine c’era la casalinga, ma ormai casalinga fa tanto anni Cinquanta. Non mi sono preoccupata di lei perché le donne sono emotivamente meno fragili, pensate a quella famosa canzone nazional-popolare che dice: “E se ti lascia lo sai che si fa?
Ne trovi uno più bello che problemi non ha”.
Sappiamo quello che succede, invece, se è lui a essere lasciato.
La seconda postilla è questa. Ma, insomma, siamo qui a cercare di ridare dignità alla fantascienza e abbattere lo steccato dei generi letterari, e che facciamo? Mettiamo un altro steccato maschi di qua e femmine di là?
Quindi alla fine che differenza fa a che genere appartiene chi vince?
Nessuna, sicuramente, se solo il piano inclinato di cui sopra diventasse più orizzontale».
In copertina: Fantascientiste (femministe)n e partecipanti alla convention Fantascienza comunist(ic)a; da sinistra: Cristina Marcucci, Laura Coci, Cristina Raffo, Angelica De Palo, Mariella Ferrari, Giulia Abbate (in seconda fila), Elisa Franco, Romina Braggion (in primo piano), Giuliana Misserville, Francesca Cavallero (in seconda fila), Annamaria Ippolito, Claudia Corso Marcucci.
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Articolo di Laura Coci

Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.
