Un intervento in punta di diritto costituzionale

La seconda parte della Costituzione è quella meno conosciuta. Per lo più si ritiene che tratti questioni riservate ad “addetti/e ai lavori”, da lasciare alle elucubrazioni di costituzionaliste/i. Per parlare della bellezza della nostra Carta fondamentale si citano spesso i principi fondamentali e i diritti e doveri dei cittadini (e delle cittadine) contenuti nella prima parte.
Eppure la seconda, dedicata all’Ordinamento della Repubblica, è un piccolo capolavoro di ingegneria costituzionale, costruito in modo che nessuno dei poteri dello Stato abbia il sopravvento sugli altri, forte anche dell’ autorità di garanzia espressa dai due custodi della Costituzione, il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale, e dei numerosi checks and balances esistenti. Deliberatamente e a ragion veduta i nostri e le nostre Costituenti hanno descritto il Presidente del Consiglio come un primus inter pares. In 22 anni di dittatura fascista il Primo Ministro, Duce del fascismo, Segretario di Stato (le parole sono importanti!), era riuscito, grazie a una serie di “colpi di maggioranza”, a stravolgere e a trasformare lo Statuto Albertino da Costituzione di uno Stato liberale a Costituzione di un regime illiberale liberticida a partito unico.
Su questa presunta debolezza della Costituzione rivolgono da molto tempo le loro critiche i suoi detrattori e le sue detrattrici, che le imputano la responsabilità dell’ingovernabilità, caratteristica indiscussa del nostro Paese. In questo hanno avuto buon gioco di fronte a un’opinione pubblica disinformata e che conosce pochissimo la sua Costituzione. Inutile dire che gli articoli 95 e 96 della Costituzione, che descrivono i poteri del Presidente del Consiglio, non sono responsabili dell’ingovernabilità, che discende piuttosto dal «pluripartitismo esasperato o estremo» del nostro sistema politico, dalla litigiosità dei partiti e dalla loro tendenza a scindersi e a costruire nuove formazioni politiche con una frequenza ignota ad altre democrazie parlamentari.
Proprio per questo salutiamo con gioia l’intervento della senatrice a vita Liliana Segre in occasione della discussione del disegno di legge costituzionale di iniziativa governativa sul Premierato che ha come proponente Elisabetta Alberti Casellati, Ministra per le riforme istituzionali.
A parte l’inopportunità di riservare al Governo, sospettabile di volerla utilizzare per avvantaggiare la coalizione al potere e non a un/una parlamentare l’iniziativa di modificare la Costituzione, c’era davvero bisogno di un intervento preciso e puntuale che, con un linguaggio chiaro e diretto, mettesse in luce i rischi di una siffatta riforma.
Prima di esaminarne i punti più importanti, sarà opportuno riportare in sintesi le motivazioni addotte dalla relazione al disegno di legge costituzionale sul cosiddetto Premierato. Secondo Casellati l’obiettivo perseguito sarebbe quello di «offrire soluzione a problematiche ormai risalenti e conclamate della forma di governo italiana, cioè l’instabilità dei Governi, l’eterogeneità e la volatilità delle maggioranze, il «transfughismo» parlamentare». E qui ci risiamo: non è la forma di governo ma sono il sistema e il comportamento dei partiti i responsabili sia dell’instabilità dei governi, sia del transfughismo parlamentare, sia dell’eterogeneità e volatilità delle maggioranze. Al contempo la riforma che introduce il Premierato mirerebbe a consolidare il principio democratico e a valorizzare il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione, attraverso l’elezione diretta del/della Presidente del Consiglio e la stabilizzazione della sua carica.
Liliana Segre contesta punto per punto questa riforma. Inizia il suo intervento con una premessa fondamentale: «Continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una necessità del nostro Paese e le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare. Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente, innanzitutto per rispettarla». Il modo migliore per rispettare la Costituzione proprio perché è un documento che promuove, tutela, protegge, garantisce e riconosce pari dignità sociale a tutte le persone è attuarla, anche ampliandone la parte relativa ai diritti, come è avvenuto con la riforma dell’articolo 9 sul paesaggio. Segre prosegue ricordando una delle più gravi violazioni della nostra Carta costituzionale, che denota il mancato rispetto da parte di tutte le forze politiche: l’abuso dei decreti-legge operato dal Governo, vulnus del potere esecutivo nei confronti del Parlamento. Solo a quest’ultimo spetta il potere di fare le leggi, potere eccezionalmente riservato al Governo nei «casi straordinari di necessità e urgenza» come previsto dall’articolo 77 c.2 della Costituzione. Sull’ anomalia del frequente ricorso al decreto-legge che delegittima di fatto il Parlamento, da tempo ridotto a organo di ratifica della volontà dell’Esecutivo, nessun parlamentare eletto dal popolo sente il bisogno di indignarsi. Eppure con questo comportamento il Governo usurpa il potere legislativo, viola apertamente il dettato costituzionale e, in ultima analisi, tradisce gli elettori e le elettrici. Per contro, continua la senatrice a vita, invece di porre rimedio alla mortificazione del potere legislativo, si propone di aumentare «il già debordante potere esecutivo». Segre ricorda che se proprio si vuol riformare bisogna farlo con estrema attenzione: «Il Legislatore che si fa Costituente è chiamato a cimentarsi in un’impresa ardua: elevarsi, librarsi al di sopra di tutto ciò che, per usare le parole di Leopardi, dall’ultimo orizzonte il guardo esclude. Sollevarsi dunque idealmente tanto in alto da perdere di vista l’equilibrio politico dell’oggi, le convenienze, le discipline di partito, tutto ciò che sta nella realtà contingente per tentare di scrutare quell’infinito nel quale devono collocarsi le Costituzioni. Solo da questa altezza si potrà vedere come meglio garantire una convivenza libera e sicura ai cittadini di domani, anche in scenari ignoti e imprevedibili […] Occorrono non prove di forza o sperimentazioni temerarie ma generosità, lungimiranza, grande cultura costituzionale e rispetto del principio di precauzione». Questo è il passaggio più importante di tutto il discorso.
Le Costituzioni non possono essere usate strumentalmente per favorire alcuni partiti o alcune maggioranze, come hanno provato a fare le riforme costituzionali del 2006 e del 2016, sconfitte poi dal voto referendario; devono avere uno sguardo lungimirante e un valore quasi universale. Inserire in una democrazia parlamentare l’elezione diretta del Premier, tipica dei sistemi presidenziale e semi-presidenziale, comporta due rischi secondo Segre: «il primo è quello di produrre una stabilità fittizia nella quale un Presidente del Consiglio cementato dall’elezione diretta deve convivere con un Parlamento riottoso, in un clima di conflittualità istituzionale senza uscita. Il secondo rischio è la lesione della rappresentatività del Parlamento dovuta all’inedito inserimento in Costituzione di una legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del Capo del Governo. Questo fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non venga assegnato. Paradossalmente — continua la senatrice a vita —, con una simile previsione, la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%.». La senatrice coglie il pericolo di questo artificio, che stravolge completamente la volontà espressa dalle elettrici e dagli elettori. Altro che valorizzarla!
A questo punto del suo intervento il pensiero va a Felice Besostri, l’avvocato degli elettori, promotore dei ricorsi alla Corte costituzionale contro le due leggi elettorali soprannominate Porcellum, voluta da Calderoli, e Italicum, promossa da Renzi. Entrambe dichiarate costituzionalmente illegittime «perché lesive del principio dell’uguaglianza del voto, scolpito nell’articolo 48 della Costituzione […]. Perché perseverare per la terza volta nell’errore della compressione della legittimità dell’assemblea parlamentare?» si chiede la senatrice della Repubblica. Il premio di maggioranza delineato dal disegno di legge del Governo sarebbe giudicato ancor più incostituzionale per violazione dell’articolo 48, ma se la previsione segnalata da Segre sarà inserita in Costituzione, si creerà un conflitto tra i due articoli a cui la Corte costituzionale dovrà ispirarsi per giudicare la legge elettorale che la riforma richiama. Chi ha scritto questo disegno di legge ha mostrato di non conoscere o di colpevolmente ignorare le pronunce e gli orientamenti del massimo organo di garanzia della Costituzione, il quale ha più volte sottolineato che il premio in nome della “governabilità” può esistere, ma a condizione che il partito politico a cui va il premio abbia dimostrato di avere un consenso convincente nel corpo elettorale.
I nostri e le nostre Costituenti avevano una concezione “deliberativa” e non “decidente” della democrazia, come sottolinea Gustavo Zagrebelski nel suo saggio Identità e responsabilità: il significato costituzionale dell’essere italiani, in Micromega 1/2024. Le elezioni non miravano a eleggere un vincitore, come dice lo slogan «occorre che la sera stessa delle elezioni si sappia chi ha vinto». La nostra Costituzione, a cui il linguaggio bellico è estraneo, «vuole che ciascuna posizione politica ottenga in termini di rappresentanza la forza che ha dimostrato di avere nell’elettorato del Paese». E, nello spirito della Costituzione, se un premio deve essere dato lo si deve dare a chi è più debole, non a chi è più forte.
«Un altro motivo di allarme è rappresentato — ricorda Segre — dal drastico declassamento che la riforma produce a carico del Capo dello Stato, che non solo è privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare. Anche il Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito o la coalizione che vince le elezioni politiche otterrebbe in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza. Potrebbe accadere che in caso di scadenza del settennato dopo la competizione elettorale, le coalizioni possano essere indotte a presentare un ticket con il n.1 candidato a fare il Capo del Governo e il numero 2 candidato a insediarsi al Quirinale avendo la certezza matematica che lì, sia pure dopo il sesto scrutinio, stando all’emendamento del senatore Borghi, la maggioranza avrà i numeri per conquistare successivamente anche il Colle più alto. Quindi il partito o la coalizione vincente, che potrebbero essere espressione anche di una porzione molto ridotta dell’elettorato nel caso in cui competessero 3 o 4 coalizioni come avvenuto in un recente passato, sarebbe in grado di conquistare, in un unico appuntamento elettorale, il Presidente del Consiglio e il Governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e di conseguenza anche il controllo della Corte Costituzionale e degli altri organismi di garanzia, il tutto sotto il dominio assoluto di un Capo del Governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento». Ricordiamo che oggi l’indipendenza della Corte costituzionale è garantita dalla lettera dell’articolo 135, secondo cui le nomine cosiddette politiche dei giudici costituzionali fatte dal Parlamento in seduta comune, rappresentano solo un terzo e che l’elezione degli altri 10 giudici spetta al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature, ordinaria e amministrative. La riforma che si vorrebbe introdurre riuscirebbe invece a rendere la Corte costituzionale condizionata dal Governo.
Segre ricorda che nessun sistema presidenziale o semipresidenziale consentirebbe una tale concentrazione di potere. Anzi in quei modelli l’autonomia parlamentare è tutelata al massimo grado. La senatrice non si spiega il cambiamento della coalizione di governo rispetto al programma elettorale: si proponeva il presidenzialismo mentre ora, senza mostrare alcuna volontà di condivisione e apertura alle altre forze politiche, (come si dovrebbe fare in occasione di una grande riforma costituzionale), si stravolge profondamente il sistema di governo parlamentare. Segre si avvia alla conclusione ricordando che la cosiddetta stabilità di governo e il rafforzamento del potere della Presidenza del Consiglio avrebbero potuto essere raggiunti ispirandosi a modelli già sperimentati nelle democrazie. Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan «Scegliete voi il Capo del Governo». «Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di scadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate».
Ringraziamo la senatrice Segre per la mirabile lezione di diritto costituzionale che ci ha regalato negli undici minuti del suo intervento in cui ha scelto di non tacere. E pensare che questa riforma prevede anche, con l’abrogazione dell’articolo 59, l’eliminazione dei senatori e delle senatrici a vita.

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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