Scrittrice, diplomatica, rivoluzionaria e femminista, è stata testimone e fautrice di alcuni dei più grandi momenti della storia del Novecento. Al giorno d’oggi quasi nessuno la conosce, ma un secolo fa godeva di enorme fama: Aleksandra Kollontaj non è stata solo una bolscevica, pacifista e internazionalista, la prima ambasciatrice donna, la prima commissaria del popolo della Rivoluzione d’ottobre, ma anche una femminista tenace e una teorica dell’amore libero. Grande stratega, è quasi l’unica tra i bolscevichi della prima ora a non essere finita sotto il giogo di Stalin. Un’infanzia politica Aleksandra Domontovič, nata da una famiglia aristocratica e liberale, si dimostra una bambina brillante e anticonformista. Dalla madre eredita l’intraprendenza e l’impudenza, dal padre l’interesse per la storia e la politica. Le sue origini aristocratiche le permettono di studiare letteratura e storia, nonché di padroneggiare fin dalla tenera età svariate lingue: oltre il russo, parla inglese, francese, tedesco e finlandese. Sogna di diventare una scrittrice, ma è la politica a segnare la sua vita già dalla prima infanzia: nasce il 19 marzo 1872, a un anno dal trionfo della Comune di Parigi, una coincidenza a cui darà sempre un enorme valore simbolico; fino da piccola ascolta sognante i racconti del padre, ufficiale di stanza in Bulgaria. Contro il volere di entrambi i genitori, a ventuno anni sposa l’ingegnere Vladimir Kollontaj, dal quale avrà un figlio, Michail, e del quale manterrà il cognome nonostante restino insieme per soli cinque anni. La separazione dall’uomo, con cui sarà in rapporti amichevoli fino alla morte di lui, avviene non solo perché Aleksandra trova insopportabile dover dedicare la sua intera vita alla famiglia, ma soprattutto perché Vladimir ne svilisce le ambizioni, ritenendole capricci e niente più.
Il socialismo, il femminismo Ad avvicinarla ai temi socialisti e femministi è la sua istitutrice, Marija Ivanovna Strahova, che la inizia ad attività politiche e riunioni clandestine. Kollontaj rivolge immediatamente il suo interesse verso l’educazione dell’infanzia, ma si rende conto di avere bisogno di studiare ancora. Parte, allora, per Zurigo, dove approfondisce gli scritti di Marx e, in particolare, le problematiche dei lavoratori finlandesi, tema su cui pubblicherà degli articoli, nonché la sua prima opera. In questo periodo scopre, inoltre, uno dei talenti che più le garantiranno la fama nei decenni a venire: tiene un discorso di fronte ad altre/i studenti, dimostrando di essere un’incredibile oratrice.
Tornata in Russia, assiste alla violenta repressione della rivoluzione del 1905 e decide di mettere le sue doti oratorie al servizio dei menscevichi, andando nelle fabbriche ad arringare lavoratori e lavoratrici. Questi anni all’insegna delle conferenze, a cui partecipa impressionando socialisti del calibro di Lenin, Trockij e Lunačarskij, le fanno guadagnare l’appellativo di “compagna”. Ma non solo: mentre è in giro per la Germania, viene in contatto con Karl Liebknecht, August Bebel – autore di La donna e il socialismo, che Aleksandra legge – e Clara Zetkin. Quest’ultimo incontro è importantissimo: nel 1906, prima della conferenza di Mannheim, Zetkin le comunica che la sezione femminile dell’Spd porterà all’ordine del giorno la proposta di organizzare il primo Congresso delle donne socialiste.
Kollontaj insiste affinché venga creata una sezione femminile del Partito, ma ben presto scopre che menscevichi e bolscevichi, in fondo, da una cosa sono accomunati: l’indifferenza verso le donne e i loro problemi. Non solo non le danno ascolto, ma viene addirittura accusata di voler dividere il partito. Aleksandra, però, non è famosa per essere arrendevole: fa di testa sua e fonda la Società di mutuo soccorso per le lavoratrici, che troverà l’importantissimo appoggio del sindacato delle industrie tessili. Kollontaj, comunque, non è allineata al pensiero delle femministe dell’epoca, e lo dimostra al loro Congresso panrusso del 1908, nel quale sottolinea come le femministe siano donne borghesi, la cui idea di liberazione, non avendo a che fare con il socialismo, è, in realtà, desiderio di opprimere quanto gli uomini; così facendo, non solo escludono le proletarie dalla loro lotta, ma le donne tutte dalla rivoluzione. E senza rivoluzione, i problemi e le disuguaglianze della condizione femminile non possono finire. Il giorno successivo all’apertura del congresso compare la polizia, e Aleksandra capisce di dover scappare: non tornerà in Russia per ben otto anni. Si rifugerà a Berlino, dove diventerà parte dell’Spd tedesco, gruppo con il quale – per il momento – condivide le idee. Inizia così un altro periodo che vede la nostra in giro per l’Europa come congressista. I suoi comizi piacciono tanto da garantirle un posto nella delegazione per il congresso di Copenaghen, durante il quale viene scelta la data dell’8 marzo per celebrare la Giornata internazionale della donna. Con Lenin e contro Lenin All’alba della Prima guerra mondiale Aleksandra Kollontaj si distacca dai menscevichi: questi appoggiano la guerra, mentre lei è pacifista assoluta. Pur non aderendo nemmeno alla posizione bolscevica, si trova più in linea con il pensiero di Lenin, a cui si avvicina proprio in questo periodo. Il leader non può che essere contento di questo acquisto, vista la capacità di Kollontaj di difendere le proprie idee in più lingue e, così, trascinare le folle. In questi stessi mesi, Kollontaj scrive Società e maternità, opera in cui sostiene la necessità di liberare le donne dal peso della maternità affinché possano lavorare fuori casa. Per farlo, è lo Stato a dover subentrare, dopo qualche mese, nella crescita di bambini e bambine, in quanto nuovi elementi che la società si vede donare. Intanto, il panorama rivoluzionario iniziato l’8 marzo 1917 richiama Aleksandra in patria.
Dopo aver difeso a spada tratta le Tesi di aprile leniniste – ed essersi così guadagnata il soprannome di “valchiria della rivoluzione” – prima diventa la portavoce di Lenin, e poi, allo scoppio della Rivoluzione d’ottobre, assume il ruolo di Commissaria del popolo per gli affari sociali. Nel 1918, alla successiva Conferenza delle donne, Kollontaj propone un nuovo modello di famiglia: l’unione di due membri dello Stato operaio, fondata sull’amore e il rispetto, e scevra dalla gelosia, in cui le donne non siano più dipendenti dagli uomini, ma loro pari. E, ancora una volta, sottolinea come spetti allo Stato fornire loro i mezzi materiali per crescere la prole: asili e mense comuni devono diffondersi ovunque. Morta Inessa Armand, fedele e inseparabile braccio destro della coppia Lenin-Krupskaja, Kollontaj ne eredita le cariche: diventa presidente delle sezioni femminili del Comitato centrale e del Comintern, nonché assistente di Clara Zetkin nel Segretariato internazionale delle donne e nell’esecutivo del Comintern. Il lungo periodo di fedeltà a Lenin, iniziato nel 1915, è, però, destinato a finire. Nel 1921, infatti, Aleksandra aderisce all’Opposizione operaia. Questo gruppo sostiene che, ora che la guerra civile è finita e il Partito ricomincia a parlare della forma e delle funzioni dello Stato – tema fondante delle teorie leniniste – sia necessaria una riforma, in cui sindacati e classe lavoratrice partecipino attivamente al processo decisionale del governo, che si è, invece, man mano burocratizzato e allontanato dalle masse. A causa di questa adesione – e della forte avversione alla Nep – viene sollevata dai suoi incarichi e mandata a Odessa. Kollontaj l’ambasciatrice Stare lontana dal mondo politico, però, le è impossibile: scrive una lettera al segretario del Partito, Iosif Stalin, per chiedergli un incarico, una posizione da cui essere utile in virtù delle sue capacità, soprattutto linguistiche.
Ed è così che Kollontaj diventa una diplomatica. Nel 1922, dopo lunghe trattative, si trova un Paese aperto all’idea di ospitare una rivoluzionaria militante: la Norvegia. Aleksandra, visto che la sua patria non è ancora stata riconosciuta, e quindi non esiste un’ambasciata sovietica, diviene rappresentante commerciale, compito cui si dedicherà, al solito, con grande tenacia e dedizione. Grazie al suo lavoro, non solo il commercio tra i due Paesi viene aperto, ma nel febbraio 1924, a circa un mese dalla morte di Lenin, la Norvegia riconosce l’Urss e lei, così, diventa ambasciatrice: la prima donna a ricoprire quell’incarico. Servirà anche la Svezia, la Finlandia e, per un breve periodo, il Messico, una terra dal clima poco adatto alla sua precaria salute. Tra le sfarzose feste, gli accordi diplomatici, le svariate onorificenze – tra cui una candidatura al Nobel per la pace – e addirittura un ictus, Aleksandra Kollontaj riesce a sopravvivere anche alle purghe staliniane, dimostrando di essere, tra le altre mille cose, un’assoluta stratega. L’8 marzo 1952 quest’incredibile donna politica, rivoluzionaria e femminista, sente un terribile dolore al petto. Morirà all’alba del giorno dopo.
***
Articolo di Dana Moda

Studente di Editoria e scrittura e dottora in Mediazione culturale. Giovane e appassionata lettrice, nonché meticolosa scrittrice, crede nel potere delle parole e auspica una società della cura. Soccombe alle fusa delle sue gatte.
