Editoriale. A meno che l’acqua non sia più sicura della terra

Carissime lettrici e carissimi lettori,
vi ricordate di Giulia? Giulia Cecchettin, uccisa da un ragazzo della sua età perché gli aveva detto di no, aveva messo davanti agli occhi e alla sua mente il fatto che lo avrebbe lasciato, che non lo amava più, che la sua vita voleva portarla in altre strade dove lui non poteva esserci? La vita allora lui gliel’ha tolta, durante una sera quasi rubata a lei, a metà del mese di novembre appena passato. Lui, lo diciamo con il padre Gino, però, non ci interessa.  
Per lei, per Giulia, cominciando da Giulia, abbiamo scelto anche noi un’altra strada: non più del silenzio e della sofferenza, ma della forza modernizzata del rumore. Abbiamo cominciato a fare rumore. Con le chiavi, con le mani, con la voce. Abbiamo fatto in modo che il mondo sentisse la nostra disapprovazione. Netta e ben udibile. 
Da Giulia Checchettin, accogliendo la lezione di papà Gino e della sorella Elena, abbiamo capito che bisogna non alzare la voce, ma con il sonoro rumore, anche quello semplice dello sbattere delle chiavi, dobbiamo riuscire a far voltare il mondo verso ciò che accade. Non solo riguardo alla violenza sulle donne, ma verso tutta la violenza del mondo, che uccide o tende ad uccidere. Come l’esaltazione dei totalitarismi, delle guerre giustificate dai potenti della terra, delle conseguenti volontà di sottomettere, se non annullare, popoli interi. 
Allora il silenzio che abbiamo considerato come ottima risorsa, non è più intermezzo e premessa delle parole, come scrivevamo riguardo ad una delle tracce preferite dei temi proposti all’ultimo esame di maturità. Può diventare e apparire sottomissione. Questo deve averlo capito anche “il” presidente del consiglio che dopo giorni (tanti) di silenzio, il silenzio lo ha finalmente rotto e ha scritto ai dirigenti del suo partito, ha fatto sentire a tutti e tutte noi la sua condanna verso le parole, i gesti, gli osanna ai totalitarismi, il razzismo e l’antisemitismo esaltato. Fatti reali, registrati dalla stampa che li aveva doverosamente resi pubblici, un silenzio che era fino ad ora calato sulle “gesta” di quelli che erano stati giudicati “quattro ragazzini quindicenni” appartenenti alla gioventù del suo partito. “Ragazzini” e “ragazzine” con le braccia alzate a saluto romano, esaltanti in coro ad anni e persone oscure del nostro passato. Non ho letto la lettera, ma non so se, sempre “il” Presidente del consiglio, nella sua lettera al partito abbia o no messo in conto il commento osceno (come la sua risata fatta in proposito!) della giovane donna apparsa nel filmato che, corroborata appunto da una lunga risata, assicura un aborto certo per lei se l’avesse stuprata un cittadino africano. Per noi questo sarebbe un fatto gravissimo, comunque, sul quale non è possibile minimamente scherzare. Fermamente condannabile non per il colore della sua pelle o il Paese di provenienza di chi agisce così, ma perché indica una violenza estrema su un corpo, in questo caso femminile, un abuso imposto da un maschio senza alcun consenso. Uno scandalo, tutto, che esige rumore.  

Rumore lo chiama anche la proposta di legge che darebbe, alle sole donne italiane, un assegno di mille euro al mese per una durata di cinque anni. Si chiama “assegno di maternità, è subdolamente un vero e proprio ulteriore attentato alla legge 194 perché, nonostante ci sia chi lo nega, è una proposta di sostegno a continuare la gestazione per le donne (e le coppie) che hanno difficoltà economiche a far nascere un bambino/a e decidono di abortire: «Al fine di ridurre le richieste di interruzione della gravidanza motivate dall’incidenza delle condizioni economiche», si legge nel ddl composto da due articoli. Il “reddito di maternità” costituisce un beneficio economico, su base mensile, concesso su richiesta alle donne, cittadine italiane residenti, che si rivolgono ad un consultorio pubblico o ad una struttura sociosanitaria a ciò abilitata dalla Regione, o a un medico di sua fiducia. La condizione è l’Isee (che non dovrebbe superare i 15.000.00 euro annui), ma si punta esplicitamente a quelle donne che si rivolgono al consultorio per beneficiare della legge 194 ormai non abolita ufficialmente, ma svuotata quasi del tutto, come un’implosione di un diritto acquisito. Per questo si impegnerebbero ben 600 milioni di euro presi dal Fondo per il reddito di maternità. Il resto è chiaro! La beffa è palese: «La legge 194 sull’aborto all’articolo 5 – sostiene la relazione che accompagna il disegno di legge – dispone che il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito, quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dalle condizioni economiche o sociali, di esaminare con la donna le possibili soluzioni dei problemi, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza….migliorare la condizione economica delle donne è quindi un obiettivo sociale e politico indispensabile per ridurre effettivamente gli aborti». 

Dopo la chiusura del “reddito di cittadinanza” questo nuovo contributo sociale offende perché «non si affronta così lo scarto tra figli desiderati e realizzazione dei progetti di genitorialità. Stiamo parlando di gravidanze indesiderate e la scelta delle donne va rispettata, non indotta economicamente» (Cecilia D’Elia). Si è parlato di «un’offesa all’intelligenza delle donne e un ulteriore espressione di misoginia di certa classe politica» (Luana Zanella) e a noi sembra una definizione esatta. Si dimentica che l’aborto non è mai una scelta facile, ma deve rimanere un diritto. Purtroppo, il contrasto all’aborto e al diritto ad esso si risolve con facili soluzioni che tendono a incidere sul pietismo e sull’emotività della donna a cui spetta unicamente la scelta e non, come sarebbe politicamente corretto, con riforme sociali riguardanti il mondo del lavoro femminile, l’emergenza abitativa, la messa a disposizione di progetti che aiutino i figli e le figlie che nascono a essere socialmente protetti/e (creazione di asili nido in primo luogo).  

Un titolo di un quotidiano mi fa accapponare la pelle:«Meno figli? Meno talenti. Ecco perché un’Italia più feconda sarà calcisticamente più competitiva». Questo per spiegare (ma i metodi mi e ci proiettano a un “ventennio” lontano) il motivo delle recenti brutte sconfitte della nazionale di calcio nostrana. Insomma secondo l’articolista del Secolo d’Italia le cause del fallimento sportivo sarebbero soprattutto tre, non a caso tutte, (o almeno due) molto legate ai principi e proposte dell’attuale governo. Troppi stranieri presenti nelle squadre (anche il calcio o lo sport in genere deve rispondere a criteri autarchici?!), la carenza di scuole di calcio (e ci potrebbe pure stare), cosa che si aggraverebbe per il richiamo dei ragazzini (chissà perché solo maschi? ma si sa…) verso altri sport, il che causerebbe una dispersione dei talenti. Ma il fiore all’occhiello è il terzo punto, la denatalità italiana: «Altro elemento che riduce il numero di potenziali calciatori professionisti – ribadisce l’articolista — è la denatalità. E questo sì che è un male. È vero, il tema riguarda anche altri Paesi occidentali. Ma è in Italia che raggiunge notevole espressione, con una popolazione che invecchia e si riduce a ritmi spaventosi, tanto da rappresentare motivo di studio anche all’estero. Qui il tema è sociale quanto politico. Ne è consapevole il governo Meloni, che fin dal suo insediamento ha posto la questione in cima alla propria agenda, azionando in modo robusto le leve economiche ma con la ferma consapevolezza che sia essenziale muovere pure delle leve culturali. Serve veicolare l’idea che fare figli è il motore economico, sociale, culturale, identitario e finanche sportivo della nazione, altrimenti condannata all’apatia sotto ognuno dei punti di vista sopracitati. Un’Italia più feconda, insomma, è anche un’Italia calcisticamente più competitiva». Tutto questo è da regime, ricorda un regime. Incommentabile.  

Ma la sconfitta e l’umiliazione della nazionale sa ancora di più di maschilismo e patriarcato. Infatti, con buona pace del generale Vannacci, ora in Europa a portare i suoi dubbi principi di un’Italia autarchica e con determinate caratteristiche somatiche (?) dei suoi cittadini e cittadine, la squadra femminile di pallavolo ha vinto la Nations League 2024, sotto silenzio.  

Barbara Poggio docente all’università di Trento, dove è prorettrice alle politiche di equità e diversità, scrive sulla sua pagina social:«Ieri pomeriggio (si riferisce a sabato 29 giugno n.d.r.) la RAI ha trasmesso in diretta la partita Italia-Svizzera, ottavi di finale degli Europei di calcio maschili. Prestazione decisamente mesta, in linea con le precedenti. È forse utile ricordare che Il monte ingaggi della nazionale italiana di calcio maschile si aggira attorno agli 80 milioni di euro, cui si aggiungono i premi partita, che in questo caso sono ovviamente più limitati rispetto ad altre edizioni. Ricordo anche che il montepremi complessivo di EURO 2024 è di 331 milioni di euro e la squadra campione potrà incassare quasi 30 milioni. Nonostante la magra performance, gli azzurri hanno incassato dalla competizione europea 12,25 milioni di euro. Una settimana fa la RAI NON ha invece trasmesso la finale della Nations League 2024 di Volley femminile, dove la Nazionale italiana, guidata da Julio Velasco, ha svettato per la seconda volta, con prestazioni di gruppo e individuali straordinarie: 10 vittorie su 12 partite; Paola Egonu premiata come migliore giocatrice; quattro azzurre inserite nel Dream Team, il sestetto ideale della prestigiosa competizione internazionale (Paola Egonu come miglior opposta, Myriam Sylla come miglior schiacciatrice, Alessia Orro come miglior palleggiatrice, Sarah Fahr come miglior centrale). Ma di questa ottima performance si è saputo molto poco, non solo perché nessuna partita è stata trasmessa dalla RAI (che non ne aveva acquisito i diritti), ma perché praticamente nullo è stato lo spazio dedicato all’evento e alla notizia. Pur essendo la pallavolo uno dei maggiori sport praticati e seguiti in Italia (e quello più praticato dalle donne), le performance della nazionale femminile sembrano meno meritevoli di attenzione. D’altra parte, scriveva un certo generale, i tratti di Paola Egonu non rappresentano la vera italianità: che forse si preferisca puntare su ‘campioni’ più rappresentativi dell’essenza nazionale? Richiamando anche in questo caso qualche cifra, possiamo ricordare che il montepremi complessivo di questa competizione è di circa 8 milioni di euro. Un milione è andato all’Italia, in quanto squadra vincitrice. Paola Egonu ha portato a casa un totale di circa 37.000 dollari (30.000 per MVP e 10.000 per miglior opposto); Alessia Orro, Myriam Sylla e Sarah Fahr circa 9.000 euro a testa. La distanza è abissale. PS. Amo entrambi gli sport, che conosco molto bene e ho avuto occasione di praticare, ma è ovvio che qui non stiamo parlando dell’amore o della bellezza di uno sport, ma di un mix di questioni culturali, sociali, politiche ed economiche che in realtà con lo sport hanno poco a che fare». Infatti, è utile e necessario ripeterlo, la stessa cosa, sia che riguardi lo sport, la ricerca scientifica, la creatività, fatta dalle donne passa inosservata o, comunque vale di meno anche in soldoni…in senso economico.  

Sarà per questo che tante donne, in un periodo fresco di elezioni, si sono trovate sulla scheda elettorale, al fianco del proprio cognome (già mutuato comunque da quello paterno) quello del coniuge. Una discussione sul patriarcato che è accesa anche nel dibattito elettorale francese dove, domani, si andrà al ballottaggio con tanti pericoli per le donne e l’immigrazione. Un gruppo di donne ha polemizzato con l’aspirante premier della destra: «Il presidente della Rn (Raggruppamento nazionale) dovrà affrontare il leader ambientalista in un dibattito pubblico. Non è solo una questione di scelta politica — hanno scritto — ma anche una questione di giustizia e uguaglianza, secondo un collettivo di femministe, tra cui Vanessa Springora, Juliette Binoche, Camille Kouchner, Pénélope Bagieu: ecco la loro rubrica pubblicata su Libération. « Ieri (lunedì scorso n.d.r.) Jordan Bardella ha espresso il suo desiderio di contrapporre il progetto del Raggruppamento Nazionale a quello del Nuovo Fronte Popolare in un dibattito con Jean-Luc Mélenchon. Noi, attiviste femministe, vogliamo che il dibattito si svolga come previsto tra Jordan Bardella e Marine Tondelier, leader degli Ecologisti. Marine Tondelier, eletta all’opposizione a Hénin-Beaumont (Pas-de-Calais), conosce perfettamente i metodi della RN. Li ha esposti anche in un libro pubblicato nel 2017, Nouvelles du Front. Il rifiuto di Jordan Bardella di discutere con lei non è altro che un tentativo di evitare uno scambio che teme. Ci rifiutiamo di vedere una delle rare donne leader di partito invisibile e addirittura messa a tacere, soprattutto perché i due principali dibattiti tra i candidati legislativi prima del primo turno erano al 100% maschili. È fondamentale che Marine Tondelier, che conosce da vicino la realtà dell’estrema destra, possa confrontarsi con Jordan Bardella, anche sul suo progetto a favore delle donne». 

Giovedì notte è tornato a Roma il Premio Strega, tra i più prestigiosi tra quelli letterari qui in Italia. Sulla storica lavagna del Ninfeo di Villa Giulia erano scritti i sei nomi quest’anno divisi, con giustizia di genere, in pari quote tra scrittori e scrittrici (Donatella Di Pietrantonio, Raffaella Romagnolo, Chiara Valerio e Tommaso Giartosio, Paolo Di Paolo, Dario Voltolini). A vincere è stata una donna, Donatella Di Pietrantonio che ha vinto (186 voti su 644) con L’età fragile (Einaudi). Le sue parole appena premiata ci appagano e ci rendono consce di avere una compagna di strada: «Prometto che userò la mia voce scritta e orale in difesa di diritti per cui la mia generazione di donne ha molto lottato e che oggi mi ritrovo a verificare non più scontati»: le prime parole di Donatella Di Pietrantonio sono per le donne. La scrittrice abruzzese parla a caldo dal palco del Ninfeo di Villa Giulia, a Roma, dove è stata appena proclamata vincitrice del Premio Strega 2024 con il romanzo L’età fragile (Einaudi). «Ringrazio la Fondazione Bellonci e gli Amici della Domenica, i miei compagni e compagne di viaggio, di cui ho già nostalgia — dice l’autrice abruzzese — il mio editore come squadra, perché la scrittura è un atto molto solitario ma il libro come prodotto finale è la risultante di un lavoro di squadra fatto con grande professionalità e grande amore…Volevo sottolineare — ha aggiunto spiegando il suo romanzo vincitore — l’importanza della consapevolezza, del riconoscere la propria fragilità individuale come appartenente a una fragilità più generale che ci riguarda tutte e tutti. Solo nel momento in cui se ne diventa consapevoli può diventare un punto di forza». E poi il grande assente (per noi non giustificato!) il ministro della cultura dell’attuale governo, Gennaro Sangiuliano che lo scorso anno ammise davanti a una Geppi Cucciari allibita, di non aver letto i romanzi in gara!

Diamo gli auguri a Mafalda, la ragazzina immaginaria dei fumetti disegnati Joaquin Lavadio, in arte Quino, nel 1964 (fino al 1973). Mafalda non vuole integrarsi nel mondo degli adulti, fa loro domande dirette, tanto da causare spesso crisi di nervi curabili con il nervocalm!. Odia la minestra come quasi tutti i bambini e le bambine della sua età e sa parlare di pace, di umanità, di razzismo ponendo domande candide e imbarazzanti. Per lei, per festeggiare i suoi giovanilissimi 60 anni, una chilometrica striscia dei fumetti nei quali è protagonista sarà esposta per tutta l’estate lungo le spiagge della riviera romagnola. Per festeggiare la bambina che disse al presidente del consiglio di allora Silvio Berlusconi «di non essere una donna a sua disposizione»!!! 

Questa settimana è stato arrestato l’uomo che non ha voluto aiutare Satnam Singh a continuare a vivere. I versi della poesia, che ci consolerà di questa perdita, sono di una poetessa di origini africane, Warsan Shire, nata a Nairobi 35 anni fa e fuggita a Londra con i suoi genitori somali per scappare dalla guerra civile. La poesia si intitola Home, casa, ed è un simbolo, una chiave di lettura lucida e toccante delle storie dei rifugiati di questo secolo, quelli che varcano le frontiere ai confini del Messico così come le porte dell’Europa. «Leggerla – è stato scritto — fa bene e allo stesso tempo fa male, risveglia le coscienze ma colpisce in pieno petto, e non a caso alcuni suoi versi sono stati citati anche per raccontare la strage del peschereccio affondato a Steccato di Cutro, in Calabria. Tragedia in cui hanno perso la vita 67 persone, 14erano bambini». 
I versi di Home sono infatti nati da Conversation about home (at a deported centre), una serie di incontri dell’autrice con un gruppo di migranti africani che nel 2006 si erano rifugiati dentro l’edificio dell’ex ambasciata della Somalia a Roma. Il giorno prima del suo arrivo, un ragazzo si era gettato giù dal tetto. «Ho scritto la poesia per loro, per la mia famiglia, per chiunque abbia vissuto il dolore e il trauma in quel modo». 

Casa 

Nessuno lascia casa a meno / che casa non sia la bocca di uno squalo. 
solo si fugge verso il confine / al vedere la città / intera fuggire. 
i tuoi vicini che corrono più veloci / di te, il ragazzo con cui andasti a scuola / che ti baciò vertiginosamente dietro / la vecchia ferriera / carico di un fucile più grande del suo corpo, / solo si lascia casa / quando è la casa a non lasciarti restare. 
nessuno lascia casa a meno che non sia la casa / a cacciarti, fuoco sotto i piedi, / sangue caldo nella pancia. 
non è qualcosa che avresti mai pensato / di fare, e pur facendolo – / hai conservato l’inno a portata di respiro, / aspettando di essere nel bagno di un aeroporto / per fare a pezzi il passaporto inghiottendo, / ogni boccone di carta mette in chiaro che / non saresti tornata indietro. 
capisci, / nessuno affida i propri bambini ad una barca / a meno che l’acqua non sia più sicura della terra. 
chi sceglierebbe di passare giorni / e notti nel ventre di un camion / a meno che il tragitto percorso / significhi più di un viaggio. 
nessuno sceglierebbe di strisciare sotto recinti / essere picchiata fin quando la tua ombra non ti abbandona, / violentata, annegata, costretta al fondo / della barca per il colore della pelle, esser venduta, / ridotta alla fame, venir sparata alla frontiera come un animale ferito, / essere compatita, perdere il proprio nome, perdere la propria famiglia, / chiamare casa un campo profughi per un anno, o due, o dieci, / spogliata e perquisita, in prigione ovunque / e se sopravvivi venire accolta dall’altra parte / con andatevene a casa neri, rifugiati / sporchi immigrati, richiedenti asilo / parassiti / scuri, con le mani pendule / odorano strano, di selvaggio – / guarda cosa hanno fatto dei loro Paesi, / cosa faranno al nostro? 
il disprezzo negli sguardi per strada / più lieve rispetto ad un arto strappato, / l’umiliazione quotidiana / più dolce di quattordici uomini che / assomigliano a tuo padre, tra / le tue gambe, gli insulti più facili da inghiottire / che le macerie, che il corpo del tuo bambino / a pezzi – per ora, dimentica l’orgoglio / sopravvivere è più importante. 
voglio andare a casa, ma casa è la bocca di uno squalo / casa è una canna di pistola / e nessuno lascerebbe casa / a meno che non sia la casa a cacciarti a riva / a meno che la casa stessa ti dica / di lasciare dietro di te ciò che non puoi, / anche fosse umano. 
nessuno lascia casa finché casa / non diventa una voce angosciosa all’orecchio che dice / parti, scappa da me adesso, non so cosa / sono diventata. 

Warsan Shire 

Buona lettura a tutte e tutti.

Settimana impegnativa quella che abbiamo attraversato, all’insegna di elezioni che potrebbero cambiare completamente il volto del Paese della Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Consoliamoci con gli articoli di Vitaminevaganti: Carmen Bulgarelli Campori, pioniera nella direzione d’orchestra, definita “la quintessenza della musicalità” è la donna di Calendaria che incontriamo in questo numero. Ma sono tante le figure femminili che presenteremo: in Viaggiare da sole. Il cat-calling negli scatti di Ruth Orkin scopriremo una grandissima fotografa; in Un giardino dedicato a Laura Peroni, avremo modo di fare conoscenza con  una paesaggista e difensora del verde ante litteram; in Intervista a Franca Olivaincontreremo una magistrata da sempre impegnata in ambito penale, che si diletta a scrivere di fantascienza; in Fanfullart e le sue viaggiatrici leggeremo di un’iniziativa toponomastica, Camera d’autrice, che ha dedicato nel Quartiere romano di Pigneto ben otto stanze a donne appartenute a diverse epoche storiche, dal tardo Seicento fino alla fine del XX secolo, che si sono distinte in varie discipline, dalla scienza al giornalismo, dallo sport alla diplomazia. 
Ars Fortuna. Da Fano un viaggio tutto al femminile tra arte, sogni e solidarietà è il racconto, nella Sezione Juvenilia, di un progetto premiato alla VII edizione del concorso didattico Sulle vie della parità nelle Marche promosso dall’Osservatorio di Genere. 
Di ottica di genere parliamo in due approfondimenti: Traduzione per l’infanzia in ottica di genere e La Medicina di Genere nel mondo, che dilata lo sguardo a come nelle diverse zone del nostro pianeta è affrontata la questione della salute femminile. 
Democrazia, economia, cura. Parte Quarta prosegue anche in questo numero, relazionando su un intervento dal Convegno nazionale di Toponomastica femminile del 2022. La cura del pianeta è diventata un imperativo categorico, ormai, cui possiamo ottemperare anche con piccoli gesti quotidiani. Ce ne parla l’autrice di Limitare la plastica si può? 
Con il Giugno di Toponomastica femminile ripercorreremo le tappe toccate dalle nostre iniziative toponomastiche in tutta Italia, accompagnate/i da una poesia che è un inno alla vita. 
Per la serie “flash-back” leggeremo la storia dell’autrice de Il mangiadischi, il primo impatto di una bambina coi divieti imposti al genere femminile. Un tema ripreso, mutatis mutandis, da Due pesi e due misure, l’articolo pungente e stimolante che, come tutti quelli della professoressa Graziella Priulla, ha il pregio di farci pensare. 
Chiudiamo, come sempre, con una nota gustosa: Pasta con castagne, rosmarino e crema di latte, la ricetta vegana di questi primi giorni di luglio, augurando a tutte e tutti Buon appetito. 
SM 

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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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