Traduzione per l’infanzia in ottica di genere

L’intreccio tra la traduzione della letteratura per l’infanzia e gli orientamenti di genere è un capitolo molto interessante, emerso dagli studi degli ultimi anni. Tra i due ambiti di studio, infatti, vi sono vari punti di contatto: per parecchio tempo, la letteratura per l’infanzia e la sua traduzione sono state dei canali di accesso delle donne al mondo editoriale e, inoltre, entrambe sono soggette a giudizi etici che comportano modificazioni, censure ed esclusioni sul testo di partenza. La letteratura per l’infanzia è un fenomeno relativamente recente. Basti pensare che è solo nel 1699, con Le avventure di Telemaco di Fénelon, che per la prima volta un autore indirizza un libro a un bambino, in questo caso il figlio di Luigi XIV. In Italia, invece, solo il XIX secolo vedrà le prime pubblicazioni di libri per l’infanzia, producendo in cambio grandi classici come Le avventure di Pinocchio.

Per molto tempo infatti questo genere letterario è stato considerato come un “sottoprodotto” di quelli per adulti, in base alla “vera arte della scrittura”. Una valutazione che mette in rilievo le peculiarità di tale produzione, che portano a esplorare e a ragionare diversamente sul rapporto triangolare che si istituisce tra testo, scrittore o scrittrice e destinatari/e. Infatti, è difficile dare una definizione univoca alla letteratura per giovani lettori e lettrici, poiché varia a seconda della prospettiva adottata, che può essere quella di chi scrive, di chi legge o di chi pubblica. Tra l’altro, tale tipo di letteratura si basa su un rapporto asimmetrico tra un gruppo di adulti determinato ー insegnanti, genitori ー e quello dei e delle giovani destinatari/e, che hanno competenze di lettura, conoscenze del mondo e bagagli esperienziali nettamente minori rispetto al primo gruppo.

L’asimmetria influenza fortemente non solo la produzione, ma anche la traduzione: le strategie, sia sul piano della traduzione che su quello della pubblicazione e della promozione editoriale, devono essere attente e finalizzate a rendere il testo accessibile a chi legge. Necessariamente, quindi, viene fatta una serie di interventi e rielaborazioni sul testo di partenza, sulla base di un’idea dell’infanzia soggettiva e dunque sfuggente e mutevole. Il risultato consiste in vere e proprie manipolazioni dell’originale, in vista di ciò che è considerato moralmente e culturalmente accettabile nella cultura d’arrivo. Infatti, chiunque si occupi di questo campo non può ignorare l’influenza della letteratura sulla crescita e lo sviluppo etico e personale di bambine e bambini visto che, a differenza di quella per adulti, è costantemente interessata da preoccupazioni non solo di carattere estetico, ma soprattutto pedagogico ed educativo. Proprio per questo, un giusto approccio di genere alla letteratura dell’infanzia e alla sua traduzione è fondamentale per trasmettere dei modelli di parità e giustizia tra i sessi a livello sociale. Una traduzione adeguata, infatti, può essere un importante mezzo di trasmissione di messaggi positivi, di distruzione e contestazione di alcune rappresentazioni tradizionali, di nuove e più eque caratterizzazioni di genere. Pertanto chi traduce deve guardare il testo con una certa sensibilità, preoccupandosi di utilizzare un linguaggio inclusivo e affrontando coerentemente le problematiche nel passaggio da una lingua (come ad esempio l’inglese, in cui il genere non è marcato) all’altra (in italiano e in altre lingue romanze il genere è marcato grammaticalmente).

Anche se dobbiamo riconoscere lo sviluppo di una maggiore coscienza traduttiva, le problematiche sono ancora molte, specie perché gli studi sulla traduzione della letteratura per l’infanzia in un’ottica di genere sono assai recenti: iniziano infatti nei primi anni Duemila, in seguito all’elaborazione della nozione di “lingua sessista”. Secondo l’ipotesi di Sapir-Whorf, gli idiomi non solo possono manifestare diverse realtà, ma condizionano anche il nostro modo di pensare, incorporano una visione del mondo e la impongono a chi parla.

Edward Sapir (1884-1939) e il suo allievo Benjamin Lee Whorf (1897-1941), a cui si deve l’omonima teoria, anche detta “della relatività linguistica”

Possiamo quindi domandarci: fino a che punto è possibile riconoscersi nella lingua? Fino a che punto possiamo trovare in essa un mezzo per esprimere i nostri sentimenti e le nostre impressioni nei confronti della realtà e del mondo? Anche la lingua che usiamo quotidianamente contribuisce alla divisione dei ruoli? Infatti, se a un primo impatto sembra un mezzo a cui affidarsi con certezza, scendendo a un livello più profondo notiamo delle resistenze, delle ostilità e allora la lingua può apparire come uno strumento imposto dall’alto, dall’esterno e provocare addirittura una sensazione di disagio.

Questo senso di distanziamento e separazione è particolarmente avvertito dalle donne, che spesso denunciano l’inadeguatezza della lingua a esprimere la loro posizione nel mondo: un mondo che, anche a livello linguistico, sembra essere fatto più per gli uomini che per le donne. Queste ultime devono molte volte affrontare un senso di alienazione e di esclusione, confrontandosi con una nozione di soggettività che è sia universale sia maschile, mentre il femminile è spesso definito come deviazione o eccezione. Anche nella traduzione quindi si deve adottare un’ottica di genere, soprattutto nel momento in cui si tratta di un libro rivolto a destinatari/e la cui visione del mondo, delle categorie sociali e sessuali è ancora in via di formazione e che dipendono in gran parte dagli input ricevuti dalla realtà esterna. Spesso, invece, la traduzione della letteratura rivolta alla gioventù comporta dei veri e propri interventi censori. Nella maggior parte dei casi, questi riguardano dei temi “tabù” ― come la sessualità e, soprattutto, la non-eterosessualità ― che in diverse occasioni vengono velati o addirittura eliminati. Le traduzioni, inoltre, non sono affatto esenti da una dimensione ideologica che spesso investe anche i rapporti di potere tra i sessi. Molte volte, infatti, i personaggi femminili sono modificati e i loro ruoli vengono attenuati. Ad esempio, nelle traduzioni italiane di Les Malheurs de Sophie dell’autrice francese Comtesse de Ségur, come fa notare la docente dell’Università di Bologna Roberta Pederzoli, i lati più caratteristici e rivoluzionari della protagonista vengono eliminati o modificati: forti caratterizzazioni, aspetti anticonformisti, lati sovversivi appaiono massicciamente smorzati o giudicati attraverso commenti moralisti.

Les Malheurs de Sophie, Comtesse de Ségur, 1858.

Ancora, spesso nelle traduzioni la figura materna subisce delle trasformazioni importanti per essere adattata e resa accettabile nella cultura di arrivo. Nel caso delle traduzioni italiane, ad esempio, le madri solitamente sono associate a personaggi amorevoli e protettivi, a un ideale borghese tradizionale ancora molto presente nel nostro Paese. Non va tralasciato, tra l’altro, il ruolo che l’editoria può avere nella promozione o meno di questo tipo di prodotti e sul rafforzamento di ideologie e modelli stereotipati. Gli ultimi anni hanno visto un incremento delle collane e delle serie dedicate alle bambine o particolarmente attente alle problematiche di genere. Sono nate sempre più case editrici indipendenti, militanti e femministe e c’è stata una crescita sensibile di articoli attenti alle tematiche di genere. Forse, quindi, anche l’industria editoriale sta assumendo un nuovo volto, più etico e paritario. Dall’altra parte, però, prevalgono ancora le collane per l’infanzia divise categoricamente in libri per maschi o per femmine. Si tratta di una vera e propria genderizzazione della produzione, dato che le collane tradotte sono spesso uno strumento per ribadire e veicolare rappresentazioni di genere stereotipate e distinte in base ai destinatari: definizione di ruoli, etichette e modelli che vengono imposti nella mente del bambino o della bambina in maniera velata e manipolatoria. Sicuramente, quindi, un approccio di genere alla traduzione della letteratura per l’infanzia può mettere in luce alcuni aspetti etici fondamentali e aprire un dibattito sul rapporto tra il testo di partenza e quello di arrivo, sulla problematicità di censure e omissioni, sul ruolo fondamentale dell’editoria nella creazione di un immaginario di genere; una traduzione che sia in grado di scardinare le logiche di potere e di distruggere le iniquità per dare nuova linfa alla nostra società attraverso lo sguardo di giovani lettrici e lettori.

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Articolo di Chiara De Luca

Grande appassionata di lingue straniere e di letteratura, ho dedicato a questa sfera i miei anni di formazione, approfondendo la conoscenza del francese e dello spagnolo. Attualmente sono studente magistrale in Scienze linguistiche, letterarie e della traduzione presso La Sapienza a Roma. Credo fortemente nella centralità del linguaggio e della letteratura, nella loro portata sociale, formativa e culturale.

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