La cucina italiana candidata come bene immateriale dell’umanità

La cucina italiana «tra sostenibilità e diversità bioculturale» è stata candidata ufficialmente per essere riconosciuta come patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Si tratta fra l’altro dell’unica candidatura italiana per il biennio 2024-25 ed è ora partito il complesso e lungo iter che porterà alla proclamazione alla fine del prossimo anno, dopo che il dossier sarà stato vagliato in più occasioni da una giuria internazionale.

Logo della candidatura Cucina Italiana-Unesco

La sua infinita varietà di gusti, preparazioni, ingredienti e il suo intrinseco valore sono riconosciuti non solo da noi abitanti della penisola e da cuochi e cuoche di grande rilievo, ma pure da celebri chef stranieri, fra cui Alain Ducasse che vede addirittura il buon cibo un veicolo di pace fra i popoli. Non va dimenticato inoltre che è pure un settore trainante dell’economia che vede 4 milioni di occupate/i e vale circa 600 miliardi di euro. E noi italiane e italiani siamo così legati a ciò che compare sulla tavola da farne spesso oggetto di conversazione; proprio davanti a un bel piatto di vivande gustose facciamo confronti, esprimiamo sensazioni, commentiamo gli abbinamenti, ci sorprendiamo per le novità più gradite. Il cibo per noi, per fortuna, non è solo qualcosa da buttar giù in fretta, insieme a un bicchierone di liquido innominabile, tanto per riempire lo stomaco, magari in piedi o davanti alla tv, come di frequente vediamo fare alle famiglie americane o nordeuropee. Che tristezza! A noi, non si sa ancora per quanto tempo, soprattutto a cena piace riunirci, chiacchierare e sederci davanti a una tavola apparecchiata, se non proprio elegante almeno gradevole, semplice e pulita, piace avere stoviglie adeguate e perfino, nelle occasioni speciali, utilizzare i servizi “buoni”, le posate giuste, i bicchieri a calice. Non sono gesti superflui, ma atti d’amore e di cura per noi e per le persone a cui si vuol bene e che vogliamo trattare bene. Cucinare poi significa ricordare origini e tradizioni, utilizzare prodotti locali e stagionali, evitare sprechi, impegnarsi a trasmettere le conoscenze alle nuove generazioni. Così si era espresso fin dall’inizio il comitato di esperti, coordinato da Pier Luigi Petrillo ed Elena Sinibaldi, nato lo scorso anno su impulso della Fondazione Casa Artusi, dell’Accademia Italiana di Cucina, del Collegio Culinario e della benemerita rivista La Cucina Italiana.

Ma ci piace approfittare della golosa occasione per fare un po’ di cultura sul tema e far scoprire alle nostre lettrici affezionate (e lettori) il primo trattato di arte culinaria scritto nell’italiano di Dante: anonimo e senza titolo, è noto come Ricettario riccardiano perché depositato nella prestigiosa Biblioteca Riccardiana di Firenze con il numero 1071. Si tratta di un manoscritto, di uso pratico e concreto, scritto con una grafia non elegante e alla seconda persona singolare (prendi, se vuoi fare…) probabilmente da un cuoco fiorentino o dei dintorni, e si potrebbe datare intorno agli anni Venti del 1300, capostipite di una serie di ricettari detti “Dei XII ghiotti” perché pensati per una tavolata di dodici persone assai goderecce, come quelle citate da Dante nel XXIX canto dell’Inferno.

Scena di un banchetto medievale

Sono 57 ricette destinate a commensali di condizione agiata, abituati a spendere per il buon cibo e per manicaretti elaborati specie durante le feste, in cui tuttavia compaiono ingredienti usuali come i pesci dell’Arno, i fegatelli, le salsicce, il pollo, il lardo, i fichi, accanto ad altri di provenienza francese e regionale. Ma di cosa si parla realmente? Di brodetti, di zuppe, di minestre, visto che non si distingue fra antipasti, primi e secondi, e poi cappelletti in brodo, ravioli, cappone ripieno, biancomangiare; abbondano le spezie, parecchio utilizzate un tempo anche come conservanti, e ancora zucchero e frutta per saporiti piatti agrodolci, molto in voga all’epoca.

Codice riccardiano-ricetta della torta parmigiana

Trattandosi di un testo tanto raro e prezioso è stato studiato da un esperto come il prof. Simone Pregnolato, dell’Università Cattolica di Milano, che ne ha pubblicato una nuova edizione critica nell’ambito del progetto “AtLiTeG” (Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità) e ne ha ribadito l’importanza, sia a livello linguistico sia come specchio della società altoborghese e cittadina del Trecento. Ma non è finita qui: il prof. Pregnolato ricorda un altro manoscritto, altrettanto interessante, depositato presso un’altra prestigiosa istituzione fiorentina: la Biblioteca Medicea Laurenziana, in cui viene citato l’uso del pepe, pregiata spezia di origine orientale. «Del panpepato, tipica specialità natalizia, c’è traccia nel registro delle spese per la mensa e la vita giornaliera dei Priori fiorentini redatto ogni giorno a mano, per un anno, fra il 1344 e il 1345: proprio alla data del 25 dicembre, troviamo la lista degli ingredienti per il panpepato, a siglare la festa con un dolce simbolico e, ancora oggi, intramontabile» (Informatore Coop, dicembre 2022). Insomma la buona tavola era apprezzata in passato, come lo è oggi; in Italia evidentemente è una tradizione radicata nel profondo.

Sul n. 73 della nostra rivista, in occasione dei 200 anni dalla nascita, avvenuta il 4 agosto 1820, avevamo ricordato Pellegrino Artusi, ineguagliato padre della gastronomia italiana, citando il suo capolavoro: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891), nonché varie manifestazioni in suo onore e nuove pubblicazioni.

Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, edizione originale (1891)

Nel frattempo la nostra amica Bruna Rossi ha edito un piacevolissimo volume illustrato: L’Artusi alle Terme di Montecatini e le “mariette” di Valdinievole (Youcanprint, Lecce, 2022) che ci riporta al tema e ai promotori dell’iniziativa. Artusi fu un assiduo frequentatore degli stabilimenti termali montecatinesi e i soggiorni erano per lui fonte di grande piacere, ma erano anche l’opportunità perché la sua fedelissima e preziosa collaboratrice Marietta (Maria Assunta Sabatini), nativa della Valdinievole, venisse in contatto con varie giovani locali, desse utili consigli di “economia domestica” e procurasse loro occupazioni come cuoche, cameriere, governanti presso famiglie altolocate, diventando a loro volta “mariette”. Il famoso panettone di Marietta è entrato a buon diritto nel volume del suo datore di lavoro, giudicato addirittura migliore di quello milanese perché «richiede poco impazzamento», ma d’altra parte senza Marietta quell’opera (importante anche dal punto di vista letterario) non sarebbe mai stata realizzata. E Artusi gliene fu sempre grato, nominandola erede dei diritti d’autore, insieme al cuoco Ruffilli. Come ogni brava donna di casa, pratica, efficiente e dotata di buon senso, la bella giovane dal fisico giunonico (nata il 4 ottobre 1860) seppe affiancare il “maestro” già anziano e con lui sperimentò quei piatti fortunati, che ancora oggi compaiono, magari un po’ alleggeriti e con piccole varianti, sulle nostre tavole. La cucina del resto è sempre stata il regno delle donne, nel senso più bello e nobile. Ora non ci resta che augurarci il raggiungimento di un nuovo traguardo per l’Italia, dopo quelli già inerenti all’alimentazione: la dieta mediterranea, la cerca e cavatura del tartufo, la vite ad alberello di Pantelleria, l’arte del “pizzaiuolo” napoletano, e le altre 12 eccellenze in vari ambiti, ultima in ordine di tempo l’arte del canto lirico italiano nel 2023, riconosciute negli anni patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco. Dalla nostra parte ci sono i circa 60 milioni di cittadine e cittadini italiani, ma pure quegli 80 milioni di connazionali che vivono all’estero e non dimenticano le proprie origini e, perché no, le persone di ogni Paese che apprezzano l’enogastronomia italiana, già celebrata in tutto il mondo. Come non esserci anche noi, a fianco delle premiate cucine del Giappone, della Corea, della Francia e del Messico?

In copertina: panpepato.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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