L’alternativa francese. Seconda parte 

Nei giorni precedenti le elezioni legislative francesi è comparso in internet un breve video con una nuova canzone di Manu Chao (che, per quanto cosmopolita, è parigino almeno di nascita) intitolata La France roule à droite (il titolo si può tradurre come La Francia guida a destra, ma anche come La Francia rotola a destra); la canzone cita alcuni esempi di autoritarismo destrorso della storia francese  — «Macron, Napoleone, il Generale, il Maresciallo, Giscard, Chirac e Sarkozy, senza dimenticare il vecchio Mitterrand»  —  e finisce con una preoccupante ironia: «La Francia guida a destra… fino all’incidente».  

Dopo tre settimane dalle europee, il 30 giugno si è tenuto il primo turno delle elezioni legislative, svolte senza i tempi necessari per una normale campagna elettorale. Tutti gli schieramenti hanno usato toni apocalittici, ognuno immaginando catastrofi in caso di vittoria dell’altro. La Francia che respira chi ci vive non è la stessa che si vede in televisione abitando altrove.
Se durante un soggiorno in Italia sentivo parlare della possibilità che l’ex Front National (Fn) governasse da solo come qualcosa di molto probabile, vivendo in Francia sapevo quasi con certezza che ciò non sarebbe mai accaduto. Mentre le televisioni e Facebook spianavano la strada al razzismo, le manifestazioni della sinistra erano a dir poco oceaniche, al punto tale da rendere difficile immaginare e descrivere a parole una folla così immensa; le scritte contro l’estrema destra e i simboli palestinesi erano letteralmente ovunque; tra paura ed entusiasmo, sembrava di essere nella Spagna del 1936, da cui il nome di Front Populaire per l’unità antifascista.  

Ensemble pour la République, la coalizione macronista, voleva riottenere la maggioranza assoluta di cui ha goduto tra il 2017 e il 2022. 
Il Rassemblement National (Rn) puntava a ottenere la maggioranza assoluta che gli permettesse di governare da solo in una coabitazione, ovvero la presenza di una maggioranza parlamentare e quindi di un governo di uno schieramento diverso da quello del presidente della Repubblica (trattandosi di una Repubblica semipresidenziale, quest’ultimo ha molto più potere che in Italia). 
La prima coabitazione della V Repubblica avvenne nel 1986, con François Mitterrand all’Eliseo e Jacques Chirac a capo del governo. Vinte le legislative, Chirac sperava poi di vincere le presidenziali del 1988, che invece perse contro Mitterrand. Un episodio analogo si verificò nel 1997, quando Chirac, in veste di presidente della Repubblica, indisse elezioni legislative vinte dal socialista Lionel Jospin. Di nuovo, alle presidenziali del 2002, Chirac vinse al primo turno contro Jospin: non sapendo di cosa parlare, dato che socialisti e conservatori avevano portato avanti politiche economiche praticamente identiche, Chirac estrasse dal cappello magico il tema, allora nuovo, dell’«insicurezza nelle strade». Il risultato fu prima l’arrivo del Front National di Jean-Marie Le Pen al secondo turno e poi le politiche repressive dell’allora ministro dell’interno e futuro presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy, la cui gestione dell’ordine culminò nel 2005 con l’esplosione delle banlieues parigine in seguito all’ennesimo omicidio razzista compiuto dai reparti speciali di polizia (noti come Bac). 
Il Nouveau Front Popolare, invece, aveva come primo obiettivo quello di impedire che l’estrema destra arrivasse al governo e, come secondo, quello di abolire le più ingiuste leggi varate sotto Macron, prima fra tutte le riforme delle pensioni dello scorso anno.  

La sera del primo turno i risultati sono stati clamorosi.  
I candidati del Rassemblement National erano in testa in quasi tutte le circoscrizioni, soprattutto nelle campagne. La maggioranza assoluta sembrava a portata di mano. La cartina della Francia era un mare nero con qualche isoletta “rossa”, che corrisponde alle grandi città (Parigi e la sua banlieue, Toulouse, Lyon, Nantes, Rennes e il centro di Marsiglia), dove alcuni deputati e deputate di sinistra sono state elette già al primo turno. Città come Montpellier, storicamente di sinistra e mai state razziste, hanno votato in massa per i candidati nazionalisti: questo è il risultato di decenni di politiche di destra estrema spacciate per alternative all’estrema destra. 
Sembrava di sentire ancora la più famosa canzone di Renaud, Hexagone, la cui frase-chiave potrebbe riferirsi ai fatti della Comune di Parigi del 1871 come a quelli del Maggio 1968: «Si ricordano nel mese di maggio di un sangue che scorre rosso e nero, di una Rivoluzione mancata che avrebbe potuto rovesciare la Storia; io mi ricordo soprattutto di quelle pecore spaventate dalla Libertà, che sono andate a votare in milioni per l’ordine e la sicurezza».  

Travolti da un’ondata di paura, tutti gli altri schieramenti si sono uniti in vista del secondo turno; persino le associazioni civiche, che di solito tengono molto all’indipendenza dai partiti politici, hanno partecipato alla campagna contro l’ex Fn, oggi Rn. Macron sembrava aver dimenticato la sua ostilità verso la sinistra, che fino a pochi giorni prima tacciava di «apologia di terrorismo». La sinistra stessa sembrava aver dimenticato le violenze di polizia della scorsa estate, lo scandalo di una riforma importante varata vietando il dibattito, la legge sull’immigrazione approvata dall’alleanza tra Macron e il Rassemblement National, la proposta da parte di un deputato macronista di mettere delle mitragliatrici sulle centrali nucleari contro gli attivisti e le attiviste di Greenpeace, tutte cose che rendono Macron non migliore e non diverso dall’estrema destra. Qualcuno si chiedeva quanto fosse sensato allearsi con il pericolo già esistente per evitare un altro pericolo, forse peggiore ma per il momento solo ipotetico; qualcun altro si ricordava che, anche se Macron è l’estrema destra già al governo, il Front National fu fondato da ex pétainisti, ex criminali della guerra d’Algeria ancora antiarabi ed ex collaborazionisti delle Ss durante la guerra poi rimasti antiebraici: la sua vittoria sarebbe un’onta anche per chi ha idee di destra. 
Il “fronte repubblicano” (ovvero votare in massa contro l’ex Front National, indipendentemente da quale sia l’alternativa) si è compattato. L’affluenza alle urne al secondo turno ha superato il 67%, una cifra che non si vedeva dal 1981, quando François Mitterrand fu eletto presidente della Repubblica.  

Ed ecco che, con un’improvvisa ma non imprevedibile virata, il secondo turno ha rovesciato i risultati del primo. Il Nouveau Front Popolare è arrivato in testa e si è posizionato come primo partito all’Assemblée Nationale passando da 151 a 182 seggi. In più, all’interno della coalizione, La France Insoumise è tornata in testa e ha superato i socialisti, più forti alle elezioni europee. 

Jean-Luc Mélenchon dopo i risultati elettorali 

Il Rassemblement National è arrivato terzo; è cresciuto enormemente, passando da 89 a 126 seggi, ma ha mancato completamente l’obiettivo a cui puntava. La sera del 30 giugno, Marine Le Pen aveva dichiarato in televisione «il 7 luglio Jordan Bardella dovrà essere nominato Primo Ministro da Emmanuel Macron», ma aveva cantato vittoria troppo presto, non conoscendo bene il popolo che vorrebbe comandare. Lo stesso Bardella aveva detto che sarebbe diventato «Primo ministro solo in caso di maggioranza assoluta» e di governo monopartito, come se immaginasse una Francia senza francesi.  

La delusione di Marine Le Pen 

Quello di Macron è l’unico schieramento che è calato, passando da a 249 a 158 seggi. Puntava a riconquistare la maggioranza assoluta, ha perso anche quella relativa. 
Il partito Les Républicains è cresciuto rimanendo irrilevante, tanto più se consideriamo che è diviso tra il sostegno a Macron e quello all’Rn.   
Di nuovo, non c’è nessuna maggioranza schiacciante. Se il presidente voleva con queste elezioni dare al Paese la «maggioranza chiara» di cui parlava la sera del 9 giugno sciogliendo l’Assemblée Nationale, ha fatto un enorme errore di valutazione.  

Parigi festeggia. 7 luglio 2024, Place de la République 

Cosa ci si può aspettare adesso? 
Macron non ammetterà mai la sua sconfitta e in una Lettera ai francesi, pubblicata il 10 luglio,  ha già dichiarato che «nessuno ha vinto» e che avrà bisogno di tempo per scegliere il nuovo primo ministro e ha invitato a formare «una larga coalizione repubblicana». Ha di nuovo “dimenticato” di consultare il Parlamento. Nel frattempo, ha inizialmente rifiutato le dimissioni di quello uscente, Gabriel Attal, sua fedele marionetta.  

Gabriel Attal 

Sarà anche vero che nessuno ha vinto in maniera schiacciante, ma se qualcuno ha perso, quello è lui.  
In risposta alla lettera del presidente, la deputata ecologista Cyrielle Chatelain, intervistata da Mediapart, dichiara: «Emanuel Macron nega la realtà per due ragioni. Prima di tutto, c’è una forza che è arrivata in testa ed è il Fronte Popolare. Inoltre, le urne gli hanno mandato un messaggio chiaro a più riprese. Alle elezioni europee, il fallimento di Macron è stato talmente forte che ha gettato il Paese nel disordine estremo e il suo progetto è stato largamente rifiutato ancora una volta alle elezioni legislative. Lo schieramento presidenziale ha perso continua Cyrielle Chatelaine non vedo tracce del riconoscimento di questa sconfitta in questa Lettera ai francesi».  
La maggioranza relativa ha diritto di proporre un primo ministro, ma l’ultima parola spetta al presidente della Repubblica. L’unica cosa chiara è che Macron vede La France Insoumise come il fumo negli occhi. Potrebbe tentare di spaccare il Front Populaire, approfittando dell’inaffidabilità del Partito socialista (che è parte della coalizione di sinistra ma raccoglie anche figure di destra come François Hollande) e fare un governo centrista coinvolgendo anche la parte de Les Républicains ostile all’alleanza con l’Rn. Fiutando questa prospettiva, i socialisti — minoritari nella coalizione ma unica forza in grado di stringere anche altre alleanze — stanno già ostacolando la nomina del capo del governo mettendo il veto su varie proposte della gauche, come ad esempio quella di Huguette Bello, donna meticcia, attuale presidente regionale della Réunion, proposta dal partito comunista e appoggiata da La France Insoumise e da figure della società civile come Annie Ernaux, ma troppo radicale per i socialisti.  

Huguette Bello 

Altrimenti, Macron potrebbe tentare un primo ministro di sinistra purché sia esclusa la figura di Jean-Luc Mélenchon, odiato dalla destra perché ha idee di sinistra e radicali e criticato da molte voci di sinistra per il suo forte protagonismo. Sarà un governo difficile, soprattutto perché, dopo il gesto di Spagna, Irlanda e Norvegia, l’Europa intera dovrà porsi il problema del riconoscimento della Palestina e dell’embargo di armi a Israele, così come dovrà iniziare a cambiare seriamente le politiche agricole e climatiche e affrontare il problema dell’immigrazione in maniera non militare, soprattutto in un Paese con un passato coloniale e un presente razzista. François Ruffin, deputato eletto come indipendente nel Front Populaire, legato a La France Insoumise ma non mélenchonista, ha dichiarato che «il primo ministro è il programma: annullamento della riforme delle pensioni, salario minimo a 1600 euro mensili netti, blocco dei prezzi di generi alimentari e affitti, riforma della polizia per limitarne le violenze razziste».  

François Ruffin 

Se Macron volesse dar vita a un governo centrista, non potrebbe più ricorrere al famigerato articolo 49.3 della Costituzione per approvare le leggi, dato che stavolta c’è una maggioranza non compatta ma ostile a lui: ciò lo costringerebbe a dialogare, anche e soprattutto con la sinistra. Se smettesse di sentirsi onnipotente, questa situazione potrebbe non essere un problema: le varie componenti dell’Assemblée Nationale dovrebbero confrontarsi tra di loro anziché cercare di imporsi le une sulle altre, come accadeva durante la III e la IV Repubblica, prima della svolta autoritaria presidenzialista voluta da Charles De Gaulle nel 1958. In ogni caso queste elezioni, come quelle del 2022, confermano la fine di una V Repubblica bipartitica e rendono impossibile a chiunque, d’ora in avanti, governare da solo. 

E ieri, attraverso l’alleanza con Les Républicains e con il marginale gruppo centrista Liot, la coalizione macronista ha scavalcato la maggioranza di sinistra e ottenuto la rielezione di Yaël Braun-Pivet come presidente dell’Assemblée Nationale. Gli stessi deputati macronisti hanno commentato: «Non sappiamo più se siamo la maggioranza o l’opposizione». Con o senza maggioranza, Macron si dimostra deciso a governare con la destra conservatrice escludendo dalle decisioni la sinistra e la popolazione. 

Tutto ciò che accadrà, da questo momento in poi, sarà giocato in vista delle elezioni presidenziali del 2027. A questo punto si può sperare che a sfidare Marine Le Pen sarà un candidato o una candidata di sinistra anziché l’ennesimo pseudocentrista destrorso, dando finalmente alla Francia una vera alternativa. 

Senza la violenza della polizia, non ci sarebbe stata nessuna riforma delle pensioni, tema su cui i vari governi faticavano a imporsi da decenni, perché le proteste popolari erano fortissime e molto determinate. Chiunque governi la Francia, deve tenere a mente che troverà sempre ciò che manca in Italia, ovvero un popolo disposto a battersi per bloccare qualunque legge ritenuta ingiusta.

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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

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