Pomeriggio d’inverno, anni ’70.
Il tram affollato attraversa le strade del centro città.
Tanta gente, troppa.
In piedi cerco di tenermi in equilibrio cercando di evitare il più possibile contatti, aliti e odori delle persone, ma non è facile, siamo troppe/i, corpi che si mischiano, fianchi che si toccano, voci, sudori.
Ad un tratto, sento una cosa che non vorrei mai sentire.
Una mano, mi tocca. Mi palpeggia il fondoschiena.
Mi sposto leggermente ruotando, ma ricomincia.
— La smette? Ma come si permette? — alzo la voce guardando i volti intorno a me.
Tutte e tutti indifferenti, con lo sguardo fisso, lontano, maschere silenziose, intangibili, come se non esistessi, come se non avessi detto nulla.
La mano si fa pesante, mi sento violata, sono furibonda; non è la prima volta che mi capita ma mai per così tanto tempo e con una tale faccia tosta… sento rabbia, nausea.
Cerco di spostarmi, di allontanarmi da quel contatto.
Impossibile farlo. Grido «Basta! Vergogna. Aiutatemi».
Silenzio.
No, non c’è silenzio, c’è il rumore del tram sulle rotaie. Il brusio dei corpi intorno a me.
Ma il silenzio che assorda è l’indifferenza della gente vicina.
Volto lo sguardo in giro per quanto posso: qualcuno avrà sul viso un cenno di consapevolezza per quanto mi accade, uno sguardo incupito, un segno di sdegnata riprovazione! Niente.
Mi sposto lentamente verso l’uscita, lentamente perché devo farmi strada fra l’ammasso di persone che fingono di non vedere quello che succede, che però mi guardano. Già, io sono l’unica qua che reagisce.
Le porte si aprono, è un attimo.
Una mano mi spinge violentemente fuori, non faccio in tempo a tenermi.
Cado per terra sull’asfalto, in ginocchio. Per istinto sono riuscita a mettere avanti le mani, altrimenti sarei caduta di faccia.
Mi guardano tutte, tutti.
Non sono drogata.
Non sono ubriaca.
Non guardatemi in quel modo.
Qualcuna/o mi aiuti per favore.
Sono una ragazzina spaventata, buttata giù dal tram perché protestava contro un gesto di violenza, un’intrusione, un atto antico come il mondo che viola il corpo di una donna.
Il maschio crede che perché sei donna può fare quel che vuole. Sei un oggetto, una cosa. Null’altro.
Ma la nostra rabbia non è mai finita, non ancora.
Ringraziamo Cinzia Tortola di averci mandato questo suo racconto/ricordo.
***
Articolo di Cinzia Tortola

Esperta formatrice in metodi attivi, ho un’esperienza politica decennale presso il mio comune. Attualmente presidente della Consulta per le Donne Borgaresi. Amo il senso delle parole. Le parole sono pietre, sono sussurri, sono gesti gentili, sono rabbia e compassione. Scrivo, fotografo, osservo, dipingo.
