La Cinquecento de “La grande”

Ho letto da qualche parte che le brave ragazze vanno in paradiso… ma le altre vanno dappertutto. E, quando riaffiorano i ricordi dei bei tempi, credo di poter confermare l’aforisma.
Quando da ragazzina, d’estate, mi trasferivo a Vittoria, da mia zia, frequentare i miei cugini mi esaltava, mi faceva sentire più grande, mi trasformava e poteva succedere qualsiasi cosa. Con loro andavo dappertutto. Da brava ragazzina ubbidiente diventavo “Pierino la peste”. Nulla di grave, ma ero sempre pronta ad assecondare ogni marachella se se ne presentava l’occasione. E quel giorno…
1968. Mia cugina, “La grande”, aveva comprato, usata, con i proventi del suo primo lavoro, una Cinquecento Fiat azzurra. Non doveva essere stato un grosso affare, o almeno lo era stato solo per chi gliel’aveva venduta. La ricordo spesso dal meccanico.
Quel giorno d’estate decidemmo di andare al mare. Su quella cinquecento eravamo in sei, quattro cugine più io e mia sorella. Da Vittoria (città afosa) a Scoglitti (spiaggia) otto chilometri. Alle dieci partimmo, quattro dietro e due davanti, faceva già caldo, aprimmo la capote, ma a metà strada ci “raggelammo” perché ci accorgemmo della presenza in lontananza di una macchina dei carabinieri. «Noooo! Questa non ci voleva. E adesso? Se ci fermano ci danno la multa?» chiesi preoccupata a mia cugina.
«No» rispose. “La grande” ebbe infatti un’idea geniale: «tu e a picciridda scendete, aspettatemi qua e non vi muovete». Noi scendemmo e lei ripartì. A picciridda era la cugina più piccola ed era leggermente preoccupata: «Non è che ci lasciano qua?» «ma scherzi, siamo mica mosche» la tranquillizzai anche se un po’ preoccupata lo ero anche io.
Vedemmo le altre superare la postazione dei carabinieri e girare la curva; le perdemmo di vista. Trascorsero i cinque minuti più lunghi e silenziosi della nostra vita. Sentivamo solo cantare le cicale nella calda mattinata estiva ed il profumo della campagna orfana del grano già mietuto. Passati i cinque minuti finalmente sentimmo il rumore di un motore. Rivedemmo la cinquecento sbucare dalla curva e dirigersi verso di noi. Io e a picciridda riprendemmo a respirare e, quando l’auto ci si fermò davanti, ci accorgemmo che dentro c’era solo La grande” con un cappellone giallo in testa.
Quando le chiesi spiegazioni sul cappello mi dichiarò con serafica ingenuità «Così i carabinieri non mi hanno riconosciuta».
Risalimmo velocemente in macchina, “La grande” ripartì, oltrepassò indisturbata la postazione dell’Arma, raccattò le altre e finalmente, ricomposto il gruppo, proseguì alla volta del mare.
Credo che quei carabinieri ancora oggi raccontino ai nipoti la storia di sei incoscienti ragazzine in giro su un catorcio di cinquecento azzurra e ci citino come esempio da non seguire, ma credo anche che, come noi, ridano ancora divertiti quando ricordano…  quel giorno.

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Articolo di Luciana Scaglione

Direttrice amministrativa presso l’IIS Benini di Melegnano, ha sempre rifiutato l’idea di essere una mera esecutrice del bilancio scolastico, ritenendosi piuttosto una creativa prestata alla contabilità. Oramai in pensione, ha potuto dare una chance alla sua fantasia dedicandosi alla scrittura di brevi e ironici racconti ispirati a fatti della sua vita.

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