La scarsità di tempo e il processo di sublimazione invertita

In questo provocatorio articolo presento un’audace ipotesi che incastona il tempo, l’estetica, la sessualità e le facoltà del pensiero in uno stesso orizzonte speculativo. Il mio proposito non è di giungere a una conclusione incontestabile del fenomeno trattato, quanto di offrire dei punti di partenza, degli squarci prospettici, in grado di stimolare e costruire un genuino dibattito.
Il fiore attraverso un codice di colori, forme e profumi ha la capacità di attrarre, comunicare e accogliere; l’anatomia, la grandezza e il profumo ne assicurano la riproduzione secondo gli schemi d’impollinazione che ha adottato nel suo adattamento evolutivo (zoogama, anemofila, idrogama). Per queste caratteristiche il fiore è il luogo d’incontro tra sistemi interspecie (pianta e insetti impollinatori), spazio in cui si gioca l’equilibrio tra gli ecosistemi. In questo processo di attrazione del mondo a sé non c’è alcun contenuto dotato di senso: si tratta di una disposizione comunicativa orientata alla sessualità, allo stesso modo l’impegno energetico investito nella riproduzione risulta dissipato nell’immediato presente, a vantaggio del futuro generazionale.

A questo proposito, Coccia in La vita delle piante compie una serie di riflessioni che generano una certa inquietudine: egli constata come qualsiasi essere vivente abbia il fine riproduttivo, cosicché ogni forma di vita gràviti costantemente nell’orbita dell’espressione sessuale. Ciascuna specie del pianeta, in questa maniera, adempie al programma della Vita. Rituali riproduttivi, richiami sessuali, feromoni, sono tutte attualizzazioni del programma biologico-generativo. La prerogativa di fondare nell’apparenza il supremo richiamo di attrazione sessuale è particolarmente presente nella nostra specie di homo sapiens sapiens. Nell’essere umano subentra prepotentemente la componente culturale la quale sancisce, di epoca in epoca, il cànone estetico che determina il successo sociale ancor prima che sessuale. Chiaramente il fine non è più solo riproduttivo, giacché l’indole biologica è stata addestrata dalla cultura, per cui il successo riproduttivo si lega all’esercizio del potere, in questo modo il prestigio sociale è proporzionale alla capacità seduttiva. Ciononostante, anche la cultura è stata addomesticata dall’istinto, tant’è che un seno femminile florido è considerato particolarmente attrattivo, poiché a livello inconscio si lega alla fecondità materna, in grado di generare e nutrire la prole. Ora, la chirurgia e la medicina estetica hanno fortemente motivato a ricorrere alle possibilità da loro proposte: infatti le tecniche innovative e i costi sempre più contenuti hanno reso più appetibile questo settore a cui si rivolgono individui di tutte le età e di qualsiasi rango sociale. Si tratta di un àmbito che non conosce crisi. Il corpo per sua natura veste l’identità; ma mai come nell’epoca contemporanea, il corpo è concepito come un dispositivo fondamentale di affermazione e realizzazione di sé, per cui vale il rapporto “identità=corpo”. Il mito californiano dei corpi perfetti non ha coinvolto solamente le donne, ma nel suo processo di sensibilizzazione estetica delle masse, ha assorbito anche gli uomini, dimostrandosi trasversale.

La bellezza è sempre stata moneta di scambio, elemento barattabile e oggetto di ispirazione morale. A oggi, ha assunto delle forme esasperate al punto che ogni ammennicolo che possa implementare la propria spendibilità in termini di apparenza è, nella maggior parte dei casi, adottato con entusiastica lena. Questo fenomeno, prodotto dalla crescente vetrinizzazione sociale — definizione di Codeluppi in Vetrinizzazione: individui e società in scena —, ha imposto due aspetti interessanti: da un lato un’incisiva e continua estroversione a detrimento della capacità riflessiva e introspettiva; dall’altro un’incessante conferma di sé attraverso il corpo. La propria esistenza si conforma, perciò, agli indici inter soggettivi segnici dei social media (likes, commenti, social ranking) ché ne qualificano il valore. Prima dell’avvento dei dispositivi tecnologici, il tempo libero era in parte riservato a un’attività del pensiero e un’esperienza di silenzio più o meno estesa. Oggi, il possesso di uno smartphone fa sì che, volente o nolente, le nostre risorse cognitive siano incessantemente impegnate nell’elaborazione di contenuti proposti da terzi; da ciò risultano un esercizio del pensiero passivo e una capacità creativa sempre più sacrificata. L’attività creativa è una forma di meditazione che necessita di tre risorse fondamentali: pensiero, tempo e silenzio; ora, nell’accelerazione incalzante a cui si è sottoposti, questi aspetti hanno subìto un’erosione formidabile — sulle conseguenze del fenomeno suggerisco: Hartmut Rosa, Accelerazione e alienazione. Probabilmente la capacità creativa del pensiero — essendo inter detta dalle molteplici trasformazioni imposte dal modello socio-tecnologico tenta di esprimersi attraverso percorsi inediti. L’esibizione di sé e il dilagante narcisismo, allora, non sarebbero altro che surrogati dell’esperienza creativa: così, laddove la generazione del pensiero risulta compromessa, la sessualità subentrerebbe come un palliativo.

La sessualità, infatti, è un’attività sommamente generativa. Tuttavia a marcare una differenza sostanziale tra il pensiero e la sessualità è il contenuto di senso: esso è presente nel pensiero e assente nella sessualità, infatti il pensiero promuove e si ispira a pratiche di senso, che invece sono sconosciute alla dimensione sessuale. La sessualità non possiede alcuna carica semantica: è del tutto sprovvista di significato. Dunque, ha luogo uno squilibrio in cui a rimetterci è il pensiero di cui la sessualità diviene un goffo surrogato, in un processo di sublimazione invertito. L’intelletto, allora, si frammenta nell’apparenza, fino a sparire nell’apparire dell’apparenza. In questo sfasamento, sarebbe la cultura estetica che si incaricherebbe di portare a compimento una pratica di senso comune. Più esattamente, le mode estetiche permetterebbero l’inverarsi di una forma di pensiero collettiva. In questi termini, la cultura dell’estetica provvede a colmare quegli spazi vuoti, orfani dell’intelletto. In altre parole, la formulazione estetica diviene l’esperienza vicaria del pensiero. Ciò implica che il processo riflessivo richiesto dall’esercizio mentale, sia sostituito dall’attività estetica che, per sua qualità, è sempre agganciata alla sfera sensoriale; perciò l’esperienza del sentire sé stessi avviene mediante un organo sensoriale, il provare piacere o dispiacere osservando un’immagine, che sia la propria o altrui.

Nell’era dei social media, a mandare in vacanza l’intelletto, dunque, non sarebbe il potere assunto dall’immagine, ma la carenza di tempo: il suo scarseggiare può garantire esclusivamente un’attività immediata come quella sensoriale. Il pensiero richiede una cospicua risorsa temporale, ormai raramente disponibile, così sono i sensi a sostituirlo, talché il potere dell’immagine non è la causa, bensì l’effetto di questa sostituzione. Tale rivoluzione cognitiva ha come risultato l’impigrirsi delle nostre capacità cognitive. Una volta che il raccoglimento interiore attraverso l’attività riflessiva del pensiero è frustrato, trova spazio l’accoglimento esteriore, la cui forma più banale e diffusa è proprio la sessualità. Secondo Emanuele Coccia, nella sessualità si condensa la ragione, poiché tutto ciò che ha forma, ha un’intelligenza che la struttura, dunque nel sostrato materiale permane la porzione fondamentale, e irriducibile, della razionalità che assicura la prosecuzione della vita per la vita. Secondo questa tesi, la pietra angolare che spiega il fenomeno della selezione sessuale sarebbe proprio il raffinarsi di un’estetica biologica. La spiegazione predilige unicamente una visione in cui la relazionalità tra individui si basa sull’esigenza riproduttiva, e tutt’al più ne ammette la collaterale competizione. A ogni modo, assumendo per buona la tesi di Coccia, potremmo azzardare che l’essere umano sia perfettamente tarato dalla razionalità biologica che, contaminata dalla cultura, si esprimerebbe nell’estetica. Da un lato il fine biologico e dall’altro il lembo culturale, frutto di un pensiero collettivo, interagiscono tra loro fino a convergere in una sintesi: la moda. Qualsiasi moda, stando a questa prospettiva, non sarebbe altro che la concretizzazione culturale di un richiamo sessuale. L’assenza delle operazioni del pensiero comporta un’atrofizzazione della capacità critica cosicché, come ha osservato il professor Daverio, la complessità di un contenuto, nella sua estrema semplificazione, si riduce ai minimi termini fino alla sua parodizzazione, si tratta del modello culturale che definiamo trash. Molte applicazioni estreme — tanto nella chirurgia plastica, quanto nei ritocchi estetici — come l’esagerazione delle forme, le esasperazioni anatomiche, la ridondanza delle caratteristiche attrattive sono configurazioni della parodia, ovvero aspetti del brutto che si trasfigura nel ridicolo (K. Rosenkranz,Estetica del brutto, p. 192).

Quindi, alla base di questi fenomeni estetici, con le loro rappresentazioni eccedenti, potrebbe esservi la penuria di tempo poiché, comprimendo la missione intellettuale, dà piena egemonia all’apparato sensoriale, il quale, in virtù dell’immediatezza con cui opera, determina un’estrema semplificazione dei messaggi, fino alla loro riduzione in segnali sessuali. Se l’estetica dei fiori risponde a un criterio di fertilità, secondo una razionalità biologica, l’attuale estetica umana, invece, essendo soggetta a una compressione temporale, si gioca su una fecondità teatrale, continuamente esibita nei modi e nelle quantità, al punto da acquisire connotati parodistici. Ciò la deforma nel suo negativo: gli orpelli dietro ai quali si nasconde, ne rivelano la sterilità.

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Articolo di Sathya Cucco

Studiosa di filosofia e comunicazione, uso la conoscenza come compagna di vita.

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