Storica sentenza relativa al lavoro part-time

Ai fini delle progressioni economiche non può essere penalizzato chi ha un lavoro part time: questo, in sintesi, il contenuto della sentenza emessa lo scorso 26 marzo del Tribunale del lavoro di Bologna. Ho richiesto l’intervento del foro bolognese, sul tema, come Consigliera di Parità della Regione Emilia-Romagna. La figura della Consigliera di Parità è stata istituita con la L. n.125/1991 che ha articolato quest’organo di garanzia in base a competenza territoriale organizzata su più livelli di governo nazionale, regionale e provinciale, con il compito di presidiare la condizione delle donne nel mercato del lavoro, promuovere l’uguaglianza di genere e, più in generale, rimuovere le discriminazioni nel mondo del lavoro. Con il D.lgs. n.196/2000 ed il d.lgs. n.198/2006 sono stati ulteriormente definiti e ampliati i compiti e le funzioni della Consigliera di Parità, attraverso il rafforzamento del suo ruolo nella promozione delle pari opportunità e nella lotta contro le discriminazioni. In una stratificazione normativa ormai ultratrentennale la Consigliera di Parità ha visto attribuirsi numerosi compiti e funzioni, tra i quali:

1. la promozione delle pari opportunità, lavorando per garantire i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, a prescindere da genere, religione, orientamento sessuale, ecc., affinché questi si vedano riconosciute le stesse opportunità nel mondo del lavoro;

2. il controllo e la vigilanza, monitorando l’applicazione delle leggi relative alla parità di genere e intervenendo affinché eventuali discriminazioni vengano rimosse;

3. il supporto alle maestranze, alle/ai professioniste/i, alle/agli impiegate/i, fornendo consulenza gratuita e riservata a lavoratori e lavoratrici che ritengono di aver subito discriminazioni sul luogo di lavoro;

4. la collaborazione con altri organismi, collaborando con enti, istituzioni nazionali e locali, aziende per promuovere politiche di parità e di conciliazione tra vita e lavoro, nonché attività di caregiving.

Le Consigliere di Parità, sia effettiva che supplente, sono nominate con decreto dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le Pari opportunità, tra persone con specifiche competenze ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, normative sulla parità e pari opportunità e mercato del lavoro, restando in carica per quattro anni, con mandato rinnovabile una sola volta per altri quattro anni. Esse afferiscono, come si diceva, a diversi livelli di governo: nazionale, che si occupa di casi di discriminazione di rilevanza nazionale; regionale e provinciale, ma pure operano a livello locale per promuovere e monitorare l’attuazione delle politiche di parità. La particolarità, unica nel panorama degli organi di garanzia, consiste — oltre che nel portare avanti attività conciliativa tra lavoratrici/tori e aziende — nella possibilità di costituirsi in giudizio ad adiuvandum o di promuovere azioni giurisdizionali autonome per la rimozione delle discriminazioni. Rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale la Consigliera ha, altresì, l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria i reati di cui viene a conoscenza per ragioni di servizio.
La figura della Consigliera di Parità è quindi fondamentale per garantire un ambiente di lavoro equo e inclusivo, contribuendo a eliminare le discriminazioni di genere e promuovendo una cultura di parità e pari opportunità per tutti i lavoratori e le lavoratrici.

Nel mare magnum delle discriminazioni il gender pay gap (o divario retributivo di genere) si configura come una delle sfide più urgenti in questo momento storico. Tale divario può essere misurato in vari modi, ma generalmente si riferisce alla differenza percentuale tra il salario medio orario lordo degli uomini e quello delle donne. Nel nostro Paese il divario retributivo “grezzo”, ossia basato sulla differenza della retribuzione lorda oraria, risulta relativamente basso, rispetto alla media europea, attestandosi intorno al 5,3%. Tuttavia, quando si considerano altri fattori come il numero di ore lavorate, il tipo di settore e la presenza in posizioni dirigenziali, la differenza complessiva può arrivare fino al 43,7%. Fra le numerosissime ragioni che portano a questa situazione vi è quella dell’impiego a tempo parziale. Le donne, poi, una volta entrate nel mondo del lavoro, subiscono spesso il part-time involontario, conseguente al maggiore impegno nella cura della famiglia rispetto agli uomini. Il fenomeno è noto anche come “pavimento appiccicoso”. Così l’ultima direttiva europea sulla trasparenza retributiva 2023/970 del 10.5.20234 al Considerando n. 15: «Il divario retributivo di genere è causato da vari fattori, quali gli stereotipi di genere, il persistere del “soffitto di cristallo” e del “pavimento appiccicoso” e “la segregazione orizzontale”, compresa la sovra rappresentazione delle donne che svolgono lavori a bassa retribuzione nel settore dei servizi e la disuguale condivisione delle responsabilità di assistenza. Inoltre, il divario retributivo di genere è in parte dovuto alla discriminazione retributiva basata sul genere sia diretta che indiretta. Tutti i tali elementi costituiscono ostacoli strutturali che pongono sfide a fronte della ancora disuguale condivisione delle responsabilità di assistenza che gravano in maniera preponderante sulle donne».

Tra la pluralità di implicazioni negative connesse a tale sottoccupazione femminile, tra cui non ultima la salute fisica e mentale, di centrale importanza è il minore accesso delle donne alle progressioni economiche orizzontali e verticali. Le donne che lavorano part time si ritrovano escluse anche a fronte di criteri non neutri di selezione che compaiono sovente pure nei bandi interni per le progressioni economiche delle aziende pubbliche.
Il caso deciso dal Tribunale di Bologna riguarda una fattispecie di questo tipo. L’Ufficio della Consigliera di Parità è infatti intervenuto ad adjuvandum a sostenere il ricorso di una dipendente di un’azienda pubblica che era stata esclusa dalla progressione orizzontale in quanto il punteggio attribuitole per “l’esperienza professionale” era risultato automaticamente ridotto in ragione della regola prevista dal bando che prevedeva la riduzione a fronte del minor orario di lavoro. L’Ufficio, oltre a supportare la lavoratrice nella sua causa individuale, ha ritenuto doveroso intervenire iure proprio chiedendo l’accertamento della discriminatorietà della regola in modo che tale accertamento potesse valere anche per tutte le lavoratrici interessate. La tesi sostenuta dall’Ufficio, e accolta pienamente dal Tribunale, è che una tale regola, che decurta automaticamente il punteggio in funzione dell’orario di lavoro, non risulta oggettiva ed è estranea al principio di non discriminazione. Non esiste, infatti, un nesso particolare tra la durata di un’attività professionale e l’acquisizione di un certo livello di conoscenze o di esperienza. Peraltro, tenuto conto che la preponderante presenza di donne che scelgono il lavoro a tempo parziale è da collegare al notorio dato sociale del tuttora prevalente loro impegno in ambito familiare e assistenziale, la discriminazione nella progressione economica di lavoratori/lavoratrici part-time va a penalizzare indirettamente proprio quelle donne che già subiscono un condizionamento nell’accesso al mondo professionale.

Quella citata si ritiene dunque una sentenza importante nella misura in cui questi principi devono sempre più entrare a far parte della mentalità comune e devono essere tenuti in considerazione quando vengono redatte le regole per le procedure di progressione economica, a partire dal settore del pubblico impiego. Per il raggiungimento di una concreta parità in ambito lavorativo, diventa centrale favorire il corretto equilibrio tra vita professionale e vita personale, senza che ci siano ripercussioni sulle carriere e conseguentemente sui redditi, con effetti a domino che incidano poi a livello previdenziale.

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Articolo di Sonia Alvisi

Iscritta all’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Rimini, esercita l’attività professionale occupandosi dell’amministrazione del personale ed è specializzata nella gestione delle problematiche giuslavoristiche. È Consigliera di Parità Effettiva della Regione Emilia-Romagna. Un impegno forte e costante è quello per le donne, per i diritti, la parità di genere, il contrasto a discriminazioni di genere e violenza.

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