«Sono diventato adulto negli anni in cui la crisi economica globale cominciava a mordere e nel sud le possibilità diminuivano, i paesi si svuotavano e i servizi essenziali peggioravano a vista d’occhio. Ho visto amiche e amici fare le valigie ed emigrare nelle capitali economiche del nord dell’Italia e dell’Europa senza una vera e propria scelta. Ho letto, anno dopo anno, i rapporti Svimez che confermavano l’aumento inesorabile del divario tra regioni del sud e il resto d’Italia, in termini di crescita economica e offerta di servizi. Ho letto libri che spiegavano perché “il sud è rimasto indietro”. Avevo una certa familiarità con l’idea, ben radicata nel senso comune italiano, del sud come “palla al piede” del nord, ma ho imparato, vedendo ciò che pochi anni fa succedeva in Grecia, che non si tratta di un discorso isolato: la narrazione interna allo stivale rifletteva quanto l’Europa proietta sull’Italia. E ho visto sempre più quel discorso neoliberale che informa le politiche europee addossare ai cosiddetti Pigs le colpe della crisi economica: alcune “cattive abitudini” comuni ai paesi dell’Europa meridionale — corruzione, clientelismo, cattiva amministrazione, ozio e sprechi di risorse — sarebbero la causa del debito pubblico esorbitante e dei tassi di produzione bassi.

Colpe che hanno giustificato lo smantellamento degli ultimi residui di welfare proprio nei paesi del sud Europa. Un circolo vizioso che ha autorizzato gli esperti a teorizzare un’Europa “a due velocità”». Questo estratto è l’unico in cui l’autore, il napoletano Carmine Conelli, si lasci andare a un resoconto personale in tutta la sua opera, Il rovescio della nazione. La costruzione coloniale dell’idea di Mezzogiorno, che per il resto è un densissimo e dinamico saggio storico-politico.

Il testo, uscito nel 2022 per Tamu Edizioni, è tra quelli che meglio rappresentano gli intenti della casa editrice che lo stesso Conelli ha contribuito a fondare: guardare al Sud Globale proprio da sud, secondo un’ottica anticolonialista e da una prospettiva sovversiva, a partire dalle questioni di razza, classe e genere. Tantopiù che è proprio Tamu a pubblicare le note attiviste Bell Hooks e Brigitte Vasallo, oltre che la rivista Arabpop, e a proporre gratuitamente sul suo sito l’ebook di Ilan Pappé Dieci miti su Israele. Il saggio di Carmine Conelli si inserisce meravigliosamente in questo ricco catalogo, proponendo una visione della cosiddetta questione meridionale che ci permette di abbandonare i confini nazionali per proiettarci sulla mappa globale, mostrando la matrice colonialista del processo di costruzione dell’idea di sud. Grazie all’autore e all’ampio ventaglio di fonti di cui si dota possiamo scardinare tutte quelle trappole retoriche che investono il sud — d’Italia e globale — : da chi lo vede come un nord in potenza a chi ne appiattisce le singole specificità in favore di un’idea di sud omogeneo, fino a chi considera i suoi costumi come atavici, premoderni, resistenti all’avanzata del progresso.

Ma se da una parte il volume intende smascherare il colonialismo del potere, dall’altra non dimentica di accusare anche chi vuole romanticizzare il passato preunitario sotto i Borbone: un processo di revisionismo storico nato negli anni Novanta che ignora le differenze di classe e si pone quindi a sostegno di quei possidenti che hanno contribuito per secoli al processo di inferiorizzazione delle classi popolari del sud e che dal loro sfruttamento hanno sempre tratto beneficio. Fondamentale cartina al tornasole dell’intera opera sono i contribuiti di Gramsci sul Risorgimento — ma non solo —, testi che hanno avuto più fortuna all’estero che in Italia e che solamente negli ultimi anni hanno trovato terreno fertile anche qui.

In questi contributi è evidente il tentativo di Gramsci di situare il sud e l’Italia all’interno di una cornice globale di relazioni di sfruttamento e resistenza, e infatti risultano centrali per illuminare anche sulla costruzione frammentaria e artificiale dell’identità italiana — basata sulla bianchezza, al fine di assomigliare più alla ricca Europa e il meno possibile agli «africani» che popolano il sud Italia. Nonostante le popolazioni del Meridione non siano state vittime delle stesse violenze perpetrate sui popoli delle colonie, sono state tuttavia rappresentate a più riprese attraverso analogie razziste con essi. Analogie che hanno contribuito alla formazione dell’idea di Mezzogiorno i cui riflessi ancora riescono ad abbagliarci. Conelli le ripercorre lungo tutta l’opera: dalla descrizione che facevano del sud i missionari gesuiti nel Cinquecento — «las Indias de por acá» —, ai racconti di politici inglesi e francesi che del Meridione dicevano essere un «paradiso abitato da diavoli», di Napoli che fosse abitata da «una forma inferiore di umanità» lamentando che «nei paesi freddi i miserabili se ne restano a casa; qui vivono per strada» e che «la Calabria, la Sicilia e tutto il resto sono Africa», fino alle parole di Cavour, secondo il quale, nonostante non si fosse mai spinto nemmeno fino a Roma, era necessario «imporre l’unità alla parte più corrotta e più debole dell’Italia» con « […] La forza morale e se questa non basta la fisica». Visioni che, andandosi a sommare nel tempo, hanno creato terreno fertile per le teorie lombrosiane sull’atavismo criminale — sviluppato proprio a partire dall’analisi dei teschi dei briganti meridionali, a cui Conelli dedica un intero capitolo — e seguite dalla teoria di Alfredo Niceforo della differenza razziale fra italiani del nord — o «Ari», popolo razionale, laborioso e pratico — e del sud — i «mediterranei», dipinti come individualisti, vili e apatici — per cui veniva proposta l’applicazione di due diversi regimi di governo. Quegli stessi «mediterranei» che morirono poi sui confini del nord durante la Prima guerra mondiale; quegli stessi «mediterranei» sottopagati e ghettizzati sulla cui «pelle è stato letteralmente edificato il miracolo economico italiano» nel nord del secondo dopoguerra; gli stessi che, nonostante siano stati protagonisti delle mobilitazioni politiche e sociali dei Sessanta e Settanta, si sono visti voltare le spalle dagli operai del nord negli Ottanta a causa dell’avanzare della Lega Nord. Eppure, se da una parte stupirsi delle manipolazioni della destra sembra davvero difficile, a guardar bene nel passato scopriamo che persino il Pci volse le spalle al proletariato meridionale, reo di non essere composto da operai, il vero motore della storia. Insomma, un testo importantissimo non solo per gli innumerevoli cenni storici e teorico-politici, ma uno strumento aggiornato per leggere la questione meridionale, per disinnescare i pregiudizi che investono il Mezzogiorno dal punto di vista della razza, della classe e del genere. Infatti, è proprio dall’incrocio di queste tre correnti di lotta, questo «divenire molteplice» che Conelli indica la strada verso la soluzione: per una «trasformazione complessiva del modello di società in cui viviamo» è necessario rompere le barriere tra i movimenti e i gruppi sociali subalterni. Ci è sembrato doveroso indicare quest’opera e consigliarne la lettura soprattutto guardando alla legge sull’autonomia differenziata. Sappiamo che per difendere l’equità delle persone non dovrebbe servire un saggio con dati, prove, ricerche, ma riteniamo anche che sarebbe quantomeno presuntuoso pensare di avere una visione delle cose limpida, imparziale e perfettamente informata. Che le 500 mila firme necessarie al referendum abrogativo siano state raccolte in pochi giorni è sicuramente un segnale incoraggiante, ma la buona riuscita di questa impresa non può essere data per scontata: la posta in gioco non ce lo permette

Carmine Conelli
Il rovescio della nazione
Tamu Edizioni, Napoli, 2022, euro 7,99 (ebook) ed euro 15,20 (cartaceo)
pp. 206
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Articolo di Dana Moda

Studente di Editoria e scrittura e dottora in Mediazione culturale. Giovane e appassionata lettrice, nonché meticolosa scrittrice, crede nel potere delle parole e auspica una società della cura. Soccombe alle fusa delle sue gatte.
