Non sanno di essere morti

What’s in your head / In your head / Zombie / Zombie / Zombie…
L’iconico brano musicale dei Cranberries (1994), con le sue sonorità punk e gli intensi acuti di Dolores O’Riordan, rappresenta soltanto uno dei riferimenti ai non-morti (o diversamente vivi) che costellano Vita nova di Simonetta Olivo, autrice emergente nel panorama della fantascienza italiana contemporanea. E non potrebbe essere altrimenti, perché il romanzo breve — costituito da sette racconti interconnessi a creare un piccolo universo narrativo — ha per tema la morte, o, meglio, «l’incapacità di far fronte alla perdita di cui si nutriva la superficie di quell’epoca» (simile in modo inquietante a quella contemporanea), la rimozione della naturale fine della vita e il rifiuto di elaborare il lutto da parte di chi resta. La morte, dunque, è «solo un’illusione».

Dolores O’Riordan, cantante dei Cranberries, durante un concerto nel 1994
(Patrick Ford)

Simonetta Olivo, psicologa, triestina di adozione, tra le fondatrici del Collettivo Italiano Fantascienza, inizia a pubblicare in ambito science fiction dal 2016: Vita nova è la quarta antologia edita a suo nome da Delos Digital (è disponibile in ebook dal 2 luglio); segue a Fantafiabe (2018, sei rielaborazioni di altrettanti classici, soltanto in apparenza per l’infanzia), Insogno (2019, sette testi che spaziano tra dimensioni oniriche e incubi quotidiani, la più fantascientifica delle raccolte della scrittrice), L’ultima estate del mondo (2024, dieci racconti, malinconici e suggestivi, che si ascrivono alla linea del fantastico e del surreale). Sorprende in positivo, infatti, l’inesausta ricerca stilistica di Olivo, che nell’ambito della letteratura dell’immaginario si declina con sfumature differenti, attraverso registri linguistici che variano dal tragico al comico, dal graffiante all’elegiaco e — per rimanere in tema — dal weird all’horror, mai però portati alle estreme conseguenze del macabro o splatter, piuttosto affrontati con disincanto.

Simonetta Olivo nel 2019 (Cristina Bonifacci)

Il Becchino è protagonista dei racconti di Vita nova: Storia del cappelloStoria della maglia blu, Storia della nuova vitaStoria di AlessiaStoria dei pelosettiStoria del vedovo e — con significativa variatio rispetto all’anafora che connota i primi sei titoli — Zombie. Galante fino alla sfrontatezza, appassionato di flutes e bollicine, collezionista di oggetti appartenuti alle defunte, ossessionato dalle proprie fantasie erotiche e dalle questioni del fantacalcio, il Becchino non ama rivelare il suo nome, forse lo ha «perso in qualche scantinato», forse lo associa a un passato doloroso, che — come sempre avviene — non vuole passare: «il suo lavoro era raccogliere briciole digitali dei cari estinti, farne una costosissima corona mortuaria fino a creare un fantasma, che i vivi potessero portarsi appresso come un cane». Quando un ologramma mortuario non basta più, «con un tocco di genetica e la mappatura digitale del cervello», ecco una copia perfetta, senziente e vivente, del caro estinto, della cara estinta. Certo, il problema, poi è «come distinguere i vivi dai morti» (ma un problema per chi? Non pare così importante…); un altro problema è che talvolta i morti non sanno di essere morti, non sanno che è stata loro data una seconda possibilità non richiesta, forse neppure voluta (e questo rende necessario un «processo di svelamento» non esente da turbe e traumi); l’ultimo problema (la lista, sia chiaro, è provvisoria) è che con le tracce digitali delle persone scomparse è possibile dare vita a esseri umani (umani?) non nati da donna ma venuti al mondo adulti: ed è il caso della segretaria del Becchino, che pensa a sé stessa come a «una specie di copia multidimensionale d’una persona vera, un’accozzaglia di pezzi non suoi, che a confronto Frankenstein poteva nascondersi», creandosi «dei ricordi fittizi, perché il suo cuore finto soffriva troppo del non essere stata bambina. Una mamma, un papà, una casa nella prateria: li aveva visti in una serie tv così vecchia che non si chiamava neanche così».

La famiglia protagonista della serie televisiva statunitense La casa nella prateria (1974-1983) in una foto di scena

Accanto al Becchino, due personaggi femminili riuscitissimi: il primo, appunto, è Alessia (protagonista del quarto racconto), la segretaria che è una «sintesi corporea di tracce digitali di defunti senza nome scartate dalla Resurrection», con «l’aspetto d’una specie di pornostar» mortificato dai tailleurs castigati che indossa; il secondo è Stefania Steiner (protagonista del terzo racconto), che, destinata alla medicina da un padre cardiochirurgo alquanto ingombrante, «si era specializzata in psichiatria perché i corpi della gente le facevano ribrezzo» e che letteralmente rinasce come consulente delle onoranze funebri Vita Nova a quarantacinque anni: «dopo tre relazioni davvero deludenti, con omini che pretendevano d’insegnarle come vivere, aveva concluso che non tutti per forza devono essere accoppiati, nello stesso modo in cui non è obbligatorio far figli o stirare le lenzuola». I tre si muovono in ambienti di lusso: l’enorme ufficio della Vita Nova (beffarda citazione dantesca) è illuminato da una vetrata altrettanto enorme con vista sulla piazza, alle pareti un unico quadro, Ophelia del preraffaellita John Everett Millais (1851), dipinto a tema shakespeariano nel quale è rappresentata la giovane che galleggia sull’acqua che scorre, tra fiori e piante palustri («È bellissima vero? — dice il Becchino — Anche se è morta»).

John Everett Millais, Ophelia, 1851

Registro tragico e registro comico, si è detto, che talvolta virano nel grottesco: la narrazione di Simonetta Olivo si connota per la capacità di affrontare con ironia argomenti serissimi, che fanno spegnere il riso o il sorriso di chi legge in ragione di una sorta di “sentimento del contrario”, generato da una riflessione amara: è il caso del marito «un tantino possessivo», che avrebbe voluto tenere la moglie «chiusa dentro una scatola»; o dell’ineffabile signora Bertocchi che commissiona la copia digitale dell’amata coppia di conigli, Flic e Floc, «falcidiati assieme da un’intossicazione alimentare», dei quali non si limita a produrre qualche fotografia, ma un vero e proprio «book, come quello delle modelle»; o, ancora, del vedovo che ha fatto rinascere la moglie a una nuova esistenza e ora non può che constatare la depressione di lei e l’impossibilità di riappropriarsi degli spazi del grande appartamento che insieme abitano: «La sua vita era tenerlo pulito, e cucinare. […] Ha sempre lavorato troppo per la casa, e io non l’ho mai aiutata».

La riflessione sull’inautenticità della vita appartiene, come noto, alla grande letteratura e da questa l’ha mutuata la fantascienza. Mary Shelley per prima: di lei è esplicitamente menzionato il celebre Frankenstein, ovvero lo scienziato che riporta alla luce la Creatura più umana dell’umano (per quanto il rapporto tra il Becchino e Alessia sia più ironico e disincantato e si apparenti piuttosto a quello tra Godwin ‘God’ Baxter e la figlia adottiva Bella in Povere creature!, geniale film di Yorgos Lanthimos del 2023). Per giungere a Pat Cadigan, la penna più originale e interessante del movimento cyberpunk (non è un caso che il testo di Olivo sia pubblicato nella collana CYpunk), che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta (in MindplayersSynners e Fools) partorisce personaggi borderline, che avvalendosi di innesti neurali vivono vite che non sono la propria, con sempre più frequenti incursioni da uno spazio-tempo all’altro, finendo per perdere sé stessi.

E, naturalmente, passando attraverso Philip Dick, in particolare attraverso lo straordinario Ubik (1969), con le sue dimensioni intermedie, per gradienti sfumati, tra vita e non vita; la riflessione sul tempo che scorre in una sola direzione, verso la morte, e sulla finitezza umana; la constatazione che la realtà è ingannevole e probabilmente non esiste; e tutto questo che culmina nell’inquietante affermazione «Io sono vivo, voi siete morti», divenuta emblema del romanzo (e titolo della bella biografia dell’autore scritta da Emmanuel Carrère). La narrazione di Vita nova — ove le suggestioni della grande fantascienza sono rielaborate con originalità e profondità psicologica — si dipana dunque di storia in storia, fino alla notte di Ognissanti, la notte di Halloween, nella quale il confine tra il mondo terreno e l’oltretomba diviene labile e poroso…

I morti non sanno di essere morti, e non hanno pace.

Simonetta Olivo
Vita nova
Delos Digital, Milano, 2024, euro 2,99 (ebook)
pp. 47

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Articolo di Laura Coci

Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.

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