Mi sono laureata in Matematica alla Sapienza di Roma il 21 luglio 1966.
Un ricordo indelebile è il mio primo scrutinio nel dicembre di quello stesso anno. Avevo ottenuto subito, infatti, una supplenza annuale per 20 ore di insegnamento settimanale all’Istituto tecnico commerciale, indirizzo di Ragioneria, presso il Villaggio olimpico, insegnavamo in aule prefabbricate e io avevo il turno pomeridiano. Siamo nel Consiglio di una classe terza, dove insegnavo Matematica finanziaria per due ore settimanali. Docenti: tutte donne, eccetto i prof. di inglese ed educazione fisica maschile!
Nella sala-professori si trovava un tavolo rettangolare abbastanza lungo. La Preside, seduta sul lato corto con le spalle rivolte alla finestra, iniziò ad ascoltare le docenti sedute lungo il lato alla sua destra e via via le altre e gli altri. Un Consiglio di classe formato da molte/i docenti, a causa di un ragguardevole numero di discipline. Gli interventi erano tutti pressoché uguali, declinati rigorosamente al maschile e strutturati sul luogo comune: «Se non sai tenere la disciplina sei un pessimo insegnante e prenderai distinto e non ottimo alle note di qualifica annuali; quindi, sarai penalizzato negli scatti di carriera!».
Sotto la cappa dello stereotipo, ecco il ritornello ripetuto da ciascun/a docente che mi precedeva, per ciascuna disciplina: «Gli allievi si dimostrano attenti e interessati alla materia trattata, la loro preparazione è mediamente sufficiente».
Arriva il mio turno, ero terz’ultima sul lato sinistro; dopo di me, se non ricordo male, c’erano i due docenti di inglese e educazione fisica maschile.
Esordisco: «Se questo è un Consiglio di classe mi vergogno di essere una docente!» La Preside fa un balzo sulla sedia e replica: «Prof.ssa Anselmi, ma che dice!?».
«Preside, prenda il registro di classe che sta davanti a lei, lo sfogli. In ogni pagina troverà una o due note. Questo significa che in classe, e non solo, esiste un forte disagio. Il turno pomeridiano con il sole che batte sulle finestre fino al tramonto. O la sensazione di fastidio, di umidità durante le giornate uggiose. Allieve e allievi, più di trenta, stipati in una auletta, con i banchi attaccati a tre lati delle pareti e con uno spazio esiguo fra la cattedra e la prima fila ma anche fra le altre tre file parallele al lato delle finestre. A me sembra che siano stipati in una gabbia, per diverse ore. Questo non può altro che creare sia gravi difficoltà nel seguire in modo attento e adeguato le spiegazioni delle varie e numerose materie, per un apprendimento consapevole e duraturo nel tempo, sia un forte disagio che si ripercuote sul voto in condotta penalizzando chi deve studiare. La situazione diventa difficile e complessa da gestire per il personale docente. Quindi lei, Preside, e noi docenti siamo chiamati a trovare soluzioni al problema in modo che nessuno sia penalizzato!”».
Il Consiglio di classe inizia di nuovo, da capo, in un clima di consapevolezza e presa d’atto di una realtà, verità da non sottovalutare. Del resto, come diceva il grande Gramsci: «La verità è sempre rivoluzionaria; tenerla nascosta non è solo un inganno e una truffa, ma un inquinamento che avvelena e tarpa la vita di tutti, anche chi la reprime e prima o dopo ne paga il fio».
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Articolo di Gabriella Anselmi

Docente di matematica e formatrice in Italia e all’estero, presso Istituti Superiori e Università, da sempre attiva nell’associazionismo, e già presidente nazionale FILDIS, è componente del Direttivo della Rete per la Parità, del CNDI, di Toponomastica femminile, della GWI (Graduate Women International) e dell’UWE (University Women of Europe).
