Pochi giorni fa, vedendo la pubblicità del film spagnolo Il maestro che promise il mare, immediatamente ho compreso che si trattava della storia del maestro progressista che venne ucciso dai franchisti proprio nei primi giorni del golpe del 1936.

Io conoscevo già questa storia e l’avevo portata nella mia quinta superiore del liceo di scienze sociali dove insegnavo; era il mio ultimo anno di lavoro. Mi son detta: «Questo film lo devo assolutamente vedere, dato poi che resta solo pochi giorni nelle sale cinematografiche».
Cercavo di ricordare i fatti che nel 2013 mi avevano fatto incontrare quella storia e che avevo da subito presentato in classe per le connessioni socio-storiche, ma anche pedagogiche, che la rendevano perfetta per il mio corso di insegnamento. Ero venuta a conoscenza del fatto che nel 2010, nella zona di Burgos, nella regione di Castiglia e Leon, erano affiorate dal terreno, forse grazie al fiuto di un cane, dei resti umani e che ciò aveva dato origine a scavi in quelle che erano state delle fosse comuni nel periodo franchista.

Due fotografi, Alberto Bougleux, italiano, e Sergi Bernal, catalano, erano andati sul posto a documentare il lavoro di riesumazione dei resti delle centinaia di cadaveri a cui i famigliari volevano dare onorata sepoltura, dopo tantissimi anni. I due reporter, recandosi nel paese vicino alla Pedraja, luogo della fossa, si incontrarono con persone anziane del paesino, Banuelos, a cui mostrarono la foto di diversi bambini e del loro maestro Antonio; era la foto scattata dal Retratista, davanti alla scuola.

Questi anziani e anziane ricordarono che facevano cose molto interessanti con lui e che avrebbero anche dovuto andare al mare, perché il maestro lo aveva promesso, ma non lo poterono fare perché lui venne ucciso.
Seconda solo alla Cambogia, le fosse comuni in Spagna sono tantissime, ma il silenzio ha gravato su di esse per molti decenni; i governi, dopo la dittatura, hanno prima promesso i finanziamenti necessari per le ricerche e poi li hanno ritirati, lasciando incompiuto il triste compito di far pace col passato. Le richieste delle famiglie sono però continuate e si spera che con l’uscita di questo film possano trovare accoglienza.
I due fotografi fecero a Barcellona un’esposizione con il cortometraggio El retratista, riferito al maestro Antonio e ai suoi alunni, e una mostra fotografica Desenterrando el silencio, per far uscire dal silenzio chi si era impegnato durante gli anni della Repubblica, prima della dittatura.

La regista, Patricia Font, nel 2023 ha raccolto le testimonianze dirette dei pochissimi testimoni, gli ex e le ex allieve che ebbero nel 1934/35 e 35/36 come maestro Antoni, o “Antonio” come voleva essere chiamato, Benaiges e ha girato il film che ha avuto grande eco in Spagna.

Lui era un giovane maestro di Tarragona, in Catalogna, vicino al mare, nato il 26 giugno 1903 a Mont-roig del Camp, a cui venne assegnata la piccola scuola di Banuelos de Bureba, nella provincia di Burgos. Qui il maestro instaurò un intenso legame con i suoi studenti, bambine e bambini tra i sei e i dodici anni, ai quali propose la tecnica del giornalino di classe che lui stesso aveva appreso da Celestin Freinet, maestro elementare nelle campagne francesi, che aveva inventato questa tecnica nel 1925 come metodo per insegnare a scrivere meglio e per aumentare la motivazione dei suoi alunni/e.

Freinet, esponente dell’attivismo pedagogico francese, fautore della “pedagogia popolare” e di un nuovo tipo di didattica, strutturata senza classi, con molti laboratori e spazi all’aperto, secondo un metodo detto “naturale attivo”, metteva in discussione l’insegnamento tradizionale e repressivo, fatto solo di strategie trasmissive come la lezione frontale e le interrogazioni, a favore di una scuola più formativa e meno nozionistica. Per Freinet la parola chiave dell’educazione deve essere tatonnement, ossia il procedere a tentoni. L’esperienza procede sempre per tentativi ed errori, nessuno può fare per noi le nostre esperienze, dice Freinet, ma l’individuo non può essere lasciato solo nel compierle. Il “libro di vita”, viene chiamato anche così il giornalino, è l’evoluzione del testo libero, una raccolta di contributi dei singoli, rielaborati collettivamente, stampato dalla tipografia scolastica, con l’obiettivo di migliorare l’apprendimento, sviluppare la creatività, a vantaggio delle attività sia manuali, sia intellettuali. L’utilizzo della stampa in classe, per produrre dapprima semplici testi, poi giornalini scolastici, ha il fine di dare una dignità di “prodotto culturale autonomo” degli alunni e delle alunne, che portavano poi a casa il loro lavoro collettivo. Questi quaderni circolavano, oltre che nelle famiglie, anche all’interno di un circuito di scuole freneitiane, quelle aderenti cioè al metodo di Freinet, in Spagna, in Francia, ma anche all’estero, specie in Brasile.
Il maestro Antonio, sollecitato dagli interessi pedagogici di sua madre, aveva appreso il metodo in Francia dallo stesso fondatore. Ogni quaderno aveva un titolo e raccoglieva i testi che ciascuno aveva scritto e che erano stati corretti dalle bambine e dai bambini stessi che li firmavano. Questo metodo diffusosi in anni così lontani ci fa pensare a una prodigiosa anticipazione ante litteram di esperienze successive, quali quelle di don Milani, di Bruno Munari, di Maria Montessori, di Mario Lodi o di Loris Malaguzzi di Reggio Children. Le pochissime copie esistenti di quei quaderni, come El mar, El retratista, che si sono conservate, furono quelle trovate presso la famiglia del maestro e nelle case di qualche allievo, i cui genitori non avevano obbedito all’ordine dei franchisti che comandarono di bruciare tutto ciò che aveva a che fare con lui.
L’impegno e la passione per l’insegnamento del maestro Antonio, membro del Movimento di rinnovamento pedagogico, la cui preziosa ed eroica figura merita di essere conosciuta, diffusa e valorizzata, ci ricordano il dovere della memoria in un presente che tende a dimenticare le lotte di coloro che sono venuti prima di noi e che, anche a costo della loro vita, ci hanno permesso di vivere come persone libere. Il maestro, che non faceva mistero delle sue idee comuniste, incontrò molte ostilità in paese perché aveva un metodo che non si era mai visto prima.

Si è mostrato deciso nel rispondere al sindaco e al prete e ha dichiarato loro che non è giusto vedere nei bambini già dei piccoli adulti. «Io desidero che i bambini siano sé stessi, ossia dei bambini, senza che si voglia farli crescere in fretta. Desidero che trovino i loro talenti e possano sognare alla grande su cosa possano divenire. I bambini e le bambine hanno bisogno dello sguardo degli adulti, della loro voce, del loro pensiero. Essi hanno bisogno di parlare a qualcuno che li ascolti, di scrivere a qualcuno che li legga e li capisca, di produrre qualcosa di utile e di bello che è l’espressione di tutto quello che di generoso e superiore portano in sé stessi».
In particolare fu ostacolato dal parroco che entrò in classe con prepotenza e intimò al maestro di rimettere al suo posto il crocefisso che lui aveva tolto, ma Antonio, pur nel rispetto di tutte le religioni, ribadì che il crocefisso deve stare in chiesa e in famiglia, ma non in classe, proprio in virtù della laicità della scuola, principio presente nella Costituzione repubblicana della Spagna di allora. Si verrà a sapere poi che il parroco avrà una responsabilità diretta nella denuncia del maestro, avallato anche dal sindaco, padre di Josefina, una allieva di Antonio.
La sua promessa di portare i bambini e le bambine al mare simboleggia la valorizzazione della bellezza, della speranza e dell’apertura mentale che lui incoraggiava nella sua pratica educativa. Nel film vi sono due scene ricche di tenerezza; quella della festa del paese dove tutti danzano delle danze tradizionali di quella zona spagnola e quella del valzer nel bosco dove il maestro insegna ai bambini a ballare.


Un amico sindacalista gli chiede di occuparsi di Carlos, un ragazzino senza madre e il cui padre è in galera a Burgos. Carlos andrà quindi a vivere col maestro, costruirà un cavallino di legno, sopravvivrà alla furia franchista e vivrà poi a Barcellona. Sarà proprio la nipote di Carlos, Arianna, sulla cui macchina pende proprio quel cavallino di legno del nonno, che molti anni dopo, nel 2015, si metterà alla ricerca del luogo di sepoltura del padre di Carlos, il suo bisnonno. Si alternano nel film continuamente scene del passato e scene attuali, come quella in cui si vede questa giovane donna che va sul luogo degli scavi dove un gruppo di addetti catalogano gli scheletri e gli oggetti che i prigionieri avevano con loro al momento dell’uccisione, per consentirne il riconoscimento, grazie alla corrispondenza col Dna dei famigliari; pochi però sono i riconoscimenti, anche perché i superstiti sono sempre meno.
La nipote di Carlos ritrova in paese uno degli ultimi allievi ancora in vita, Emilio, che le dà uno dei quaderni di allora, dove anche la pagina di Carlos commenta il mare, che nessuno aveva mai visto e lo porterà al nonno che non parla più, ma, ascoltando le letture della nipote, si commuove dando chiari segni di aver compreso e di ricordare. Arianna era riuscita inoltre ad avere l’informazione dell’incontro, avvenuto in una cella del carcere di Burgos, tra il maestro torturato e il padre di Carlos, Bernardo Ramires, che lo ringrazia per aver accudito e protetto suo figlio. È un breve incontro, straziante, che precede la fucilazione di Antonio, avvenuta il 25 luglio 1936, in un luogo sconosciuto dello sconfinato altopiano vicino a Burgos. La figlia del sindaco, l’anziana Josefina, che in un primo momento non aveva voluto rispondere alle domande di Arianna, le fa poi avere dei documenti di suo padre che attestano le sue responsabilità nei confronti dell’arresto del maestro. Seguì il terrore della dittatura di Franco, lunga 40 anni, durante i quali nessuno del paese di Bureba pronunciò il nome del maestro.
Solo quando due fotografi, nel 2010 mostrarono la foto che il retratista fece nel 1936 ai pochi anziani e anziane seduti sul muricciolo, i loro occhi si commossero e si concessero quelle lacrime che da tempo non scendevano più per quel ricordo meraviglioso della loro infanzia.

Quando la paura diventa un modo di vita, le persone si condannano a rasentare il silenzio. Un silenzio che, lungi dall’essere sinonimo di oblio, si trasmette di generazione in generazione.
I resti del maestro non sono ancora stati trovati, come quelli di molti altri che, per mancanza di fondi, necessari sia per ricercare le salme, sia per dare un piccolo ristoro alle famiglie, non consentono ai lavori di proseguire. La Guerra civile è un trauma per gli spagnoli, ricorda loro il tempo in cui erano poveri, violenti e li fa vergognare, mentre ora sono ricchi ed europei. Si auspica che i giovani che non hanno il peso di tutto questo su di sé, vogliano giustizia, perché la ricerca dei dispersi non è una questione ideologica, ma una questione di diritti umani.
L’Associazione Memoria e dignità continua il suo impegno nei confronti delle 2050 fosse comuni sparse in tutta la Spagna e dei circa 110.000 desaparesidos del franchismo.

Tra gli attori e attrici del film voglio ricordare Enric Auguer, nato a Verges, in Catalogna, il 28 agosto ’88, che interpreta magistralmente e con forte espressività la parte del maestro. Il suo impegno e passione per l’insegnamento meritano di essere conosciuti, diffusi e valorizzati. Il poetico viaggio nella memoria, che evoca nel titolo la promessa di un mare, può essere inteso anche come metafora di libertà. Laila Costa, nata il 18 febbraio 1985 a Barcellona, è Arianna, la nipote di Carlos che va alla ricerca del bisnonno; rappresenta il presente, simboleggia la forza e le speranze di tante famiglie che ancora oggi cercano i propri parenti sepolti nelle fosse comuni, accendendo un faro su un pezzo di storia tanto tragica, quanto vicina, che non deve essere dimenticata. Patricia Font, regista e sceneggiatrice, è nata in Spagna il 3 gennaio 1978. In questo suo film valorizza l’attivismo pedagogico e va a recuperare la memoria dei maestri repubblicani, facendoli uscire dal silenzio. Rende omaggio e riconoscimento anche a tutte le persone scomparse nella guerra civile e alle associazioni che stanno lavorando per il recupero delle loro spoglie e dei loro ricordi.
Nei titoli di coda si apprende che nel 2021 la scuola di Bañuelos de Bureba, chiusa negli anni ’50, è stata riabilitata ed è visitabile quale monumento storico.
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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.
