Lilian Serpas. La poeta salvadoregna dimenticata

«Sono nata nella pienezza di un mezzogiorno,
durante un marzo vegetale e allucinato
È solamente il vento di marzo che mi nomina,
nel trillo bisillabico di: Lilia».

Così scriveva di sé Lilia, o meglio Lilian Serpas Gutiérrez, scrittrice e giornalista salvadoregna: era nata appunto nel mese di marzo, precisamente il 24 marzo del 1905.
Il 24 marzo sarà una data importante, tragicamente famosa nella storia salvadoregna, perché il 24 marzo del 1980 è stato assassinato a San Salvador, durante la celebrazione della Santa Messa, il vescovo Monseñor Romero, episodio che darà inizio alla guerra civile durata dodici anni.
E così, la nascita di Liliam Serpas sarà destinata a torto a passare inosservata per i suoi stessi connazionali. Suo padre, Carlos Serpas, era un pensatore e scrittore, purtroppo morto ancora giovane, quando Lilia aveva appena tre anni; sua madre, Josefa de los Ángeles Gutiérrez, aprì le porte della sua casa alle/agli intellettuali dell’epoca, inculcando nella piccola Lilia l’amore per la letteratura e permettendole una completa formazione culturale. Lilia compose la sua prima raccolta di poesie ad appena dodici anni, El zafir de un ala milagrosa, che fu inizialmente pubblicata con l’introduzione dello scrittore guatemalteco José Mata Gavidia, probabilmente frequentatore abituale del salotto di Josefa, con cui la bambina sosteneva importanti conversazioni letterarie; il libro sarà poi nuovamente pubblicato nel 1929, con il titolo Nácar.

In Messico, dove Lilia vivrà alcuni anni, si pubblicarono altri suoi libri, tra cui Girofonia de las estrellas; purtroppo alcuni di questi sono andati perduti, tra cui uno, Corazón y esfera, con il prologo di José Vasconcelos, e Por ese amor sigo siendo amada, con l’introduzione dello scrittore peruviano Pedro Álvarez de Villar. Fece sicuramente parte del gruppo di intellettuali chiamato La peña literaria, fondato nel 1928, a cui aderirono personaggi importanti della letteratura salvadoregna, come Salarrué, Alfredo Espino, Quino Caso, Julio Enrique Ávila, Francisco Miranda Ruana e Juan Ulloa tra gli altri; notando la mancanza di donne nel gruppo, possiamo supporre che quasi certamente Lilia era discriminata o perlomeno sottovalutata. Visse alcuni anni a South Bend City, la città universitaria di San Francisco, collaborando con la rivista Sequoia della Standford University; ritornata in patria nel 1941, dopo essere stata bibliotecaria della Facoltà di Odontologia dell’Università Statale di San Salvador, si dedicò con fervore al giornalismo, curando la sezione Pajaritas de papel del quotidiano El Diario de Hoy.

Ma non ci poteva essere pace per lei: con il pittore statunitense Thomas Coffeen, con cui si era sposata alcuni anni prima, si trasferì nuovamente negli Stati Uniti, e mise al mondo tre figli; insieme migrarono nel Messico, dove, forse per un incidente automobilistico, perse il suo secondo figlio, Fernando. Secondo altri biografi, lo perse nella guerra del Vietnam.
In ogni caso, è l’inizio di un periodo buio per Lilia: la depressione la portò a vagare per Città del Messico, vendendo per le strade i quadri del suo primo figlio, Carlos.
Possiamo soltanto intuire come fu la sua vita in quel periodo grazie allo scrittore cileno Roberto Bolaño che nel romanzo El espíritu de la ciencia-ficción, la descrive con il nome di Estrellita, come una donna che appariva nei luoghi più inaspettati, copia invecchiata dell’Angelo dell’Indipendenza; nessuno sapeva dove viveva, scrive Bolaño, anche si sprecavano ipotesi, né come si chiamasse realmente. Perché, quando le chiedevano il nome, a volte rispondeva Carmen, o Adele, o Estrella, il nome probabilmente datole da un vecchio spagnolo impietosito dal suo sfiorire. Lei dichiarava di essere stata poeta, anche se da molto tempo non scriveva più. Aveva un figlio, che i giornalisti del luogo giuravano essere stato un famoso pittore: di fatto, l’unica entrata per la sopravvivenza di Estrella era la vendita delle copie dei quadri del figlio, che proponeva instancabilmente ai tavoli dei bar del centro, e che sembravano non finire mai. Solo quei quadri potevano garantire a lei e al figlio quarantenne bicchieri di caffelatte e piccoli panini, che custodiva gelosamente nelle tasche di gonne troppo grandi per la sua figura esile e sciupata.

Lo stesso Bolaño nel suo romanzo Amuleto, dove lo spazio e il tempo si intrecciano continuamente, mescolando appositamente visioni, ricordi, sogni e realtà, aveva già dedicato un capitolo a Lilia Serpas, offrendoci una immagine completamente diversa della scrittrice, che definisce come poeta poco conosciuta e donna di straordinaria bellezza, permettendosi molti amanti e pochi fidanzati, oltre al piacere della scrittura di sonetti.
Secondo quanto scrive Bolaño, Lilia frequentava i bar del centro di Città del Messico, intrattenendosi con i vecchi giornalisti ormai fuori dal giro o tristi esiliati spagnoli; accanto a lei il piccolo Carlos, che crebbe in fretta in un ambiente vivace e non propriamente adatto a un bimbo della sua età, acquisendo una sensibilità che trasporterà poi nei suoi quadri, ereditando la passione da un padre sparito molto presto dalla sua vita. Non si sa se fu Thomas Coffeen a lasciare Lilia o viceversa, se Thomas morì e lei si sentì perduta, come si sentirà perduta con la morte del figlio. Resta il fatto che, sempre secondo lo scrittore cileno, per la sua fragilità Lilia Serpas cambiò molti lavori, che abbandonava regolarmente quando le notti vivaci della vita notturna messicana le risvegliavano l’interesse per la scrittura.

È certo che ritornò sola in El Salvador nel 1977, grazie ad alcuni amici a lei affezionati, che le offrirono il loro appoggio economico e non solo per cercare di superare il momento buio della sua vita. Senza riuscirci, perché la situazione di Lilia degenerò ancora verso l’autodistruzione e la miseria. Morirà tristemente il 10 ottobre del 1985 nell’ospedale Rosales dove era stata ricoverata dopo una caduta e la conseguente frattura di un arto. A noi restano i suoi testi, colmi di immaginazione e di lirismo concettuale: la prima poeta salvadoregna che sfida i canoni tradizionali nelle sue opere, come La flauta de los pétalos o Meridiano de orquídea y niebla. Nei momenti di lucidità e passione, riesce a raggiungere, come lei stessa scrive in un frammento, l’infinito. Affrontando i temi eterni come l’amore, la vita, la morte, la trascendenza, lasciando che i propri sentimenti scorrano in molteplici motivi, fondendosi nella natura, con gli alberi di balsamo, i tramonti, il vento, le allucinazioni, per sentirsi intemporal, cioè senza tempo, senza età, intramontabile.
Come deve essere per noi lei, Lilia Serpas, la poeta dimenticata del Pulgarcito de America.


***

Articolo di Maria Teresa Messidoro

Classe 1954, insegnante di fisica, da quarant’anni vicina alla realtà latinoamericana, in particolare a El Salvador, e con un occhio di genere, è attualmente vicepresidente dell’Associazione Lisangà culture in movimento; è scrittrice per diletto ma con impegno e spirito solidario.

Lascia un commento