«Ordinaria di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Cassino e Lazio Meridionale, dove insegna anche Pensiero politico e questione femminile. Ha fatto parte della Commissione nazionale Pari opportunità. È autrice di saggi, particolarmente centrati sull’associazionismo in Italia tra Ottocento e Novecento. Fa parte del Comitato scientifico delle Fondazioni Nilde Iotti, Anna Kuliscioff e Turati-Pertini»: questo è il profilo con cui è presentata la professoressa Fiorenza Taricone sulla nostra rivista Vitamine vaganti, in cui ci pregiamo della sua collaborazione come autrice di interessanti biografie di figure femminili degne di memoria, presenti nelle diverse edizioni del progetto Calendaria. Profilo immancabilmente troppo sintetico, rispetto ai tanti e importanti ruoli ricoperti, fra cui vogliamo ricordare, oltre a quelli già citati, solamente questi altri, in università: presidente del Comitato unico di garanzia, e Rettrice Vicaria.

Fra le sue numerosissime opere, l’ultima è stata pubblicata ora nel 2024, nella collana di saggistica Contemporary della casa Pacini Editore: Zoé Gatti de Gamond e l’utopia fourierista, in cui Fiorenza Taricone, descrivendo il periodo storico della prima metà dell’Ottocento nei suoi caratteri sociali e culturali, scrive una biografia intellettuale della protagonista, così presentata in quarta di copertina: «pedagogista e scrittrice politica, franco-belga, è stata una seguace critica di Fourier, del tutto sconosciuta in Italia; poco studiata anche dalla letteratura utopica, si è impegnata personalmente, trasferendosi con il marito, il pittore Jean-Baptiste Gatti e le due figlie nell’Abbazia di Citeaux, uno dei primi esperimenti fourieristi, investendo anche parte dei suoi beni. Non sarà mai una discepola acritica: diffonde il pensiero del maestro Fourier, esaltandone le novità, ma rilevandone anche i lati deboli, soprattutto in merito alla cosiddetta liberazione sessuale femminile».
Di questo, e non solo, conversiamo con l’autrice.
Spesso ti abbiamo sentito dire che il lavoro di “scavo archeologico”, che compi come docente e intellettuale, per riportare a galla personalità femminili misconosciute quanto rilevanti per la società, è gettare semi che dovranno poi fiorire nella cultura delle giovani generazioni. Secondo te, in questi ultimi decenni, la scuola, di base e/o universitaria, è sulla via giusta, procede in un cammino spedito, oppure no?
Solitamente una delle mie bussole è di derivazione gramsciana, cioè l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione. Purtroppo, rispetto alla domanda, questo abito mentale salta perché il cammino percorso dalle due istituzioni, scuole e università, è stato lento, contraddittorio, come sempre fondato sulle buone volontà individuali delle insegnanti, anziché sulle risposte che uno stato democratico dovrebbe dare per un sapere moderno, paritario, democratico. Mancano nelle scuole e successivamente nelle Università proprio quelle materie che sono il cuore del vivere civile: un sapere di genere declinato nelle tante affascinanti strade della conoscenza, una storia delle relazioni fra i generi che tanto servirebbe a evitare la retorica e la misoginia nelle prismatiche forme di violenza contro le donne; ma è assente anche una vera conoscenza della nascita dell’idea d’Europa, limitata per ora a quanto serve economicamente l’Europa e al dibattito fra sovranisti e non.
Mi sono chiesta e lo faccio ancora, perché mai le e i giovani dovrebbero recarsi numerosi alle urne per le elezioni europee se non ne conoscono spesso i testi basilari, come il Manifesto di Ventotene, che nasce come unica alternativa alla seconda guerra mondiale ancora in corso. E collegato proprio a questo, non vedo infine un insegnamento basilare come la storia della pace, che viene considerata una commovente utopia non praticabile, rispetto alla realtà dei conflitti di ogni tipo; la presenza tardiva delle donne negli organismi decisionali, come i Parlamenti, ha reso le guerre scelte monosessuate, in cui alla fine alle donne è come sempre spettata la ricostruzione del quotidiano in un ambiente devastato dalle armi che definiscono tecnologiche, cioè il trionfo della ragione!

Hai compiuto diversi studi sulla storia del femminismo, e sei nel Comitato scientifico della collana Effe-Scaffale del femminismo. Ritieni che sia più significativo parlare di “femminismo” o “femminismi”?
Una storica, e ancora di più una storica del pensiero politico, non può non parlare al plurale, perché pur limitandomi all’Italia e all’Europa, ciò è evidente. In Italia, per giunta, tutto si complica in relazione alle vicende politiche pre e post-unitarie; nella prima fase, quando il dialogo non poteva essere costruito con un interlocutore quale lo stato unitario, troviamo personagge isolate, anche a seguito delle effimere Repubbliche post-rivoluzionarie giacobine, in particolare la Partenopea e la Cisalpina, oltre alla Cispadana e Ligure, perché le prime due hanno avuto figure femminili di assoluto rilievo come Eleonora Fonseca Pimentel e Carolina Lattanzi; a partire già dal 1861, le forme associative sono tante, anche a seguito della strutturazione del Partito socialista e di un associazionismo sia piccolo-medio borghese che cattolico-progressista; li ho definiti movimenti femminil-femministi, rispettando la denominazione da loro stessi usata; la terminologia rivela già che molte combattive donne alla fine dell’Ottocento non si definiscono femministe, pur comportandosi come tali, insomma un po’ come oggi.
Il neofemminismo degli anni Settanta del ‘900 corre sui binari di una storia già densa, che deve molto alle madri ottocentesche, ma la gratitudine è sempre stata per il genere femminile argomento controverso. Per il pensiero politico nella mia accezione, la gratitudine qualifica un governo democratico.
La protagonista, Zoé, di questo tuo ultimo libro, vissuta in un periodo in cui anche le più “moderne” teorie sociali e socialiste non riuscivano a riconoscere adeguatamente il valore femminile al di fuori dei ruoli “tradizionali”, per quali aspetti può anche oggi essere di esempio alle donne per rivendicare i loro diritti?
Zoé Gatti de Gamond si adatta benissimo alla prima domanda, essendo stata una pedagogista, inventrice di sistemi educativi moderni e di contenuti dialoganti con la realtà femminile. Una scuola trasformativa, che teneva insieme l’essere e l’apparire, e le più diverse aspirazioni femminili: all’interno del matrimonio, in solitaria, lavorando intellettualmente o con attività pratiche, insomma nel rispetto delle inclinazioni e la riabilitazione delle passioni, condividendo in questo il socialista Fourier, su cui ha scritto opere quasi del tutto sconosciute. Il messaggio era esplosivo e attuale: il lavoro doveva essere attraente, perché solo così si univa la produttività a una vita legata anche al piacere e alla realizzazione di sé.
Zoé vive nel secolo della cosiddetta questione sociale, e anche oggi siamo nel pieno di una seconda questione sociale rispetto all’Ottocento. Siamo tornati di nuovo, come sosteneva il socialista Louis Blanc e con lui le rivoluzionarie donne del 1848 a Parigi al lavoro come diritto. Possiamo senz’altro dire che Zoé prima ancora di Anna Kuliscioff a fine secolo, con il Monopolio dell’uomo, afferma chiaramente che senza indipendenza economica non esiste libertà di scelta, autonomia affettiva, rispetto delle proprie inclinazioni. È impossibile non riconoscere nelle sue appassionate parole lo spartiacque di oggi, la necessità per le donne di lavoro non ricattabile e un salario dignitoso; del resto, come ho affermato nel libro, la pedagogia di Zoé è una pedagogia che diventa politica. La seconda lezione è il coraggio delle scelte personali: pur avendo già un marito scelto non certo per le sue sostanze e due figlie, va a dirigere e a vivere nel primo stabilimento utopico alla Fourier, nell’Abbazia di Citeaux, perdendo in pochi anni i suoi averi e facendo ritorno a Bruxelles da povera, lei che era stata figlia del governatore della provincia di Anversa. Insomma Zoé è una di quelle intellettuali militanti che hanno interpretato decenni prima il messaggio femminista degli anni Settanta: alla femmina dell’uomo va opposta la soggettività delle donne.
Concentrandoci sulla pedagogia, ora che sono trascorsi due secoli dall’epoca di Zoé, ora che sulla carta — almeno nei nostri Paesi occidentali — vi è parità di opportunità per ragazzi e ragazze nell’educazione, ma in concreto rimangono profondi gap nelle scelte scolastiche e nella governance a livello politico e professionale, che cosa vien meno perché al cambiamento delle leggi corrisponda un effettivo cambiamento anche dei comportamenti e delle pratiche?
Ammesso che nei Paesi occidentali vi sia una reale parità nell’educazione, vedo anche una distorsione di fondo. Intanto gli studenti approdano nelle scuole avendo già introiettato una buona dose di stereotipi sessisti, sia nelle famiglie che nella società allargata. Non mi riferisco solo alla svalutazione delle discipline cosiddette Stem come scelta per le ragazze, ma a molto altro. Francamente non saprei decifrare il reale cambiamento dopo il testo Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti, 1973; nel frattempo mi si potrebbe obiettare che è cambiato il mondo grazie al web; certamente, ma i risvolti non sono tutti positivi, e spesso l’immagine femminile che corre sul web è un perfetto esempio della misoginia patriarcale, si veda il deep web con il maschio alfa e la sua compagna slut, cioè sgualdrina o se preferite cagna, anoressica, bionda e muta: non rassicura granché. Oppure vogliamo parlare di alcuni games che pochi anni fa offrivano come premio ai vincitori una donna come bottino sessuale? Gli anni che le/gli studenti vivono nella scuola sembrano una parità praticata: stesse libertà, di orario, di comportamento, di linguaggio, di vestiario; ma invece di passare ore e giorni in pettegolezzi sarebbe più utile per loro far riflettere su quello che verrà dopo: una società ferreamente organizzata in élites, a diseguaglianza crescente, dove le possibilità sono legate alle conoscenze familiari e anche all’area geografica. Insegnando da decenni in una Università del sud, a metà strada fa i mega atenei di Roma e di Napoli, potrei mai dire che le/gli studenti hanno le stesse possibilità delle Università più dotate e famose? Certo che no, visto che Milano è sulle cronache come città più cara nel quotidiano, e personalmente confermo, visto che le/gli studenti meridionali di famiglia agiata che approdano a Roma nelle Università private sono confortati da famiglie benestanti che comprano addirittura appartamenti e macchine. Tralascio qui i Master più costosi, in Italia e all’estero e cerco il denominatore comune: la crescita delle diseguaglianze, macroscopica; alla sua comprensione il web sembra offrire una compensazione e una distrazione. L’attuale governo è un ottimo esempio di restaurazione delle élites.
Dopo quest’ultima fatica, di che cosa in particolare ti stai occupando? Hai già un altro libro nel cassetto?
I miei studi si sono finora quasi equamente divisi fra pensatori/pensatrici, scrittori/scrittrici, politici/politiche, attivisti/attiviste di ambo i sessi nella cultura italiana e francese, ma ho indagato molto anche il binomio guerra/pace. Sto ultimando un libro molto tascabile dal titolo Donne e uomini. Guerra e pace, che sintetizza i miei studi precedenti. Al di là della guerra come la s’intende comunemente, il conflitto per le donne, come sottospecie della guerra, non mi sembra affatto tramontato.
Ringraziamo la professoressa Fiorenza Taricone per il tempo che ci ha dedicato e per i suoi studi, così importanti per la crescita culturale non solo delle donne, ma di tutta la cittadinanza.
In copertina: pianta del falansterio secondo Fourier (particolare).
***
Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.

Un commento