«Quando, per contrasto, la storia è scritta come una guerra mitica tra le pure forze del bene e le forze del male, è destino che il risultato sia una cattiva scrittura della storia, perché il mondo non è puro, e nessuna cultura al suo interno è pura».
Martha C. Nussbaum
Dell’India in Italia non si parla quasi mai e se ne sa pochissimo. I nostri media, oltre che sulle noioisissime beghe partitiche italiane, sono concentrati sulla cronaca della guerra russo-ucraina e di Israele contro Gaza e il Libano, dimenticando tutte le altre, in particolare quanto sta succedendo in Sudan. Con l’arma che Noam Chomsky da tempo chiama “distrazione di massa”, l’opinione pubblica meno attrezzata è tenuta volutamente lontana da quanto accade fuori della sfera di ciò che l’Unione Europea, ormai apertamente filoatlantista, ritiene importante.

Eppure l’India è il Paese con la popolazione più numerosa al mondo (un sesto degli abitanti della Terra), geograficamente è molto grande, fa parte dei Brics da sempre, ha un leader, Narendra Modi, al suo terzo mandato da Primo Ministro, forte di un consenso che i leader europei si sognano; è una delle potenze digitali emergenti (India server mundi) e vuole diventare una grande potenza, già da tempo sentendosi tale. Una Nazione in crescita economica che ambisce a diventare geopoliticamente determinante, in un periodo caratterizzato dal declino della superpotenza americana e dall’emergere di nuovi soggetti che ambiscono a un governo multipolare del mondo. Non a caso la patria di Gandhi si è offerta come mediatrice nella guerra russo-ucraina e come portabandiera del Sud globale. Oggi ha la bomba atomica e si appresta a diventare una potenza marittima, dopo avere aderito al Quad, la cooperazione strategica informale con Usa, Australia e Giappone, che ha lo scopo di contenere l’espansionismo cinese nell’Indo-Pacifico.
Ben venga dunque questo numero di Limes, che si differenzia e ci informa con la solita profondità su questo soggetto geopolitico importante.
Nel titolo di questo numero l’India è indicata col nome di Bharat, in lingua sanscrita, che enfatizza il lato interno, non coloniale, della potenza indiana, che è quasi un continente, con realtà estremamente diverse per etnia, lingue, religioni; è diventata la quinta potenza economica del mondo, ma se si osserva il pil pro capite o dei singoli Stati le differenze sono abissali. Il Bihar ha un pil paragonabile a quello di uno Stato subsahariano, mentre il Gujarat a quello di un paese europeo come la Danimarca, come si ricorda nella bella conversazione con Milan Vaishnav, direttore del South Asia Program al Carnegie Endowment for International Peace.

La prima parte, Indie contro, su cui mi soffermerò più che sulle altre, esamina le contraddizioni e le diversità di questo gigante in espansione a noi semisconosciuto. Tra gli approfondimenti più interessanti si segnalano La missione mondiale dell’India, dove si legge che «è in atto uno scontro tra la concezione di India come monolite indù e quella di India come mosaico di culture diverse (vicina a quella pensata da Gandhi n.d.r.) che coesistono in assenza di un’identità culturale, religiosa e linguistica comune». Con il Governo Modi «sono stati riscritti i libri di testo per esaltare l’età dell’oro indù. I nomi di strade e città sono indianizzati (ah, l’importanza dell’odonomastica! n.d.r.), cambiano insegne di istituzioni come la Marina per eliminare l’eredità britannica, l’India stessa viene presentata come Bharat». Il partito di Modi, il Bjp, respinge da sempre l’idea nehruviana dell’India come Stato nazionale dalle identità multiple, in cui cioè possano coesistere più nazioni. Si potrebbe dire che trascenda l’idea stessa di Stato nazionale e si richiami a uno “Stato civiltà”. «Il che sottende un lignaggio storico che riconduce la Repubblica di India a un’età dell’oro indù, antecedente alle moderne forme di statualità. Questo è importante perché significa che il Bjp non sta cercando di costruire qualcosa di nuovo ma di recuperare e rivendicare qualcosa che crede sia stato sottratto ingiustamente con “dodici secoli di schiavitù” che includono il dominio mogul, quello degli altri invasori islamici, dei colonizzatori britannici e persino dei nehruviani — che non sarebbero autenticamente indiani in quanto parlavano inglese ed erano stati educati in istituzioni britanniche…» Anche l’analisi di Tommaso Bobbio, La reinvenzione della storia, è un articolo necessario, che riflette, con un esergo prezioso in inglese di Martha Nussbaum, su come non possa esistere «un progetto nazionale senza una rivalutazione del passato che dia sostanza, autorevolezza e credibilità a rivendicazioni identitarie, territoriali e culturali», facendo dell’induismo, la religione praticata dall’80% della popolazione, il collante per la costruzione dell’identità nazionale. E si riscrive la storia per costruire l’Hindutva (Induità), sottoponendo persino Gandhi all’opera di revisionismo storico nei manuali scolastici, da cui scompare il riferimento all’appartenenza alla formazione estremista induista dell’Rss (Associazione dei servi della nazione), del suo assassino.

L’India di Modi riesce a stare militarmente con gli Usa, di cui ha bisogno anche se in declino, commercialmente con la Russia e approfittare di una situazione internazionale in movimento per acquisire potere a livello mondiale. Il Primo Ministro indiano gode di un consenso fortissimo, come si evince dall’articolo di Francesca Marino Super Modi. La sua credibilità presso la popolazione si fonda sulle sue origini modeste e sul suo carisma. Più volte Modi ha dichiarato di voler fare dell’India (la più grande democrazia del Pianeta, anche se tale solo dal punto di vista elettorale) «il guru del mondo». La sua politica estera è passata dal “non allineamento” durante la Guerra fredda, abbastanza sbilanciato peraltro verso l’Urss, al “multiallineamento” e alla politica estera “multivettoriale” ai tempi del nuovo disordine mondiale. L’approfondimento della giornalista Francesca Marino ha il pregio di farci capire, con una scrittura gradevole e chiara, quanto è accaduto in India durante i tre mandati di Modi depurando lo sguardo dai criteri occidentali che inevitabilmente lo deformano.

Peraltro non tutto è luce attorno a quest’uomo politico atipico, vegetariano, induista convinto che l’India debba diventare tutta induista, serio ma grande comunicatore, incorruttibile al punto da non riservare nemmeno un posto a sedere alla madre andata ad assisterlo a un comizio. Modi è divisivo. Ci sono quelli che ne subiscono il fascino come se fosse una rockstar e quelli che non lo sopportano, come i liberal del Partito del Congresso Nazionale, tra cui il suo rivale Rahul Gandhi, che hanno studiato a Oxford e Cambridge. Il saggio di Maronta, Il miracolo può attendere, ha proprio lo scopo di documentare le falle della politica di questo trascinatore di folle del Bharatiya Janata Party, (Bjp, Partito del Popolo di Bharat), come in parte fa anche l’articolo di Bobbio.
Da segnalare, in questa prima parte sul tema delle lingue sia Bharat riscopre il vernacolo, in cui si evidenzia la preferenza della nuova classe media per i dialetti e le innumerevoli lingue indiane in contrapposizione alle élite globaliste e anglofone, sia l’appendice all’articolo di Lorenzo Di Muro Un posto al sole, sul sistema delle caste.
Un articolo che interesserà moltissimo le nostre lettrici e chi ha a cuore i diritti delle donne nel mondo è Viaggio nel Kerala, perla dell’India, forse scritto in tono un po’ sciovinista, ma meritevole di lettura. Scrive il suo autore, Shashi Tharoor, dopo avere ricordato la bellezza del paesaggio, delle spiagge e dei suoi fiumi: «Uno dei maggiori punti di forza della regione è sicuramente l’alto livello di alfabetizzazione: siamo passati dal 47% del 1951 (quando la media indiana era sotto il 17%) al 94% del censimento del 2011. Oggi abbiamo superato il 96%. Dal 2004 al 2021 anche il reddito annuo pro capite è quasi triplicato. Ma c’è di più. Gli indicatori di sviluppo sociale del Kerala sono paragonabili a quelli degli Stati Uniti, il che è sorprendente per il contesto indiano. Ad esempio, l’aspettativa di vita di un americano è di 78 anni, mentre quella di un keralese è di 77 anni […] La grande differenza sta nel reddito pro capite: nel Kerala si aggira attorno ai 3.500 dollari annui, mentre negli Stati Uniti supera i 37 mila dollari. Il Kerala, insomma, vanta tutti gli indicatori demografici che solitamente vengono associati ai paesi «sviluppati», ma a un costo nettamente inferiore […] Le donne del Kerala, in particolare, sono tra le più emancipate dell’India. Esse hanno accesso all’istruzione e a opportunità di carriera che vanno ben oltre gli standard nazionali. Basti pensare che la regina Rani Gouri Parvatibai, già nel 1817, rese obbligatoria l’istruzione per ragazzi e ragazze a spese dello Stato, ponendo le basi per una lunga tradizione di progresso educativo. Ancora oggi, il Kerala investe più di qualsiasi altra regione indiana nell’istruzione, mentre i suoi cittadini leggono più di 50 quotidiani diversi, indice di una popolazione attiva e coinvolta».

Nella seconda parte, Bharat cerca spazio, si affrontano la politica estera indiana, la questione complessa dei confini, i problemi con la Cina e i rapporti con il cosiddetto Sud Globale.
Nella terza parte, L’India vista dagli altri, merita di essere segnalato Senza India niente impero americano, di Federico Petroni, secondo cui «Gli americani si rendono conto che non è più possibile trascurare un paese che, oltre all’esuberante demografia, riunisce tre condizioni pregiatissime: è animato da altissime ambizioni alimentate da rara profondità storico-culturale; sorge fra i due lembi dell’Eurasia decisivi per gli equilibri globali; è in posizione di orgogliosa terzietà, non Occidente ma nemmeno suo sfidante, condivisa con la maggioranza del pianeta.
È quest’ultimo fattore a dare all’India valore assoluto, non solo strumentale, agli occhi degli Stati Uniti. Senza la partecipazione di Delhi, Washington non può difendere il primato mondiale e nemmeno offrire al resto dell’ecumene (termine usato in geopolitica e geografia antropica per indicare a parte della Terra dove l’uomo trova condizioni ambientali che gli consentono di fissare permanentemente la sua dimora e di svolgere normalmente le sue attività n.d.r.) un sistema internazionale conforme ai propri interessi. L’India serve all’America per continuare a essere impero». Altri articoli descrivono i rapporti dell’India con Italia, Russia, Cina e Giappone.

Come sempre l’editoriale di Lucio Caracciolo ha molti riferimenti storici e approfondisce la figura di quello che oggi viene considerato il fondatore dello Stato indiano, Bose, politico antagonista per motivi diversi di Gandhi e di Nehru. Bose è una figura di cui non avevo mai letto e che ha avuto rapporti con Mussolini e con la nostra storia. Sicuramente da conoscere, per il suo atteggiamento e le sue lotte anticoloniali.

In un’altra parte dell’editoriale il direttore di Limes ricorda che «nell’atrio del nuovo parlamento indiano, da Modi inaugurato il 28 maggio 2023 brandendo uno scettro d’oro, spicca un vistoso murale che illustra in color ocra la Grande India senza confini, identificata con il Subcontinente alquanto dilatato, affacciata sul blu oltremare dell’Oceano Indiano. Delhi inghiotte Pakistan, Bangladesh, Nepal, Bhutan, Sri Lanka, Myanmar, Tibet cinese e avanzi d’Afghanistan (carta a colori 1a). Diluvio di proteste dei vicini «annessi». Un sogno impossibile ma significativo della volontà dell’India di diventare una grande potenza. Così si chiude Modiche ambizioni: «in questi anni del vivere pericolosamente l’India che vuol parere più di quanto sia — spesso ci riesce — rischia grosso. Qualcuno potrebbe chiamare il bluff. Ne sappiamo qualcosa noi italiani, che al tavolo del sembrar grandi, al quale ci esibimmo fra 1915 e 1945, finimmo per cedere quasi tutta la posta, cominciando con l’indipendenza. Ma chi scommette su sé stesso ha un vantaggio.
Si apre una prospettiva. Dirige verso un futuro. L’Occidente ha smesso di cercarlo. Rinnega sé stesso, senza accorgersene perché ha escluso il passato dal suo orizzonte. Duro vivere nel presente continuo mentre il piano inclina verso il basso. Molto più utopico del futurismo indiano».
Proprio mentre questo articolo si sta concludendo, leggo che in un post su X Rahul Gandhi, uno degli oppositori di Modi, ricorda che il 29 settembre dello scorso anno ha lanciato l’Indira Fellowship, per incrementare l’ingresso delle donne in politica. Chissà che cosa ne pensa Modi e chissà con chi dei due si schiererebbe una delle nostre economiste ambientaliste preferite, Bina Agarwal.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
