Così va la vita, cara Annie

Se ricordo Annie Girardot non posso non pensare anche a due attori che nella mia mente le sono legati in modo indissolubile: Renato Salvatori e Alain Delon, scomparso lo scorso 18 agosto. I tre furono nel cast stellare, come si usa dire in questi casi, di un film del 1960 che fece epoca e che è rimasto nei cuori e nella mente del pubblico, ma pure fra i capolavori di Luchino Visconti e della cinematografia italiana: Rocco e i suoi fratelli, restaurato di recente dalla Cineteca di Bologna.

Locandina Rocco e i suoi fratelli

Ispirato ai racconti di Giovanni Testori, prende tuttavia il titolo dal nome dello scrittore meridionalista Rocco Scotellaro e dal romanzo di Thomas Mann Giuseppe e i suoi fratelli, entrambi molto cari al regista; qui sono cinque i Parondi partiti dalla Basilicata per far fortuna a Milano, con la madre (la grande Katina Paxinou), e Nadia, interpretata da Girardot, è una prostituta divisa fra Simone e Rocco. La gelosia, l’abuso di alcol e l’abbandono portano Simone (Salvatori) all’assassinio della ragazza, all’Idroscalo, in una scena di terribile violenza, che ricorda una crocifissione, ma Rocco, il fratello positivo e dall’animo generoso (Delon), si farà carico della famiglia e saprà perdonare, fiducioso in un futuro migliore. Annie conobbe in quell’occasione il collega, un bel giovanotto toscano (1933-88), già protagonista di film di genere brillante di notevole successo; i due si sposarono ai primi del 1962 ed ebbero la figlia Giulia; anni dopo venne la separazione, ma rimasero sempre in buoni rapporti.
Facendo un necessario passo indietro, veniamo alla vita della parigina Annie Suzanne, non sempre fortunata; nacque infatti il 25 ottobre 1931 dalla relazione della madre ostetrica con un uomo sposato che non la riconobbe. Era destinata alla professione di infermiera, invece prevalse la passione per lo spettacolo. Studiò all’École nationale supérieure des arts et techniques du théâtre, ma non disdegnava di comparire sulle scene come ballerina nei più celebri ritrovi della capitale, fra cui La Rose Rouge e Lapin Agile, e di esibirsi nei varietà. Nel 1954 si diplomò brillantemente al Conservatoire nationale supérieure d’art dramatique e iniziò la carriera di attrice teatrale entrando nella prestigiosa compagine della Comédie Française.

Locandina Il sospetto

Debuttò nel 1956 e si fece notare per l’innato talento drammatico. Nello stesso anno comparve nel primo film: Tredici a tavola, per cui vinse il premio Suzanne Bianchetti, riservato fino dal 1937 proprio alla migliore attrice debuttante. Cominciò a recitare in una fitta serie di film non memorabili, fino alla prova eccelsa in Rocco e i suoi fratelli, fortemente voluta da Visconti, per cui venne ovunque apprezzata e pure candidata al premio Bafta. Continuava intanto a interpretare pellicole di successo prevalentemente in Francia, ma anche in Italia, per la regia di Franco Rossi, Mario Monicelli (I compagni), Valentino Orsini e i fratelli Taviani (I fuorilegge del matrimonio), Citto Maselli (Il sospetto, a fianco di Gian Maria Volonté).

Arriviamo al 1964: è il momento di una pellicola straordinaria, La donna scimmia, girata da quel genio di Marco Ferreri, con cui collaborerà altre due volte.

La donna scimmia. Un fotogramma

Si tratta di un film grottesco e drammatico, cattivissimo e triste, in cui Girardot (coraggiosamente imbruttita) è Maria, una giovane che vive segregata perché coperta di peli; di lei approfitta uno squallido individuo senza scrupoli (Ugo Tognazzi), che la porta a esibirsi in uno spettacolo degradante. In seguito i due si sposano, ma Maria muore di parto insieme al figlio; entrambi vengono imbalsamati e lo spregevole marito ne vorrebbe i corpi non per seppellirli con dignità, ma per farne una macabra esibizione.

Il seme dell’uomo è ambientato in un mondo devastato da una immane catastrofe e ormai privo di umanità, eccetto pochi sopravvissuti, fra cui “la straniera” (Girardot); in Dillinger è morto (entrambi sono del 1969) è Sabina, la cameriera del protagonista Glauco che compie una serie di gesti assurdi, fino all’omicidio e a una fuga irreale.

Nel 1965 l’attrice vinse al Festival di Venezia la coppa Volpi per Tre camere a Manhattan, tratto da un romanzo di Simenon, per la regia di Marcel Carné. L’anno successivo comparve sul palcoscenico del Teatro alla Scala come voce recitante nel ruolo di Persefone nell’opera musicale omonima di Igor Stravinskij, su testo di André Gide, diretta da Nino Sanzogno. Intanto girava un film dopo l’altro, anche sei in un anno, impossibile perciò elencarli tutti; da segnalare il grande successo di Vivere per vivere di Claude Lelouch (1967), a fianco di Yves Montand, una storia appassionata e avvincente che vinse il Golden Globe nel 1968.
L’anno seguente ebbe un ruolo centrale in Metti una sera a cena, film assai controverso per la trama all’epoca considerata audace e per le scene di amore a tre, girato da Giuseppe Patroni Griffi e tratto da un suo testo teatrale; non si trattò forse di un capolavoro, ma il pubblico lo apprezzò molto anche perché lanciò la bellezza ambigua e provocante di Florinda Bolkan, a fianco di Tony Musante e Lino Capolicchio, e si avvalse della colonna sonora di Ennio Morricone, rimasta nella storia della musica, premiata con il Nastro d’argento 1970.

Del 1971 è una pellicola di André Cayatte che in Francia al botteghino guadagnò più del celebrato Love story; Morire d’amore era ispirato a una vicenda reale: la relazione di una insegnante con l’allievo liceale minorenne, durante i fatti del Maggio 1968.
Una storia dolorosa e tragica visto che la società non accettava questo sentimento e la donna matura venne accusata di corruzione di minore, con un finale che si può immaginare.
L’anno dopo Annie convinse il collega Philippe Noiret ad affiancarla nella divertente commedia La tardona, che portò a entrambi il premio Unicrit.

Madame Marguerite versione cinematografica

Parallelamente all’intensissima attività cinematografica, Girardot portava avanti la sua passione per i viaggi, talvolta avventurosi, e per il teatro: dal 1974 fino al 2002 fu periodicamente sulle scene con il medesimo, amato personaggio, quello di Madame Marguerite, nell’omonimo “monologo tragicomico per una donna impetuosa” scritto da Roberto Athayde, interpretato pure dalle più grandi attrici in tutto il mondo.
Nel 1977 ottenne il premio César per il suo ruolo nel film drammatico Il caso del dottor Gailland, diretto da Jean-Louis Bertuccelli; nello stesso anno vinse il David di Donatello come migliore attrice straniera in una parte brillante, come protagonista di Corrimi dietro che t’acchiappo per la regia di Robert Pouret. Grazie a una serie di pellicole fortunate e di generi tanto vari la sua fama raggiunse gli Usa dove recitò con Barbra Streisand e Gene Hackman nella commedia romantica All Night Long (1981).

Erano però anni difficili, questi Ottanta, perché Annie attraversò una crisi sentimentale che la portò alla relazione con un cantante, Bob Decout, più giovane di 17 anni; per lui scriverà testi di canzoni, proverà anche a cantare e finanzierà i suoi spettacoli, purtroppo di scarso successo. Questo volle dire seri problemi economici, numerosi pettegolezzi e la perdita di buone occasioni lavorative. L’attrice aveva pubblicato nel 1989 la sua autobiografia dal titolo significativo: Vivre d’aimer; nel 2003 ne pubblicò un’altra, forse per fissare meglio i propri ricordi sfuggenti, intitolata in modo quasi anticipatore: Partir, revenir. Finalmente nel 1993 la storia si concluse e da allora la carriera riprese con nuovo impulso, talvolta con ruoli all’epoca inediti e coraggiosi per una donna: la tassista, la reporter, la commissaria di polizia.
Nel 1995 vinse di nuovo il premio César, questa volta come attrice non protagonista, per il film I Miserabili diretto da Claude Lelouch, adattamento moderno del romanzo di Victor Hugo, e pure nel 2002 per il pluripremiato La pianista di Michael Haneke, in cui interpretava la madre di Erika (Isabelle Huppert). Con il regista austriaco lavorerà ancora quattro anni dopo nella pellicola Niente da nascondere, insieme a Juliette Binoche e a Daniel Auteuil, premio come miglior regia al 58° festival di Cannes.

Annie Girardot ha fatto anche diverse apparizioni televisive, in sceneggiati e film di produzione francese, spagnola e italiana; da segnalare soprattutto Io e il duce per la regia di Alberto Negrin, in cui è Rachele, la moglie di Mussolini, e Olga e i suoi figli di Salvatore Nocita (entrambi del 1985), storia drammatica di una modesta vedova che vive a Milano alle prese con la schizofrenia di un figlio. Partecipò in seguito ad altre due fiction per la Rai: la miniserie Colpo di coda (1993) e la spiritosa Nuda proprietà vendesi (1997), con Lino Banfi nel ruolo del suo anziano marito. Sicuramente è stata una interprete versatile, molto amata dal pubblico e dai registi che sapevano di poter contare sulla sua serietà professionale e sul suo talento. All’epoca delle “maggiorate”, lei invece era minuta e non molto alta, non era dotata di un fisico appariscente; aveva un volto dai tratti marcati, con un sorriso inconfondibile e una voce profonda e soprattutto la capacità di calarsi nei ruoli più vari, mostrando fascino, una personalità piena di sfaccettature, in grado di colpire con il suo sguardo penetrante, di quelli che non si dimenticano e danno grandi emozioni.
Insomma, non era una bellezza prorompente come Brigitte Bardot o Sophia Loren, felicemente arrivate ai 90 anni, l’una ritirata da lungo tempo, l’altra ancora attiva. Era tutt’un altro genere di donna e di attrice, raffinata e padrona delle proprie scelte, infatti ha recitato con passione e continuità fino a quando ha potuto, fino al 2007, quando ormai aveva difficoltà a orientarsi sul set dell’ultimo film dove era la vecchia Odile (Christian, regia di Elisabeth Löcher) e la malattia le stava togliendo la memoria; questo ha raccontato la figlia in un documentario del 2006.
Giulia Salvatori ha dedicato alla madre anche due libri, pubblicati in Francia: Annie Girardot. La mémoire de ma mère, scritto con il giornalista Jean-Michel Caradec’h, che ha avuto varie edizioni dal 2008, e Annie Girardot. Un destin français, edito da Michel Lafon, 2012.

Giulia Salvatori, Annie Girardot. La mémoire de ma mère, edizioni J’ai lu, 2010
Giulia Salvatori, Annie Girardot. Un destin francais

Dal novembre 2006 al febbraio 2007 è stato realizzato dal regista Nicolas Baulieu con il consenso della famiglia il documentario: Annie Girardot. Ainsi va la vie, in cui l’attrice si racconta e parla del dramma che sta vivendo; è un atto d’amore commovente che si può trovare in rete e vi lascerà con le lacrime agli occhi, presentato fra le polemiche alla televisione francese il 21 settembre 2008, in occasione della XV Giornata mondiale dell’Alzheimer.
Dal 2008 alla fine, anni tristi e devastati dalla malattia, fra lucidità e assenze, Annie è stata ospite di una clinica parigina, dove è morta il 28 febbraio 2011; è stata sepolta nel celebre cimitero di Père-Lachaise. Così va la vita, cara Annie. Ti vorremo sempre bene.

la Repubblica -1° marzo 2011
La tomba a Parigi

In copertina: Morire d’amore. Un fotogramma.

***

Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

Lascia un commento