Esiste un modo femminile di fare scienza?

Non è facile rispondere a questa domanda senza fare i conti con una montagna di stereotipi. La storia ci dimostra che le scienziate sono sempre esistite, fin dall’antichità. E anche che sono molto brave. Poche, dimenticate, ma brave. Ma in cosa si differenzia il loro approccio allo studio dei fenomeni naturali?
Scienziate visionarie. 10 storie di impegno per l’ambiente e la salute, un libro scritto a quattro mani da Cristina Mangia e Sabrina Presto appena pubblicato per edizioni Dedalo, ci suggerisce una possibile risposta, raccontandoci le biografie di 10 donne di scienza che si sono distinte per il loro essere “visionarie”, per l’appunto. E se all’inizio della loro storia scientifica e professionale sono state considerate visionarie nel senso negativo del termine, almeno dai loro detrattori, perché le loro idee andavano controcorrente ed erano immancabilmente scomode, man mano che con un atteggiamento privo di pregiudizi e con l’applicazione rigorosa del metodo scientifico dimostravano di essere dalla parte della ragione, a buon diritto si sono guadagnate l’appellativo di visionarie nell’”altro” senso, cioè per la loro capacità di guardare al futuro e di battersi con coraggio allo scopo di utilizzare la scienza per migliorare il mondo.
Entrambe le autrici, Cristina Mangia e Sabrina Presto, sono “del mestiere”, a loro volta ricercatrici, rispettivamente fisica l’una e chimica dei materiali l’altra. Nell’introduzione, dopo averci avvertite, non senza una punta di autoironia, di essere “di parte”, confessano di vivere talvolta il loro lavoro con un po’ di disagio, per l’esigenza di riflettere sulle implicazioni e sul senso della ricerca, solo apparentemente libera, legata com’è alle scelte politiche relative alla destinazione delle risorse disponibili.
E così, ci avvertono: «…abbiamo voluto raccontare, dall’interno, esperienze di scienziate nelle quali poterci rispecchiare, per non sentirci sole». E poi: «Visione e scienza: ci sentiamo audaci per aver messo insieme due parole così diverse. Eppure sveleremo pagina dopo pagina, storia dopo storia, quanto una visione diversa dello sviluppo scientifico sia non solo necessaria ma anche possibile, soprattutto quando parliamo di ambiente e salute…». E ancora: «Le biografie qui proposte sono testimonianze di una scienza che sfida le certezze, si mette in discussione, accoglie il cambiamento…».

È Donella Meadows, l’ispiratrice dell’idea di sviluppo sostenibile, ad aprire l’elenco delle visionarie. È lei la principale autrice del libro The Limits to Growth, che nel 1972 presentò i risultati di uno studio basato su un raffinato modello matematico al computer che dimostrava che, se non invertiremo la rotta, in meno di cento anni le risorse disponibili diventeranno insufficienti per la popolazione e il pianeta arriverà al collasso. Da allora Meadows ha dedicato la sua vita a lottare perché questa verità non solo sia accettata dalla comunità scientifica e dai governi, ma soprattutto che si faccia strada nella coscienza collettiva. Infatti, a suo avviso è compito delle donne e degli uomini di scienza farsi agenti del cambiamento e suggerire le soluzioni, non limitandosi a indicare i problemi.
Dopo Donella Meadows troviamo tre mediche: la prima è Alice Hamilton, alla quale dobbiamo l’introduzione della medicina del lavoro negli Stati Uniti con i suoi studi nelle fabbriche dei veleni in un’epoca in cui le condizioni di lavoro erano durissime, soprattutto per donne e bambini, e che fu la prima donna a ottenere la docenza in una università prestigiosa come Harvard, il cui accesso a quel tempo era precluso alle donne.
La seconda è Sara Josephine Baker, che rivoluzionò la sanità pubblica mostrando, dati alla mano, l’importanza della prevenzione e dell’igiene: anche a lei fu offerta la docenza in una prestigiosa università riservata agli uomini, quella di New York, e lei accettò a condizione che le fosse concesso di laurearsi in quella stessa università e che la stessa opportunità fosse data anche a tutte le altre donne.
Infine troviamo Alice Stewart, che negli anni ’50 del secolo scorso dimostrò i pericoli delle radiazioni per la salute, anche a piccole dosi, rendendone possibile l’applicazione nella diagnostica e nelle cure, ma solo compatibilmente con una corretta valutazione del bilancio fra rischi e benefici. Dopo la pensione, negli anni ’70 la troviamo ancora in campo per studiare i rischi dell’impiego del nucleare nella produzione di energia.
E poi troviamo la fisica giapponese Katsuko Saruhashi, che mise a punto accurate tecniche di rilevazione delle sostanze radioattive nel mare e nell’atmosfera, per dimostrare la pericolosità dei test nucleari e rivendicare la responsabilità della scienza per l’uso dell’energia atomica.
Beverly Paigen, attiva in territori contaminati, fu la prima a comprendere l’importanza di incrociare i dati statistici con le testimonianze delle popolazioni coinvolte negli studi epidemiologici sui danni alla salute dovuti all’inquinamento ambientale.
E ancora Rachel Carson, la scienziata scrittrice, autrice di libri come La primavera silenziosa e Il mare intorno a noi, che denunciò i terribili effetti del Ddt sulla salute e sull’ambiente; e poi Lynn Margulis, portavoce del microcosmo e Suzanne Simard, la scienziata fra le foreste, che ci hanno insegnato a considerare gli ecosistemi come se fossero dei veri e propri macro-organismi e a rispettarli, e Wangari Maathai, la scienziata che piantava gli alberi, Premio Nobel per la pace nel 2004, che per tutta la vita si è battuta contro la fame e la povertà nella sua Africa; per finire con Laura Conti, anche lei medica, che denunciò la catena di gravi errori che quasi 50 anni fa causarono il disastro di Seveso.

Leggendo queste biografie, non possiamo fare a meno di notare una serie di punti comuni. Tutte queste donne hanno dovuto lottare per studiare e per farsi strada nel campo della ricerca in un mondo dominato dagli uomini. Tutte loro hanno dovuto combattere contro gli stereotipi di genere, come quello che troppo spesso vede le donne costrette a operare una scelta fra la carriera scientifica e il ruolo di moglie e madre.
Ma tutte, e forse proprio come conseguenza delle difficoltà che hanno dovuto superare, hanno scelto di interpretare il loro ruolo di scienziate militanti, usando le loro conoscenze, le loro competenze, ma anche tutta la passione di cui erano capaci, per trasmettere alle generazioni future un pianeta vivibile e un mondo migliore.
Non è un caso che tutte si sono rivelate infaticabili divulgatrici, e questo le accomuna con le autrici di questo libro.
È una lettura piacevole e interessante, il linguaggio è chiaro, ma rigoroso. Se l’intento era di fare una buona divulgazione scientifica, si può dire senza ombra di dubbio che l’obiettivo è stato centrato, al punto che mi sentirei di suggerire alle e agli insegnanti di proporre la lettura di questo testo alle loro alunne e ai loro alunni, ai quali non solo può offrire una molteplicità di spunti, ma anche mostrare che è possibile farsi un’opinione su molte tematiche all’ordine del giorno, senza cadere in facili pregiudizi, ma lasciandosi guidare dalla conoscenza e dal metodo scientifico, proprio come ci hanno insegnato queste grandi visionarie.

Cristina Mangia
Cristina Mangia è ricercatrice al CNR, presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima di Lecce. Si occupa di inquinamento atmosferico e salute. È stata presidente dell’Associazione Donne e Scienza e ha ricevuto il premio “Wangari Maathai. Donne Pace e Ambiente”.

Sabrina Presto
Sabrina Presto è ricercatrice al CNR, presso l’Istituto di Chimica della Materia Condensata e di Tecnologie per l’Energia di Genova. Si occupa di materiali e processi per la produzione di energia pulita. Fa parte del direttivo dell’Associazione Donne e Scienza.

Cristina Mangia, Sabrina Presto
Scienziate visionarie. 10 storie di impegno per l’ambiente e la salute
Edizioni Dedalo, Bari, 2024, euro 16,15
pp. 160

***

Articolo di Maria Grazia Vitale

Laureata in fisica, ha insegnato per oltre trent’anni nelle scuole superiori. Dal 2015 è dirigente scolastica. Dal 2008 è iscritta all’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF) e componente del gruppo di Storia della Fisica. Particolarmente interessata alla promozione della cultura scientifica, ritiene importanti le metodologie della didattica laboratoriale e del “problem solving” nell’insegnamento della fisica.

Lascia un commento