La collana Erickson Live, da sempre dedicata a buone pratiche pedagogiche e socio-culturali, si arricchisce oggi di una nuova opera di grande qualità, firmata da Chiara De Carlo: Fiabe nella tradizione popolare: norme e trasgressioni di genere. In tre capitoli di notevole interesse narrativo, a cavallo tra l’analisi antropologica e quella educativa, l’autrice ci accompagna in un viaggio, insieme famigliare e sconosciuto, attraverso le fiabe classiche, di cui siamo tutti figli e figlie e che tutti abbiamo amato, oppure odiato, per le prospettive di realizzazione che ci hanno prospettato. Non mancano le storie più note, quali Cenerentola, La Bella Addormentata, Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Barbablù, di cui De Carlo ci riassume le versioni meno moderne, dal seicentesco Perrault, ai fratelli Grimm (che scrivono nell’Ottocento), da I Racconti di mamma Oca, alla primissima versione conosciuta di Cenerentola, storia cinese addirittura datata in forma scritta al IX secolo a.C.
Con una notevole efficacia, l’autrice mostra bene come gli stereotipi di genere nascano e si cristallizzino fortemente nelle personalità di bambini e bambine che, attraverso i secoli, assorbono i modelli proposti dalle storie narrate loro dalle persone adulte di riferimento. È così che, ad esempio, vanità e invidia appartengono quasi esclusivamente alle donne, che ne vengono completamente travolte. La matrigna vuole essere la più bella ed è disposta a tutto per ottenere il primato estetico del reame. L’invidia divora le sorellastre di Cenerentola, come anche ossessiona la loro madre. Biancaneve, nella versione originale, ama i corsetti e i pettini per capelli, due oggetti attraverso i quali la regina cercherà di ucciderla, prima di ricorrere alla più nota mela avvelenata. Scrive in proposito De Carlo «L’invidia esiste ed è un sentimento naturale, che appartiene a tutti gli esseri umani, ma la società mette in risalto maggiormente l’invidia femminile, istigando la competizione tra donne e veicolando stereotipi, come la donna ”perfetta”, dedita alla famiglia e alla casa, capace di soddisfare il partner ma priva di spazi personali».
La morale propugnata da Perrault è espressione di una società che ammonisce la donna e le dice come essere. La prima morale dice che «la bellezza è per la donna un gran tesoro, né mai ci si stanca di ammirarla; ma assai più vale la buona grazia». La salvezza da sé stesse e dai pericoli del mondo, che sia da una famiglia maltrattante, da una vita da reclusa o da un destino da zitella acida, arriva sempre e soltanto dall’uomo, uno su tutti il Principe Azzurro.
Se pensiamo a Biancaneve, per ben tre volte l’inetta fanciulla necessita dell’aiuto di figure maschili per portare a casa la pelle: il cacciatore che le salva la vita nel bosco risparmiandola dal coltello; i sette nani che la accolgono, esule, nella loro casetta e infine il Principe. Ad esso, al virile eroe del regno, appartengono coraggio e libertà, ruoli di potere e capacità di intervento, che si contrappongono alla dolce remissività delle fanciulle, tutte dedite alle faccende domestiche e alla cura della prole.
Spesso mute (la Bella Addormentata e Biancaneve ne sono l’emblema), prive di qualsiasi capacità di iniziativa, in perenne attesa di un destino che non sono in alcun modo libere di scegliere. E una volta realizzato l’unico ruolo sociale davvero accettabile (diventare moglie e madre amorevole), guai a disobbedire al marito! In Barbablù la trasgressione della moglie viene punita con la morte.
E che dire del modello famigliare? Sempre e unicamente rappresentato dalla coppia genitoriale eterosessuale, nobilitato attraverso il rito del matrimonio, arricchito dalla presenza di figlie e figli, i quali devono necessariamente corrispondere alle aspettative dei genitori: essere dolce, remissiva e dedita alle faccende domestiche lei; mostrare intraprendenza, coraggio, virilità e onestà lui. Gabbie da cui, come si vede, non si salva nessuno, che sia maschio o femmina, anche se, certamente, in una gabbia più ampia delle quattro mura domestiche (quella, per intenderci, destinata agli uomini) si sta un po’ meglio.
Nell’ultima parte di Fiabe nella tradizione popolare: norme e trasgressioni di genere, l’autrice fornisce una serie di indicazioni e consigli per utilizzare le fiabe in maniera nuova, che sia liberante e davvero educativa, come il nuovo pensiero pedagogico e sociale finalmente richiede. Da qui parte anche una interessante analisi delle nuove forme di narrazione di storie, che attraversa la filmografia, il mondo degli albi illustrati e della graphic novel, apre a mille possibilità di lavoro con l’infanzia, diverse a seconda dell’età di riferimento. Un bel carosello creativo di idee e spunti operativi, oltre che teorici, da cui trarre materiale per chiunque, da genitore o da educatrice/educatore, intenda affrontare il meraviglioso tema delle differenze di genere.

Chiara De Carlo
Fiabe nella tradizione popolare: norme e trasgressioni di genere
Erickson, Trento, 2024
pp. 88
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Articolo di Chiara Baldini

Classe 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.
