LA PRINCIPESSA DELLE MATEMATICHE E DELLA FILOSOFIA

«O tè felice, a tanta gloria eletta
Della luce goder di sì gran Sole!
E in faccia all’emol tuo, che s’ange, e duole,
Mirarti unita alla Beltà perfetta.
Beltà, che d’ogni ben, che in se ricetta,
A tè sola donar tutt’ella vuole,
E di tante virtù sublimi, e sole
Il composto gentile a tè ne spetta!»

Faustina Pignatelli, principessa di Colubrano nacque a Napoli nel 1705. Era figlia di Michele, Duca di Tolve, e di Faustina Caracciolo, dei marchesi di Capriglia e Villamaina.
Non si hanno molte notizie né del tipo di educazione ricevuta, né dei suoi studi giovanili, che certo dovevano essere stati di livello molto elevato, perché la principessa è passata alla storia come una grande erudita. Probabilmente condivise con i fratelli le lezioni di istitutori privati, come era d’abitudine nelle nobili famiglie del tempo. Era versata in ogni materia, dalla filosofia alla letteratura, ma la sua grande passione furono la matematica e la fisica.
Le notizie biografiche certe hanno inizio dal momento delle sue nozze nel 1723 col Principe di Colubrano, il poeta Francesco Carafa al quale portò in dote il Ducato di Tolve.
Nei primi anni del loro matrimonio i due coniugi fondarono l’Accademia del Caprario nel feudo di Formicola, vicino a Capua, alla quale aderirono undici soci oltre agli stessi principi, che adottarono gli pseudonimi rispettivamente di Idasio il Principe e di pastorella del Caprario la Principessa. Francesco Carafa vi si dilettava a leggere le sue rime, in una delle quali cantava le nozze con Donna Faustina.

Si tratta di versi piuttosto convenzionali e, nonostante l’esaltazione della bellezza della sua sposa da parte del Principe, non fu certo un matrimonio felice: Francesco viveva una vita di eccessi e aveva un debole per cortigiane e prostitute.
Sappiamo che nel 1731 Faustina si rifugiò nel monastero di Regina Coeli, ove già si trovava la figlia Caterina, non si sa se per sua volontà o costretta dal marito. Col padre rimasero i figli maschi: Giuseppe, cavaliere gerosolimitano, Michele, che erediterà dal padre il titolo e i beni, e Diomede Casimiro, che seguirà la carriera ecclesiastica e, come la madre, sarà un grande erudito.
Nel monastero Faustina sarebbe rimasta fino al 1739 quando, gravemente ammalata, dovette lasciarlo per potersi curare.
Per costringere il principe a provvedere all’istruzione dei figli «abbandonati dal Principe padre nel detto feudo di Formicola, senza maestri, senza persone di servizio, ma in mezzo a quattro donnicciuole…» e a pagarle alimenti adeguati allo status, si rivolse in un primo tempo al viceré spagnolo e poi, dopo l’avvento della dinastia borbonica sul trono napoletano, direttamente al re Carlo I.
La principessa accusava il marito di continui atti di violenza e di averle trasmesso il “mal francese”, a causa delle sue frequentazioni con donne di malaffare.
Il principe, dal canto suo, negava ogni colpa e accusava la moglie di alterigia ed eccessivo senso di autonomia.
Il Re concluse che mancavano i presupposti per una riconciliazione e riconobbe le ragioni di donna Faustina, alla quale assegnò un congruo assegno di mantenimento e fece in modo che le fosse consentito di frequentare la corte.
Gli eventi storici degli anni seguenti contribuirono alla definitiva risoluzione della vertenza familiare dei Carafa: Francesco, che pure in passato aveva sostenuto il governo asburgico, prima di schierarsi con quello borbonico, lasciò Napoli per prendere parte alla spedizione antiaustriaca, ma fu accusato di cospirare a favore dell’Impero e imprigionato in Sant’Elmo dopo la battaglia di Velletri, dove morì nel 1746.
La vedova gli sopravvisse a lungo e dovette intraprendere una lunga battaglia per impedire che il suo feudo passasse al demanio, ma soprattutto poté dedicarsi ai suoi studi e al sostegno di giovani talenti in cerca di fortuna.
Faustina tornò a Napoli, dove riportò Palazzo Carafa ai vecchi splendori dopo anni di abbandono, facendone la sede di un salotto culturale che, oltre che da letterati e poeti, era frequentato da studiosi e scienziati che vi si incontravano per discutere e scambiarsi idee sui più attuali argomenti scientifici.

Francesco Maria Zanotti

Il filosofo Francesco Maria Zanotti, segretario dell’Accademia delle Scienze di Bologna dal 1723 e Presidente dal 1766, che soggiornò a palazzo Carafa durante un suo viaggio a Napoli avvenuto nel 1751, ebbe modo di apprezzarne l’elevato livello culturale e dimostrò in molte occasioni la sua ammirazione per la padrona di casa, che descrisse come «quella famosa, e gentile raccoglitrice di tutti i più nobili, e leggiadri ingegni, voglio dire la Signora Donna Faustina Pignatelli Principessa di Colobrano, delle cui lodi io non prenderei a dire, se non se quando mi avessi proposto di non parlar più di altro».

La principessa aveva frequentato le lezioni di Niccolò De Martino, titolare dell’unica cattedra di Matematica all’Università di Napoli, che era stata istituita dal Re Borbone nel 1732. A lei l’illustre matematico dedicò i suoi trattati sulle coniche, sull’algebra e sulla geometria analitica.
Era stato proprio Niccolò De Martino a introdurre a Napoli le teorie di Isaac Newton, che destarono l’interesse della principessa. All’epoca gli scienziati dibattevano accesamente su molte questioni, ma in modo particolare sulla natura della cosiddetta “forza viva”, che contrapponeva cartesiani e leibniziani. I primi sostenevano che la forza viva dovesse essere proporzionale alla velocità, mentre i seguaci di Leibniz indicavano che dovesse essere proporzionale al quadrato della velocità. Potremmo identificare le due grandezze rispettivamente con l’impulso e con l’energia cinetica.
In realtà si trattava di un equivoco dovuto alla non precisa definizione di ciò che i fisici del tempo consideravano come la capacità d’azione di un corpo in moto. Fu solo nel 1743 che D’Alembert, nel suo Traité de dynamique, chiarì definitivamente i termini della questione.

A questa disputa, Faustina diede il suo contributo con competenza e determinazione: intuì che le due posizioni potevano essere conciliate e assunse un ruolo di mediatrice tra cartesiani e leibniziani.
In una lettera inviata al presidente dell’Accademia delle Scienze di Bologna l’11 settembre del 1736 così scriveva: «Illustrissimo Sig. Mio Osservantissimo. Avendo mandato al Baron Blonce mio Amico in Castel una piccola scrittura, ove si faceva vedere il sofisma della prima dimostrazione data da Leibniz per determinare la quantità della forza motrice, egli si prese la licenza di farla inserire negli atti di Lipsia colla soluzione di tre problemi».
Si trattava di una nota apparsa sugli Acta eruditorum, nella quale la Principessa affermava correttamente: «quel principio dei Cartesiani riguarda l’elevazione dei pesi da farsi con moto equabile; né per alcun altro motivo è stato introdotto da Cartesio nella sua meccanica questo principio se non affinché, grazie a esso, egli potesse spiegare le forze delle macchine nelle quali tutte le cose sono condotte con un moto equabile. Dal momento che, dunque, nella dimostrazione leibniziana, questo principio cartesiano viene applicato anche agli spazi che devono essere percorsi con un moto ugualmente ritardato da ciò nasce l’errore».
Proprio il contributo dato alla discussione sulle forze vive le valse l’elezione a membro onorario dell’Accademia delle Scienze di Bologna, la seconda donna ad avere ricevuto questo riconoscimento dopo Laura Bassi.

Zanotti mantenne per tutta la vita con Pignatelli una dotta corrispondenza e ne fece la protagonista del suo libro Della forza dei corpi che chiamano viva, un dialogo immaginario fra i maggiori scienziati del suo tempo.
Il testo era ambientato nel salotto di Palazzo Carafa, i cui esponenti negavano il primato della metafisica sulla fisica, mentre l’autore si faceva interprete delle idee propugnate nell’ambiente bolognese, i cui esponenti, fedeli alla tradizione cartesiana e newtoniana, al contrario dei napoletani sostenevano il primato della metafisica sulla fisica, pur ritenendo anch’essi necessaria la netta separazione fra fisica e metafisica.
Il dialogo si concludeva con una frase attribuita a Faustina, che affermava che se è vero che i fisici «non si arrischiano di disputare [sulla natura] di quella virtù che muove i corpi», è altrettanto vero che i metafisici sono «più oscuri e si perdono dietro a quistioni inutili».

Palazzo Carafa

La Principessa ebbe stretti contatti con i più importanti esponenti della filosofia e della scienza del suo tempo: oltre a quelli già citati con l’Accademia delle Scienze di Bologna, mantenne una fitta corrispondenza con i maggiori esponenti dell’Illuminismo francese, come M.me du Chatelet, considerata una delle più brillanti menti della cultura del tempo, soprattutto nei campi della fisica e della matematica.
Voltaire, a proposito delle due intellettuali, scrisse che non avevano «un’opinione fondata […] non come le donne che di solito prendono le parti dei teologi, per debolezza, per gusto, e con una tenacia fondata sulla loro ignoranza, e spesso su quella del loro maestro; hanno scritto una e l’altra in matematiche ed entrambe con punti di vista nuovi».

Faustina Pignatelli morì nel 1875. Dopo la sua morte la residenza dei Carafa conobbe di nuovo una lenta decadenza: il secondogenito Michele, che aveva ereditato i beni di famiglia, vendette tutto ciò che restava dell’antico Palazzo.

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Articolo di Maria Grazia Vitale

Laureata in fisica, ha insegnato per oltre trent’anni nelle scuole superiori. Dal 2015 è dirigente scolastica. Dal 2008 è iscritta all’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF) e componente del gruppo di Storia della Fisica. Particolarmente interessata alla promozione della cultura scientifica, ritiene importanti le metodologie della didattica laboratoriale e del “problem solving” nell’insegnamento della fisica.

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