RICORDI DI SCUOLA MEDIA NEGLI ANNI SETTANTA

I miei ricordi del periodo della scuola media (o scuola secondaria inferiore, come è definita oggi), nella prima metà degli anni Settanta, sono molto contrastanti rispetto al mio divenire da bambina ad adolescente, per quanto relativo al mio genere.
Ricordo la libertà di giocare nel cortile e, oltre al cortile, nel campetto rionale di calcio che la domenica mattina veniva utilizzato per partite giocate da squadre locali e il resto della settimana era a nostra disposizione. E il marciapiede davanti casa dove potevamo disegnare sull’asfalto la campana. Fra quei bambini e quelle bambine c’erano quelli che poi sono diventati l’amica di sempre e l’amico di sempre per me e per mio fratello.
Non tutti i bambini e le bambine però avevano il permesso di scendere a giocare, infatti i genitori di parte di loro ritenevano che fosse disdicevole, soprattutto per le bambine. Che fortuna che i miei genitori non fossero tra quelli, ricordo la grande tristezza con cui ci guardavano le bambine che non avevano il permesso di fermarsi a giocare con noi e con le quali scambiavamo giusto due parole quando passavano con i genitori, ben vestite, per andare a passeggio, mentre noi indossavamo i vestiti da cortile, più vecchi, che eravamo libere di sporcare e anche di strappare quando cadevamo per terra mentre giocavamo a nascondino, alla bandierina, a mosca cieca e naturalmente a pallone… nel campo fuori, perché nel cortile era assolutamente vietato giocare a pallone.
Giocavamo insieme, maschi e femmine, e alcune bambine erano decisamente più veloci e più brave in tutti i giochi di alcuni dei bambini. Mi chiedevo a volte cosa facessero tutto il giorno in casa quelle bambine, a volte le vedevo dietro i vetri che ci guardavano, penso con un po’ di invidia.
Gli anni Settanta erano così, anni di grande cambiamento sociale, molte cose le capii dopo, ancora non avevo gli strumenti per comprendere il mondo e per collocarmici. In quegli anni praticavo anche lo judo. E poi c’erano le domeniche dell’Austerity. Potrà sembrare strano che la grande crisi energetica sia ricordata da me come qualcosa di meraviglioso, ma se non si era una bambina allora non si può capirlo. Mentre i nostri genitori erano preoccupati di questa terribile crisi mondiale noi godevamo della grande libertà che ci regalava. La domenica le strade si svuotavano ma, a differenza di quanto è successo con la pandemia, si riempivano di biciclette e di pattini a rotelle. Le tre corsie, che delimitavano il quartiere in cui abitavamo e che erano state il nostro confine nelle prime uscite senza genitori, e dunque il nostro limite, diventarono un grande spazio libero dove potevamo sfrecciare con biciclette e pattini, maschi e femmine!
Però, come dicevo, erano anni di grandi contraddizioni, dunque se nel contesto familiare e del tempo libero non sentivo di essere diversa in quanto donna, lo stesso non avveniva a scuola, alla scuola media, che iniziai nel novembre del 1973. Sì, a novembre, perché quello fu l’anno dell’epidemia di colera che comportò, in Puglia, Basilicata e Campania, l’inizio dell’anno in ritardo.
Alle scuole medie scoprii che esistevano differenze fra noi ragazze e i ragazzi. Intanto, frequentavo una classe tutta femminile. Nella mia scuola solo quell’anno erano state create le prime due sezioni miste, ma a me era toccata una sezione tutta femminile.
Il ricordo più brutto era l’odioso grembiule nero che dovevamo portare noi ragazze, mentre i maschi potevano vestirsi come desideravano. Non era più il grembiulino abbottonato dietro che portavano maschi e femmine alle elementari, e che perlomeno era blu con il fiocco rosso per tutti e tutte, ma un grembiule nero aperto davanti, che noi portavamo un po’ sbottanato per far intravedere una camicetta o che arricchivamo con un collettino di pizzo, per ingentilirlo.
Un altro ricordo di discriminazione era il fatto che i maschi potevano attendere il suono della prima campanella davanti a scuola (o nell’atrio, se pioveva) mentre noi ragazze dovevamo entrare subito in classe. Non doveva insomma esserci nessun contatto tra maschi e femmine, se non, nelle prime classi miste, solo in presenza delle insegnanti. Che terribile sensazione provavo nel non poter fermarmi davanti al cancello o nell’atrio, magari per scambiare due parole con le amiche e gli amici del “cortile”, mentre i maschi, tra loro, potevano farlo! Anche il mio fratellino che cominciò le medie quando io frequentavo la terza, era più libero di me, nonostante fosse affidato a me nel percorso da casa a scuola!
E poi c’era la materia Applicazioni tecniche, che era insegnata da professoresse alle ragazze (si facevano lavoro a maglia, punto a croce, cucito) e insegnata da professori ai ragazzi (si costruivano circuiti elettrici, oggetti in legno… cose insomma molto più interessanti secondo me!). Il piccolo passo avanti dell’eliminare l’insegnamento di Economia domestica era stato un cambiamento solo di nome. Buffo e triste pensarci ora che si investe tanto nei progetti Stem! La mia fortuna però era che i miei genitori, che mi crescevano libera da stereotipi di genere, mi acquistarono l’occorrente per realizzare a casa quei circuiti elettrici che tanto mi intrigavano.
Ricordo bene l’invidia che provavo per i maschi e la percezione chiara di una mia minore libertà. Per fortuna però i cambiamenti erano in atto e, con il passaggio al liceo scientifico, scomparvero grembiuli neri, classi solo maschili o solo femminili, materie differenziate, attese diversificate prima della campanella e cominciarono gli anni degli scioperi, delle occupazioni, del femminismo, della parità di genere, guidata sia dal desiderio di cambiamento delle donne che dalle leggi.
Scomparve anche dalla pagella la dicitura che mi aveva tanto colpita qualche anno prima: Firma del padre o di chi ne fa le veci, perché con il nuovo diritto di famiglia non esisteva più il padre capofamiglia.
Oltre quarant’anni dopo ci troviamo a riflettere su come i cambiamenti siano stati grandi ma accompagnati anche da tanti passi indietro a causa di nuovi stereotipi, nuove forme di sessismo e di discriminazione e l’esplosione della violenza contro le donne che mai avremmo immaginato alla fine degli anni Settanta.

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Articolo di Donatella Caione 

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Editrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.

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