Carissime lettrici e carissimi lettori,
erano prove d’amore, sono diventate testimonianze di odio che lasciano scie di sangue e di dolore. Raccontiamo oggi le storie di ragazzine. Le vite spezzate di giovanissime donne, quasi ancora bambine, uccise da maschi, loro coetanei. Storie di morte, volute da mani troppo giovani per uccidere. Delitti, esecuzioni, spesso premeditate, per non avere capito bene che vuole dire il concetto del rispetto dell’altra. Prove di possesso scambiate per un amore sbagliato. Stavolta alle prime esperienze, quelle che la vita dovrebbe concederti in prova per imparare a vivere, appunto e non per morire senza aver mai vissuto, o quasi.
Aurora Tili aveva 13 anni quando, il 25 ottobre scorso, è volata giù dal terrazzino di casa, spinta dalle mani della sua prima prova sentimentale. Lui di anni ne ha appena quindici.
Aurora è un nome affascinante, radioso, che rimanda a quella parte iniziale del mattino in cui la luce del sole, che si mostra ancora timida, si fa strada sul buio notturno. Precede l’arrivo del sole, a oriente.
Lui non era proprio un “bravo ragazzo”. A Gossolengo, un paesino fuori Piacenza, lo conoscevano come un adolescente problematico ed eccessivamente impulsivo. Aveva dato fuoco a una roulotte, aveva rapinato un anziano in un bar e compiuto una miriade di atti di bullismo. Dunque, stavolta né i benpensanti del posto né la stampa possono mostrarsi sorpresi per quello che è accaduto: non è un lampo a ciel sereno, ma un comportamento malato di un adolescente che ha dato segni negativi di sé, su cui riflettere. I giornali, soprattutto quelli locali, hanno scritto che nella famiglia di Aurora da subito sono stati convinti che si è trattato di un femminicidio: «Sua madre, Morena, e sua sorella, Viktoria, hanno prodotto diverse prove del rapporto di sopraffazione e prepotenza a cui sottometteva la giovane. In più episodi le aveva messo le mani addosso. La maltrattava e la perseguitava, nonostante lei avesse chiaramente cercato di troncare il rapporto». E qui sta il punto, cruciale in questa storia e in tutte quelle che racconteremo qui, di giovani vite spezzate da un ragazzo. Una storia che ne muove anche altre, non solo con attori giovanissimi, ma di ogni età. Un filo che certi tipi di maschi non vogliono che si rompa, perché, lo ripeteremo fino all’impossibile, si sentono possessori di quel filo, che è poi la vita di una donna, di una persona nel diritto di amministrare sé stessa.
Sara Centelleghe è di qualche anno più grande di Aurora. Ma la sua storia finisce ugualmente nella violenza e nel sangue per mano di un poco più che adolescente: 30 fendenti di forbice senza che ancora se ne conosca il perché. A infliggerglieli, fino alla morte (ma si è parlato anche di strangolamento) è stato un ragazzo di origine indiana, Jashan Deep Badhan, che ha praticamente la sua stessa età. Badhan ha 19 anni e fa l’elettricista a Costa Volpino, in provincia di Bergamo. È un vicino di casa di Sara, la vede sempre dalla finestra. Dopo l’arresto dirà confuso (lo ricoverano infatti all’ospedale Giovanni XIII, che ci è tristemente noto per i casi numerosissimi di Covid) di non sapere il perché di ciò che ha fatto. Sara ha agonizzato tra il corridoio di casa e il pianerottolo e la ragazzina che quella notte doveva dormire con lei (avevano studiato e cenato insieme) l’ha trovata in una pozza di sangue dopo essere uscita, chiamata al cellulare dallo stesso Deep che la diciassettenne non incontrerà, non incrociandolo tra scale e ascensore. Forse era lei che il giovane elettricista cercava?
Tra le giovanissime donne uccise da ragazzi coetanei arriviamo a lei, a Giulia Cecchettin, la più “anziana” tra le vittime citate (non uniche, ma solo ultime) uccisa in una notte di novembre, solo un anno fa, per mano di un coetaneo. Da Giulia si pensava di partire per uno stop definitivo, auspicabile, ai femminicidi. Ci sembrava che “facendo rumore”, anche con le chiavi di casa, svegliassimo dal torpore una società che si è “abituata” alla violenza sul corpo delle donne. Giulia era una ragazza di 22 anni e stava per laurearsi in Ingegneria. Il ragazzo che l’ha uccisa, e ha ammesso la premeditazione, era di poco più giovane di lei. L’ha uccisa perché Giulia aveva deciso di lasciarlo e …di laurearsi non dando retta alle richieste assurde di Filippo Turetta e non ascoltare la richiesta di laurearsi solo dopo di lui. Assurdità e ossessiva supremazia maschilista.
Le storie potrebbero continuare e preoccupano e avviliscono. Aveva, per esempio, solo 17 anni il presunto assassino della quarantaduenne conosciuta on line. Erano tutti sedicenni gli assassini di Thomas Christofer Luciani (questa volta la vittima è un uomo) per i quali i magistrati hanno detto che il loro unico intento era «uccidere e causare sofferenza». Le cronache ricordano anche che aveva 16 anni il baby killer di Giovan Battista Cutolo, Giogiò, ammazzato senza motivo. «La vita desacralizzata, la morte ridotta a evento banale. E nessuna riflessione sulle conseguenze. Come se anche il gesto più atroce fosse rimediabile. Come in un film». La psicologa Anna Oliverio Ferraris rimprovera Roberto Saviano quando dice che «i giovani vanno informati sul corredo di violenze della mafia. Perché insistere? — commenta — Sanno già tutto: che il cattivo ha la meglio, che si diventa un grande boss ammazzando. L’eroe negativo eccita e porta a identificarsi. A quell’età si lasciano attraversare dalle immagini forti e non tutti hanno accanto un adulto in grado di spiegare».
Ma torniamo ai rapporti tra ragazzi e ragazze, tra maschi e femmine. Interviene ancora uno psicologo e psicoterapeuta, Ivan Giacomo Pezzotta, che si occupa di mascolinità e di interventi con uomini responsabili di violenze ed è autore di un libro che affronta proprio questo tema, Era una brava persona (Il Margine), scritto a più mani, con Emanuele Corn, dottore di ricerca in Diritto Penale, e Leandro Malgesini, sociologo. Pezzotta dice: «Fortunatamente, a differenza che in passato, oggi non è più considerato legale né accettabile uccidere le donne. Il problema è che gli schemi culturali di un secolo fa, però, sono cambiati poco, e quindi il divario tra i valori e il funzionamento della società si è ampliato. La violenza contro le donne è espressione di un fenomeno sociale che esiste ancora: i responsabili non possono essere considerate schegge impazzite, ma uomini che non riescono a inibire un comportamento che permane nella società. Di fatto, praticamente a tutti gli uomini, nella loro vita, è successo di fare commenti che oggettivizzano le donne, ma se alcuni riescono a evolvere, altri — emotivamente o socialmente più poveri o con meno risorse empatiche e minori capacità di riflettere su di sé — fanno più fatica a controllarsi».
Le statistiche, le inchieste condotte sugli atteggiamenti degli adolescenti ci parlano più direttamente di loro e ci mostrano le vie per una comprensione di un fenomeno che ci lascia dentro orrore, proprio per la giovanissima età di chi ne è implicato. Questo sia nella realtà che nel virtuale dei social.
Il Movimento Giovani (legato a Save the Children) ha coinvolto in un questionario quasi 1.000 ragazzi e ragazze tra i 14 e i 25 anni in Italia, 2 adolescenti su 5 si sono detti a conoscenza di casi di violenza on-line nelle relazioni di coppia. Tra i comportamenti più frequenti vengono citati: il controllo degli spostamenti, i contatti e amicizie del/della partner, le violazioni della privacy, gli atteggiamenti sessuali aggressivi. Il 42,2% del totale dei partecipanti riferisce di avere avuto un’amica/o che ha vissuto una qualche forma di violenza on-line nella relazione, soprattutto rispetto alla sfera del controllo personale. Tra i comportamenti ritenuti più frequenti ci sono: la creazione di un profilo social fake per controllare il/la partner (73,4%), le telefonate/invio di messaggi insistenti per sapere dove si trova e con chi è (62,5%), il controllo degli spostamenti e delle persone con cui si trova (57%), impedire al/alla partner di accettare delle persone tra le amicizie sui social (56,2%), fare pressioni affinché il/la partner invii sue foto sessualmente esplicite (55,1%) o minacciare la diffusione di informazioni, foto o video imbarazzanti (40,6%). Sono queste forme di violenza che colpiscono soprattutto le ragazze.In un sondaggio fatto dall’Ipsos, nel 2020, il 18% degli intervistati ha assistito a un episodio in cui un’amica è stata vittima di una forma di violenza e il 39% dei ragazzi e delle ragazze in Italia sono esposti a contenuti online che giustificano la violenza contro le donne. Tra le ragazze il 41% ha visto postare dai propri contatti social contenuti che l’hanno fatta sentire offesa e/o umiliata come donna”.
Riguardo alla violenza di genere interviene anche la scrittrice e giornalista Concita De Gregorio: «Non è vero che è importata da altri paesi del mondo, da culture maschiliste padronali patriarcali e retrograde. Non solo, di certo. Ci basta la nostra, di società, a generare la quotidiana tragedia: uomini che uccidono donne libere, che provano ad esserlo. Dunque, c’è da chiedersi da dove ripartire, come proseguire a spiegare, dire, se necessario gridare, educare i giovani uomini, i bambini al rispetto, alla cura. Direi all’amore: che cos’è l’amore. Se non basta la scuola, se non basta la famiglia, se non bastano milioni di parole, campagne, foto, video, manifesti, film, serie tv. Ci vorranno ancora molti anni, un lavoro capillare, un lavoro soprattutto di censura sociale di uomini su altri uomini: deve diventare un tabù, qualcosa di indicibile, di spaventoso. Come fosse cannibalismo, qualcosa di inammissibile. C’è una straordinaria poeta messicana — continua De Gregorio —, Susana Chaves Castillo, uccisa a 36 anni a Ciudad Juarez. Uccisa e mutilata per punirla della sua tracotante pretesa di essere libera, sola e per giunta scrittrice. Ni una más, non una di più, lo slogan del movimento di ribellione mondiale nasce dai suoi versi. Li conosco bene perché li ho tradotti, è stato un lavoro lungo anni. È appena uscito il suo libro, Prima tempesta. Ci ho trovato la radice di tanti dei pensieri diffusi così difficili da estirpare. Qualcosa ho capito. Ancora non tutto, certo. Qualcosa. E comunque: andare avanti, non arrendersi».
A propositi di poeti, di grandi individui del pensiero, proprio oggi che si celebrano gli e le indimenticabili persone che non sono più qui con noi, ricordiamo Pier Paolo Pasolini, ucciso e ingannato in questo inizio di novembre (con la faccenda, diventata un’esca, delle bobine del film Salò, opera per me irripetibile e stupenda), nel più pasoliniano degli scenari come ci ha ricordato l’altra sera Aldo Cazzullo nella sua Giornata particolare: l’idroscalo di Ostia in notturno. Il prossimo anno ricorderemo i cinquanta anni esatti da quella tragica notte, una domenica, tra il 1 e il 2 novembre (il giorno dei morti) del 1975. P.P.Pasolini ricorda la donna per eccellenza della sua vita: sua madre.
Susana Chavez Castillo la poeta del No una màs, il 5 novembre avrebbe festeggiato i suoi 50 anni. Era nata nel 1974, il 5 novembre, a Ciudad Juàres, la città dove è morta, uccisa da un mondo crudele maschilista. A undici anni era diventata una poeta già conosciuta nella sua città, partecipando a letture e festival letterari. Nel suo blog, Primiera Tormenta, dove scrive anche dei suoi studi universitari di psicologia presso l’Universidad Autonoma de Ciudad Juárez, pubblica le sue poesie, che non riusciranno a vedere la luce prima della sua morte. (L’enciclopedia delle donne)
Supplica a mia madre
È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
(Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di Rosa, Garzanti)
Una delle poesie più famose di Susana Chavas Castillo, Donna ascia, ci lascia una immagine limpida, chiara, di una donna che lotta:
Mujer intante,
hacha
que arrastras,
que cortas lenguas esparciéndolas
en la mano de Dios que se retuerce de risa contigo.
Fugitiva de tu captura saldré
sabiendo perfectamente
que eres invencibile.
Donna istante, /ascia/ che trascini, / che tagli lingue e le spargi/ nella mano di Dio che si contorce dalle risate con te./ Fuggitiva della tua cattura andrò via/sapendo perfettamente/ che sei invincibile.
Buona lettura a tutte e a tutti.
Sono due le donne di Calendaria 2024 che conosceremo in questo numero di inizio novembre, con gli articoli Betty Jackson King, insegnante, pianista e compositrice americana e June Carter. Because you’re mine, I walk the line, due storie bellissime, da assaporare lentamente. La seconda, in particolare, è anche una bellissima storia d’amore tra due musicisti. Restiamo tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra per leggere la storia di Frances Hodgson Burnett. Racconti per risanare il passato e per riflettere sul perché scriviamo: «forse per risanare la ferita originaria, per colmare i nostri vuoti o per scoprirci attraverso le nostre parole, alle volte per una combinazione delle tre ragioni» come scrive una nostra autrice.
Dalle arti maggiori passiamo a quelle a cui ingiustamente è stata attribuita minore importanza, con la prima delle relazioni dal 13° Convegno nazionale di Toponomastica femminile di Francavilla Fontana e Mesagne: La presenza femminile nelle arti minori. Di un altro Convegno, tenuto a Caserta e organizzato dalla Rete per la parità e dalle Giuriste 5.0 per i diritti umani raccontiamo in Maria Rita Saulle, la donna a cui intitolerei una via in ogni città, una figura femminile poliedrica che tutti e tutte dovrebbero conoscere.
Dalle questioni giuridiche, di cui Saulle era Maestra, passiamo alla scienza dei numeri, con Corinna Ulcigrai, una matematica giramondo eccellenza italiana.
Per la sezione “Arti visive”, Donna in gabbia, metafora dell’inaccessibilità è il report della ventesima Giornata del contemporaneo di Amaci (Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani), celebrata con ingresso gratuito, presso Palazzo de’ Rossi a Pistoia, sede delle Collezioni del Novecento. Arte visiva è anche quella raccontata dall’autrice dell’articolo Il potere della fotografia femminile del Novecento, nella bella recensione del libro di Silvia Mazzuchelli Sguardi penetranti e obliqui. Venti Fotografe Per un album di famiglia del Novecento, presentato al Festival della Fotografia Etica di Lodi. Anni ’50, provincia di Napoli è il racconto della serie “Flash-back,” il nostro Laboratorio di scrittura creativa.
Di maternità nelle sue diverse forme trattano due approfondimenti di questa settimana: «Noi siamo madri e sorelle le une delle altre». Dives in Misericordia, il racconto di un’esperienza comunitaria di fede attraverso gli occhi di un’appassionata di fantascienza e Sono figlia di un privilegio, che riflette sulla Gpa.
Il linguaggio veicola il pensiero ed è un mezzo potente per cambiare il mondo. Ne scrive l’autrice di Suona male? Il problema non è linguistico, che presenta la sua tesi dal titolo Nomi di mestiere: sessismo linguistico tra diacronia e sincronia.
Come sempre a inizio mese presentiamo le attività, tante e tutte interessanti, che hanno visto protagonista la nostra associazione, con L’Ottobre di Toponomastica femminile.
Chiudiamo con una nota leggera e gustosa, la ricetta vegana di questa settimana: La focaccia barese, piatto tipico della Puglia, dalla storia antica, augurando a tutte e tutti Buon appetito.
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
