«C’era una volta un’isola a forma di piede e un paese pieno di pietre.
Nell’isola c’era molto vento, volavano i vestiti e si muovevano le foglie degli alberi.
Un pastore guardava il cielo, disegnava, seguiva le nuvole. Andava a camminare e seguiva la sua capretta. A un certo punto la capretta si era persa e il pastore la cercava seguendo le sue impronte.
Camminando, camminando arrivarono a una grotta buia. Nella grotta trovarono un tesoro: pietre preziose, diamanti e collane. Una voce disse “pastorello prendi un oggetto, è tuo!”.
Il pastore prese una campanella d’argento e la mise al collo della capretta, in questo modo poteva guardare il cielo e disegnare. Se la capretta si allontanava, la sentiva con il suono della campanella.
Un giorno la capretta si allontanò troppo e perse la campanella. Il pastore la ritrovò e le mise la campanella al collo.
Nacque una musica».
Con questo breve racconto, intitolato La capretta e il pastore, gli alunni e le alunne della Scuola dell’infanzia Via Monte Spada IC Quartuccio (Cagliari) reinterpretano, con proprie parole, Il campanellino d’argento, opera postuma di Maria Lai.
È all’artista tessile che i bambini e le bambine dedicano il progetto da loro realizzato nell’ambito della sezione B-Percorsi dell’XI edizione del concorso Sulle vie della parità, alla cui premiazione, tenutasi il 19 aprile presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, la scuola è stata insignita del primo premio «per il lavoro variegato e originale che ha coinvolto, con metodo attivo, cooperativo e inclusivo», e attraverso i molti campi di esperienza, gli allievi e le allieve.


Come in uno dei più bei telai, pani o libri cuciti dell’“artista bambina”, così chiamata per la sua capacità di giocare con l’arte, la leggenda sarda del pastorello e della capretta è il filo che, in un ordito più complesso e intricato, unisce passato e futuro, terra e popolo.
Dalla narrazione di Salvatore Cambosu, prima docente presso il Regio istituto magistrale Eleonora D’Arborea e poi amico di Lai, la favola attraversa le generazioni, assumendo, a partire dalla rielaborazione della tessitrice, un finale nuovo, alternativo rispetto a quello tradizionale, che diventa «metafora della condizione dell’artista e della nascita dell’arte». Giungendo fino agli uomini e alle donne di domani, il racconto è parte costitutiva di una tradizione genealogica e territoriale che i bambini e le bambine rivendicano con orgoglio, dandogli nuova linfa, e radice di una quercia di sughero (pianta molto diffusa in Sardegna) di cui io immagino essi/esse siano le fronde, Li bucadori che si impegneranno a farla proliferare e crescere.
Di quel racconto che è radicamento, le classi ne elaborano, attraverso le fotografie e le opere di Maria Lai, un «gioco drammatico e simbolico, travestimento e interpretazione libera» che si manifesta nella scelta condivisa di narrare il pastorello con movimenti ed espressioni corporee di una bambina e di far interpretare la donna da un bambino.
Oltre l’immedesimazione, Il campanellino d’argento fornisce anche ispirazione per cimentarsi in una attività sonora e uditiva in cui è il tintinnio del campanello la bussola, ma anche il filo di lana, che tiene insieme la capretta e il pastore. Solo con il silenzio, l’ascolto e l’attenzione l’umano (incarnato alternativamente da un maschio o da una femmina), potrà, o meno, riuscire a seguire l’animale (personificato anch’esso da un/una studente). Ma semmai il suono sarà assente, o faticheremo a percepirlo, non dobbiamo disperare: le tracce che ci circondano o il richiamo di chi siamo indicheranno la via per raggiungere la meta, materiale o astratta che sia, come ci ricorda il gioco “alla ricerca della capretta” ideato dalle docenti referenti, Myriam Perseo e Maria Pilosu.
«Mi chiedo: cosa vuol dire cucire?
Un ago entra ed esce da qualcosa lasciandosi dietro un filo segno del suo cammino che unisce luoghi e intenzioni.
Le cose unite restano integralmente quelle che erano, solo attraversate da un filo.
Più che saldare e incollare, che portano insieme estraneità, il filo unisce come si unisce guardando o parlando. Niente è fisicamente trasformato. Le cose unite restano integralmente quelle che erano. Solo attraversate da un filo. Traccia di intenzioni. Raggio laser. Nota assoluta. Percorso del pensiero. Un bussare alla porta, entrare. Esplorazione non presa di possesso. Perché il filo si può tagliare, sfilare e tutto. Luoghi e tracce del pensiero tornano intatti. Affidati alla memoria.
Che è altro filo, altro cucire».
(Maria Lai)

Con i loro fili colorati, intrecciati e sovrapposti, raggomitolati e liberi in uno dei loro due estremi, i bambini e le bambine hanno creato dei telai che li uniscono (e li uniranno) nel ricordo di ciò che è stato realizzato e negli intenti che sono stati condivisi.
E in quelle fibre di tessuto, dalle molteplici tinte e dai mutevoli percorsi, si materializzano, simbolicamente, le vite di ognuno/a di loro: il punto di partenza comune e lo sviluppo ignoto di un filo che potrà tessere, liberamente, la propria trama.
Nell’ottica di unire, con il significato di conoscere da dove si viene senza dimenticare le infinite possibilità su dove si può andare e la certezza di poter tornare, gli/le studenti hanno dipinto d’argento dei bicchierini affinché «possano diventare tanti campanellini d’argento da far suonare simbolicamente nelle case di ognuna/o di noi, creare legami, unirci, far nascere una musica comune».
Dal cancello della scuola alle porte di ciascuna abitazione, i campanelli risuonano idealmente, costruendo un filo allegorico che unisce tutti/e.



Le forme di quelle case sono poi state stilizzate su cartoncino e unite, ora concretamente, attraverso un filo celeste.
Ispirandosi all’opera relazionale di Maria Lai Legarsi alla montagna, «un’operazione corale ispirata a un’antica leggenda che ha visto la partecipazione di tutta la popolazione di Ulassai, impegnata a legare, attraverso un lunghissimo nastro blu, le case del paese tra loro e queste ultime alla montagna», le classi hanno realizzato Tessere legami, un itinerario locale in cui sono indicati alcuni luoghi di Quartuccio «in cui la musica del campanellino si diffonde» (la mappa è consultabile attraverso il seguente link: https://earth.google.com/web/data=MkEKPwo9CiExZmgtQnVzTUgxWmpPSmE3TEtHX0tzdHVsM1hTVE9xci0SFgoUMEYzMzUwMzgzNTJGN0M3Qjc2MzUgAUICCABKCAjbyq7NBhAB).
Il progetto si è concluso con la proposta di intitolazione a Lai dello spazio multifunzionale dedicato alle attività laboratoriali e condivise artistico-musicali-drammatiche e con la progettazione dell’Incontro-laboratorio, Storie storte. Parole che aprono, parole che chiudono, in collaborazione con la dott.ssa Francesca Fadda e l’Associazione Minuscola che si è tenuta nella scuola dell’infanzia di via Monte Spada il 27 marzo 2024.
Ritenendo fondamentale educare, fin dai primi anni di frequenza della scuola, alla parità, e favorire la «maturazione dell’identità, la conquista dell’autonomia, lo sviluppo delle competenze e l’acquisizione delle prime forme di cittadinanza, attraverso azioni collaborative e trasformative fondate sul gioco, la sperimentazione, la scoperta, il percorso si è intersecato con il progetto annuale del plesso, Siamo tutt* conness*, Percorsi per coltivare relazioni, scoprire legami e interconnessioni, costruire comunità fra Io e l’Altro, fra Noi e il Mondo, un più ampio percorso sull’orientamento che favorisce nelle bambine e nei bambini la comprensione dei propri desideri autentici, aiuta a costruire la propria identità personale e sociale, creando occasioni di crescita per ciascuna/o di loro».
Nato dal femminile, il progetto sembra evocare, implicitamente, il materno e il venire al mondo: quei fili che legano senza trattenere, intricati ma liberi di seguire il proprio corso, sono cordoni ombelicali che hanno unito in un unicum e che sono stati poi recisi per dar vita a due; il punto di cucitura è la cicatrice ombelicale che ci ricorda a chi, seppur autonomi/e, siamo appartenute/i e apparteniamo.
I campanellini voci materne che, se smarriti/e o incerti/e, ci rammentano che c’è stato e c’è un posto sicuro, prima grembo e ora mura.
Articolo di Sveva Fattori

Diplomata al liceo linguistico sperimentale, dopo aver vissuto mesi in Spagna, ha proseguito gli studi laureandosi in Lettere moderne presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza con una tesi dal titolo La violenza contro le donne come lesione dei diritti umani. Attualmente frequenta, presso la stessa Università, il corso di laurea magistrale Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione.
