Lei è medico

Mamma avrebbe voluto studiare, ma è cresciuta in un periodo turbolento. C’era la guerra, i soldi non erano sufficienti e poi «alle donne studiare non serviva». Con noi figlie ha avuto da subito le idee chiare; ha fatto tanti sacrifici, assieme a papà, ed è riuscita a raggiungere il sospirato obiettivo: io e mia sorella ci siamo diplomate. Il nostro diploma era un suo traguardo. Attraverso di noi aveva realizzato il suo sogno e se ne vantava con tutti/e.
Siccome avevamo studiato per ogni decisione da prendere o scelta importante da effettuare consultava prima le figlie: «Perché loro hanno studiato» spiegava a mio padre perplesso. Era convinta che lo studio ci avesse preparate a risolvere qualsiasi grana sia di natura bancaria, notarile che, soprattutto, di salute.
Mamma era moderatamente ipocondriaca, ci aggiornava quotidianamente con la telecronaca, in diretta o in differita, dei suoi malesseri. Aveva difficoltà a gestire anche il più banale raffreddore e stava ben lontana da tutti i portatori di sintomi manifesti di malattia col terrore del contagio. Però tra un lamento e l’altro, sembra assurdo, mia madre era una delle persone più divertenti con cui avevo a che fare. Esordiva con espressioni senza senso che spaziavano tra lo humour inglese ed il grottesco siciliano. Amava giocare con le parole le trasformava, ne sviliva il significato e le usava coscientemente sbagliate.
Lei non andava a fare la spesa al Carrefour, lei andava a farla al Carro Funebre; lei non comprava la carta igienica, lei comprava la carta angelica; io non soffrivo di eritema, ma d’eremita. Mi divertiva chiacchierare con lei e l’assecondavo storpiando a mia volta parole il cui senso però lei afferrava facilmente, divertendosi a sua volta. Troppo spesso, purtroppo, si ricordava di riprendere il lamentìo e l’argomento di discussione tornava ossessivamente ad essere il suo stato di salute. Era anche diffidente verso le medicine e, di quelle poche che prendeva, accusava tutti gli effetti collaterali descritti nel bugiardino.
Sempre con l’orgoglio in petto di essere madre di sapienti figlie diplomate, aveva deciso di affidare a noi le sue cure invece che al medico. Avevamo studiato e quindi ne ‘capivamo’. Là dove mio padre si arrendeva, non so come, io riuscivo a convincerla ad ingoiare i farmaci che il buon medico le prescriveva. La mia strategia era semplicissima e riassunta nella frase: «Prendine metà dose, se non ti fa male prendi il resto».
Fu divertente quella volta che si beccò l’influenza. Il terrore della malattia la faceva correre avanti e indietro per casa, ansiosa e gemebonda: «Stavolta non ce la faccio, ho la febbre e non respiro più» mi disse al telefono. Alla decima, angosciosa, disperata telefonata le suggerii: «Ma perché non chiami il medico». «Vabbè» mi concesse arrendevole «Ma vieni anche tu, Quello è nuovo, giovane e capisce poco. Voglio che anche tu ascolti la sentenza e cosa mi prescrive». «Ok» le risposi rassegnata. «Arrivo, così lo conosco anche io». Aveva appena sostituito il medico di base e Quello già mi faceva tenerezza.
Mentre entravo a casa di mia madre sentivo dall’ingresso il medico che in camera da letto, pazientemente, le spiegava che si trattava di un banale “colpo d’aria” e le sarebbe bastato assumere il paracetamolo per stare meglio. Mia madre, poco convinta, sentendomi entrare, gli controbatté minacciosa e a bruciapelo: «Ok, ora qui c’è mia figlia, ne parliamo con lei e poi decidiamo cosa fare». Il medico, alquanto sorpreso, abbastanza perplesso e piuttosto imbarazzato le chiese: «ma perché sua figlia è medico?» «No è ragioniera» gli dichiarò sfidandolo con fierezza e serafica insolenza. Col fare da marchesa del Grillo, il senso era: «Mia figlia è mia figlia, ha studiato, e tu non sei un c****». Quanta vergogna in quei due secondi, e quanto ho riso «quella volta».

Sono passati tanti anni, a volte incrocio Quello e mi viene ancora da ridere. Credo che anche lui ricordi l’episodio con simpatia, almeno spero.

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Articolo di Luciana Scaglione

Direttrice amministrativa presso l’IIS Benini di Melegnano, ha sempre rifiutato l’idea di essere una mera esecutrice del bilancio scolastico, ritenendosi piuttosto una creativa prestata alla contabilità. Oramai in pensione, ha potuto dare una chance alla sua fantasia dedicandosi alla scrittura di brevi e ironici racconti ispirati a fatti della sua vita.

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