Sirene omeriche a Tropea

Calipso, Circe, Nausicaa, Scilla, Cariddi e le Sirene. Queste sono alcune delle figure femminili incontrate da Ulisse durante il suo lungo viaggio di ritorno verso Itaca. In comune, oltre a far parte del racconto omerico e della mitologia, hanno l’essere donne e spesso un’insita natura ferina, pericolosa, manipolatoria nei confronti dell’uomo. Molti studi hanno cercato di collocarle in un luogo geografico realmente esistente e riconoscibile, ricostruendo il viaggio dell’eroe.
Partiamo da Calipso che, innamoratasi di Ulisse, lo trattenne prigioniero per 7 anni nella sua terra, l’isola di Ogigia, che oggi conosciamo come Gozo, situata nei pressi di Malta, per poi passare a Circe, la maga più famosa della mitologia greca, che si dice abitasse nell’isola di Enea, tradizionalmente collocata nei pressi del promontorio del Circeo, nel Lazio, dove l’eroe rimase per circa un anno. Sarà la bellissima Nausicaa, figlia di Alcinoo, re dei Feaci, a fornire una nave a Ulisse per ripartire verso Itaca, dopo essere naufragato sulle spiagge di quella che attualmente chiamiamo Corfù.
Veniamo ai veri e propri mostri, Scilla e Cariddi: Scilla, prima di essere tramutata da Circe in una creatura degli abissi, era una ninfa dalla bellezza sconvolgente, vittima proprio dell’invidia della maga. Cariddi, figlia di Poseidone e Gea, fu punita per aver rubato a Eracle i buoi di Gerione, mangiandone alcuni; Zeus la trasformò in un gigantesco mostro che formava un vortice marino con le sue voraci fauci, capace di inghiottire navi intere. Si dice Scilla e Cariddi infestassero le acque dello stretto di Messina, affondando qualsiasi nave vi si addentrasse. Oggi, la cittadina di Scilla è una meta turistica molto frequentata in Calabria.

John William Waterhouse, Ulisse e le sirene, 1891

E le Sirene? Le sirene come le immaginiamo oggi, dal corpo pisciforme e il busto di donna, provenienti da Paesi del nord Europa, sono un’invenzione relativamente recente. Secondo alcuni miti, erano ancelle di Poseidone, incaricate di proteggere Persefone, figlia di Demetra e Zeus. Quando non riuscirono a salvare Persefone dal ratto di Ade, Demetra le punì tramutandole in esseri dal volto umano e dal corpo di uccello, condannandole a infestare lo stretto di Messina. Per Ovidio, sarebbero state addirittura le stesse sirene a chiedere agli dei di essere tramutate e dotate di ali per poter andare alla ricerca di Persefone anche sul mare. In altri miti, queste nacquero dal sangue del dio fluviale Acheloo, dopo aver combattuto contro Eracle. L’eroe gli strappò un corno, dal quale caddero tre gocce, che generarono tre sirene: Partenope, Leucosia e Ligea. Dai loro corpi trascinati dalle correnti, secondo alcuni miti, nacquero delle località: Napoli, l’isola di Licosa e Terina, sulle coste calabresi.

Illustrazione del viaggio di Ulisse

Dove si trovasse il loro nido è l’argomento su cui questo articolo vuole concentrarsi: alcuni miti lo collocano nello stretto di Messina, altri in Campania, a Capri o Ischia, o anche sull’Etna, vicino Catania, Capo Posidonio a Terina, nelle Eolie, vicino Vulcano, dove uno scoglio è chiamato “delle sirene”. Ma, secondo alcuni recenti studi, potrebbe trovarsi a Tropea, sulle coste calabresi. La speculazione parte proprio dal racconto di Omero, che ci porta a supporre che l’isola delle sirene non sia molto lontano dal luogo in cui la nave di Ulisse incontra Scilla e Cariddi. Non vengono menzionati diversi giorni di viaggio o ulteriori ostacoli da superare, come teoricamente sarebbe stato se le sirene si fossero effettivamente trovate sulla costiera amalfitana o sulle rive del Lazio. La vicinanza fisica dunque tra Scilla e Tropea sarebbe un primo elemento a suggerire la veridicità di questa supposizione.
Nei versi di Apollonio Rodio, che nelle sue Argonautiche (IV 891-919) racconta il viaggio di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del Vello d’Oro, troviamo una descrizione dettagliata di queste creature e dell’ambiente in cui si trovano. Giasone le incontrò dopo essere stato in Colchide, la leggendaria patria di Medea, situata sull’estremità orientale del Ponto Eusino, odierno Mar Nero. I marinai riuscirono a salvarsi grazie a Orfeo, che cominciò a suonare la lira così dolcemente da distrarli dal canto delle sirene, che si fermarono a loro volta per ascoltarlo. Omero non descrisse direttamente la fisicità delle creature marine, dando probabilmente per scontato che chi ascoltava o leggeva ne fosse già a conoscenza grazie al racconto di Apollonio.

«La brezza favorevole spingeva la nave, e ben presto avvistarono
la splendida Antemoessa, isola in cui le canore sirene,
figlie dell’Acheloo, annientavano chiunque
vi approdasse, ammaliandolo coi loro dolci canti.
La bella Tersicore, una delle Muse, le aveva generate
dopo essersi unita all’Acheloo; un tempo erano ancelle
della potente figlia di Deò, quando ancora era vergine,
e cantavano insieme con lei: ma ora apparivano in parte
simili a fanciulle nel corpo e in parte ad uccelli.
Sempre appostate su una rupe munita di buoni approdi,
avevano privato moltissimi uomini della gioia del ritorno,
consumandoli nello struggimento […]».
(Apollonio Rodio, Argonautiche IV, 890-901. Traduzione di Alberto Borgogno. Milano, Mondadori, 2007, pag.277).
Apollonio riprende il mito secondo il quale le sirene sarebbero figlie di Acheloo, generate dal suo sangue. Nei versi qui riportati sentiamo denominare l’isola delle sirene “Antemoessa”, che tradotto letteralmente significherebbe l’isola Fiorita.

Ulisse sfugge alle esche delle sirene, xilografia, pubblicato nel 1881
Berotti, Tropea in prospettiva. Stampa del 1795
P. Antonio Minasi, prospetti della città di Tropea incisi intorno al 1777

Le sirene sono collocate su un’isola, come l’isolotto antistante Tropea, e stazionano al di sopra di un porto, compatibile con lo scoglio di San Leonardo, in quanto esso proteggeva l’approdo antico e protegge tuttora quello odierno. Chi navigava anticamente dal Golfo di Napoli in direzione sud, sino allo Stretto di Messina, non incontrava nessun attracco protostorico protetto da venti e da un isolotto, se non Tropea. L’esistenza della baia è testimoniata dal recupero di numerosi reperti archeologici che, dal Neolitico in poi, testimoniano gli ininterrotti rapporti commerciali esistenti tra gli indigeni del territorio calabro e gli altri popoli mediterranei. Controllando la natura e gli agenti climatici, le sirene facevano in modo che non ci fosse vento nella zona, che il mare fosse calmo, così da non permettere alle navi di prendere il largo e fuggire. Allo stesso tempo, il mare in cui i marinai spesso si tuffavano dopo aver sentito il loro soave canto, è molto profondo, tanto da annegarvi quasi certamente. Anche Circe, mettendo in guardia Ulisse riguardo i pericoli che dovrà affrontare, parlerà di un mare senza vento, che spinse Giasone verso la salvezza e, solo grazie agli dei, non contro la rupe. Questa descrizione fantasiosa rispecchia il tratto di mare antistante Tropea, che è soggetto a quotidiane retroversioni di vento e di correnti marine, per cui per chi naviga è facile imbattersi in un mare calmo. La zona oltretutto è spesso soggetta ad alte maree.

Tropea vista dall’alto

«Mentre ciò loro io discopria, la nave
 che avea da poppa il vento, in picciol tempo
delle Sirene all’isola pervenne.
Là il vento cadde, ed agguagliossi il mare,
e l’onde assonnò un demone».
(Omero, Odissea, XII, vv. 214-218).
«La rupe scoscesa che dall’alto
incombe sporgendo coi suoi nudi crepacci, si spinge dentro il mare
e di sotto, nel cavo, freme l’onda azzurra.
Là sedendo alcune fanciulle ammaliano i mortali che all’udirle
non vogliono più tornare. Piacque allora a Minii di conoscere il canto
delle sirene e non vollero sottrarsi a quella funesta melodia
e dalle mani avevano già lasciato andare i remi
e Aneo aveva messo la prora verso l’alto promontorio,
ma io tra le mie mani tesi la corda della lira […].
Adirato col padre Zeus il signore dalla nera chioma
percosse la terra Licaonia col suo tridente d’oro
e la disperse celermente sul mare infinito
per formare le isole marine che hanno nome
Sardegna, Eubea e poi ancora Cipro ventosa.
Allora al suono della mia cetra stupirono le sirene
dall’alto della rupe cessarono il loro canto.
Si lasciarono cadere di mano l’una il flauto l’altra la lira,
ed emisero angosciosi gemiti perché era giunto il triste destino
della morte fatale. Dalla rupe scoscesa si gettarono
nell’abisso del mare ondoso.
E in pietra mutarono il corpo e la loro fiera bellezza». 
(Argonautiche orfiche 1265-90. Traduzione di Luciano Migotto. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1994, pagg. 96-8).

Scoglio di San Leonardo

Nelle Argonautiche orfiche, la narrazione dei fatti dal punto di vista di Orfeo aggiunge ulteriori dettagli riguardo la morte di queste creature. Si trovano su un’altura ricca di vegetazione, come è e come sappiamo fosse lo scoglio di San Leonardo a Tropea, che anticamente sulla cima aveva un’ampia zona pianeggiante ricoperta dal verde. Alle parole si somma l’immagine che viene data di quest’isola su un vaso a figure gialle, in cui parrebbe essere dipinta la vista in prospettiva di Tropea. L’illustrazione sul vaso attico, che si fa risalire al V secolo a.C., attualmente conservato al British Museum di Londra, riproduce fedelmente uno scorcio panoramico di peculiare bellezza. Al tempo in cui è stato realizzato il vaso anonimo, a Tropea non era presente alcuna barriera, ogni nave entrava nella conca che va dall’isola allo scoglio di San Leonardo, conca che rassomiglia molto, in prospettiva, ai due scogli rappresentati in figura. Questo mare lagunare, peraltro, poteva bastare a condurre gli esseri umani a pensare che quel magnifico paesaggio ameno e tranquillo non stesse facendo altro che tentare di trattenerli lì, immobili, senza lasciarli più
andare.

Vaso attico

«E già così sospinta accostava sotto gli scogli delle Sirene,
perigliosi un tempo, e biancheggianti delle ossa di molti,
allora sorde le rive rocciose echeggiavano lontano di assidui
frangenti».
(Publio Virgilio Marone, Eneide, Vol. I, II, III, vv.95-96 descrivendo il sito delle Sirene costeggiato da Enea durante il suo viaggio).

Possiamo prendere in considerazione l’ipotesi che questi versi, che avrebbero intimorito chiunque all’epoca, siano riferibili alla conoscenza inconsapevole di un dettaglio paleontologico presente nel territorio calabrese, prepotentemente emerso solo di recente. È infatti ipotizzabile che si tratti di una spiegazione fittizia alla massiccia presenza nel territorio di Tropea di resti ossei fossilizzati di animali marini, tra cui quelli di mammiferi acquatici dell’ordine dei sirenidi, appartenenti al genere Metaxytherium serresii, noti sin dalla seconda metà del secolo scorso.

Scheletro di dugongo conservato presso il
Museo del Mare di Tropea
Raffigurazione dello scheletro
Pescatori a Tropea, 1950

Queste creature marine si avvicinano agli attuali dugonghi, ai lamantini, che vivono in acque calde e, poiché sono mammiferi, hanno molte parti ossee del loro corpo quasi simili a quelle umane, non a caso il nome di questi animali si ispira alle sirene stesse. Si tratta di scheletri che avevano una lunghissima coda ed un qualcosa che rassomigliava una cassa toracica umana.
Considerando che tali narrazioni mitiche nascevano da eventi climatici o situazioni reali che gli esseri umani dell’antichità non riuscivano a spiegarsi, i racconti fin qui analizzati, messi a confronto con le informazioni che abbiamo riguardanti Tropea al tempo, possono indurci a collocare il nido delle sirene proprio a Tropea, anche se, purtroppo, non potremo mai averne l’assoluta certezza.

In copertina: Santa Teresa di Gallura (SS), Conca Verde, via Calipso. Foto di Laura Candiani.

***

Articolo di Desirèe Rizzo

Studente del corso di laurea magistrale in Editoria e Scrittura presso l’Università di Roma La Sapienza, dove coltiva la sua passione per la letteratura e la filosofia. Laureata in Beni Culturali all’Università di Roma Tor Vergata, è amante dell’arte e del cinema horror, e si dedica con entusiasmo alla scrittura, con l’obiettivo di affermarsi come autrice di narrativa.

Un commento

Lascia un commento