I signori degli oceani, il numero 10/24 di Limes

«Non moriremo guardiani di spiaggia». Così si concludeva, nel 2020, il numero di Limes L’Italia è il mare, in cui la rivista si soffermava sulla natura di potenza marittima dell’Italia, nonostante la classe politica e il popolo sembrassero non averne consapevolezza. Cinque anni dopo questa intuizione pare essersi avverata, anche grazie alle donne e agli uomini di mare impegnati nella Marine mercantile e militare. Chiunque ci guardi dal mare, ci vede come una penisola al centro di quello che il Comitato scientifico della rivista di geopolitica chiama Medioceano e non più Mediterraneo. Quest’ultimo ormai è da considerare come un canale di comunicazione tra l’Atlantico e l’Indo-pacifico, dove oggi si gioca la partita più importante tra le varie potenze mondiali, in particolare Usa e Cina, non solo sul destino di Taiwan. Come ricorda il Direttore Caracciolo, la superficie del nostro Pianeta è composta per due terzi di acqua, per definizione tutta collegata, mentre le terre si estendono per uno spazio molto minore e possono addirittura essere viste come isole all’interno dell’Oceano-mondo. Le più grandi superpotenze nella storia sono sempre state potenze marittime: lo è il cosiddetto “impero americano”, lo sono stati quelli britannico, olandese, portoghese e prima ancora le Repubbliche marinare italiane. Oggi ambiscono a diventare grandi potenze marittime la Turchia, che ha elaborato e messo in atto la strategia della Patria Blu, con cui, attraverso il Mar Rosso, ha proiettato la sua influenza in buona parte dell’Africa e, spera, molto presto anche la Cina.

L’impero americano

In questo numero è particolarmente sottolineata l’importanza degli stretti, in americano «choke points», strozzature. «Snodi naturali e/o artificiali delle vie del mare per cui circola l’80% circa delle merci e dei cavi Internet del Pianeta. Nella fotografia 3 sono indicati in rosso: Malacca, Taiwan, Panamá, Gibilterra, Bosforo-Dardanelli, Canale di Suez, Bāb-al-Mandab e ci si chiede quanto americani siano ancora oggi e quanto invece non siano a rischio di occlusione, contestazione, destabilizzazione, interferenze. Solo Gibilterra, per ora, si salva». «Centrale — sottolinea l’editoriale, Il posto di nessun luogo, — il passaggio tra Indiano e Pacifico via Malacca-Taiwan. Qui ogni giorno vascelli americani e occidentali — italiani inclusi — si sfiorano con i cinesi in assetto sfidante, mentre attori indigeni attendono di stabilire dove inclinare, attratti dall’economia sinica ma affidati alla protezione della Settima Flotta statunitense basata a Yokosuka, Giappone. Nello spazio fra i due choke points si dilata il Medioceano dei mari nominalmente cinesi, di fatto contesi, il cui regime futuro designerà il prossimo Numero Uno o confermerà l’attuale. Massima probabilità di guerra». Tra i sette stretti più vitali per il nostro Paese sono Suez e Bāb-al-Mandab. Per una Nazione con scarse materie prime e la cui economia è fondata sulle esportazioni queste due porte del Mar Rosso sono fondamentali.

Stretti, passaggi e canali

La rivista, come sempre, si compone di tre sezioni. La prima è dedicata al contrasto tra Usa e Cina ed è intitolata Nel Medioceano asiatico, la seconda, Oltre la prima catena di isole, contiene articoli molto interessanti sugli interessi e gli schieramenti di Australia, India, Russia, Taiwan e altri Stati nell’Indo-Pacifico; la terza, Nel nostro Medioceano, ha uno sguardo sull’Italia e sulle sue politiche nel Mar Mediterraneo, con un focus particolare su Trieste, città dimenticata ma fondamentale, luogo che connette il suo golfo ai mercati centroeuropei.

Stretto di Bāb-al-Mandab

Il punto di vista cinese è bene descritto da Giorgio Cuscito nel suo saggio Tra i Medioceani in tempesta la Cina mira l’America, in cui si evidenziano le preoccupazioni per gli effetti delle guerre in corso sulla Via della seta e gli interessi cinesi nell’Artico. Petroni in Rivalità senza fine illustra le tre posizioni che animano il dibattito statunitense sui rapporti con la seconda economia del mondo: «Coesistere con la Cina, sia pure con elementi competitivi; sconfiggere il Partito comunista (cambio di regime); gestire la competizione, cioè rivalità senza fine», posizione oggi maggioritaria, adottata dall’Amministrazione Biden.

Il crollo di Suez

Un approfondimento interessante, assolutamente da leggere per capire le trasformazioni nel settore dell’industria automobilistica americana e cinese, è quello di Alessandro Aresu, The fast and the Furious. Byd, Tesla e l’industria delle industrie, dove si ricorda tra l’altro l’investimento di Warren Buffet nella cinese Byd, colosso dell’auto elettrica che oggi «ha superato i 900 mila dipendenti, con oltre 90 mila ingegneri e, complessivamente, 110 mila addetti in ricerca e sviluppo. Il dato riflette una crescita straordinaria, soprattutto negli ultimi due anni. Oltre a rappresentare una forza lavoro imponente, l’enorme squadra di ricerca e sviluppo presidia la frontiera dell’innovazione». E contro di lei si spingono le ambizioni di Musk con Tesla. Ma nella battaglia asiatica per l’auto non esiste solo la Cina: anche il Vietnam vuole partecipare con VinFast, fondata nel 2017 dal miliardario vietnamita Pham Nhat Vuong, nonostante le stroncature degli Stati Uniti.

Il mondo di Elon Musk

Gli interessi della Russia e i collegamenti con la Cina nella regione che la Federazione preferisce chiamare Asia-Pacifico sono ben descritti da Orietta Moscatelli in Acrobazie russe nell’Indo-Pacifico, dove si fa riferimento alle preoccupazioni della Nato anche in merito alla cooperazione sino-russa nell’Artico e alle manovre di coinvolgimento dell’India a fianco degli altri due Paesi Brics. Un discorso a parte merita il coinvolgimento della Corea del Nord nel conflitto con l’Ucraina: «Secondo Washington, la Corea del Nord ha inviato in un anno alla Russia almeno 165 mila container di munizioni e materiali bellici. E dopo la firma dell’accordo migliaia di nordcoreani sono arrivati in diverse località russe per essere addestrate, fino a 15 mila uomini in base a fonti americane, sudcoreane, ucraine, con stime molto variabili. A Mosca nessuno conferma, ma si fa notare che migliaia di soldati stranieri anche poco integrati con le forze russe potrebbero fare la differenza nell’oblast’ russa di Kursk, per chiudere il delicato capitolo dell’incursione ucraina». E il tentato golpe bianco di Yoon Suk-yeol, per fortuna subito rientrato grazie alle proteste del popolo e al richiamo alla Costituzione in Parlamento, è forse conseguenza di questi rinnovati accordi tra Corea del Nord e Russia.

Le partite sino-russe

Nella seconda parte, particolarmente utile per comprendere i diversi schieramenti nei Mari cinese meridionale e orientale, si segnalano l’articolo di Fabrizio Maronta Aukus oltre Aukus, il patto di sicurezza tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti (le cui iniziali formano l’acronimo) in funzione anticinese che ultimamente sta incentivando e organizzando le filiere tecnologiche e militari dei tre alleati; il saggio di Lorenzo Di Muro sui tentativi dell’India di diventare una potenza marittima e un bell’approfondimento sulla Geografia e storia della Nuova Caledonia. Molto interessante anche l’analisi contenuta nell’articolo La Sottile linea rossa del Vietnam che richiama nel titolo il bellissimo e intenso film di Terrence Malik, tratto dall’omonimo libro di James Jones.

Anglosfera

La terza parte riguarda più da vicino l’Italia e si segnala il bell’approfondimento su Trieste, oggetto di appetiti da parte cinese per farne uno snodo fondamentale della Belt and Road Initiative; a questo ha fatto seguito la reazione statunitense che peraltro da sempre intrattiene rapporti consolidati con la città di San Giusto. In questo articolo si raccontano i due progetti Imec e Trimarium che coinvolgono “la città in alto a destra”, che per l’Italia è diventata, se possibile, ancora più strategica di prima nell’attuale periodo di transizione egemonica.

Trieste tra Imec e Trimarium

Notevole, come sempre, il contributo di Mirko Mussetti Il Mar Nero a colori. Per la nostra Nazione è il Mar Rosso, però, a essere fondamentale. Ricorda Caracciolo nel suo editoriale che «Qui sono “le chiavi del Mediterraneo”, nella memorabile definizione di Pasquale Stanislao Mancini, giurista irpino che da ministro degli Esteri (1881-85) fonda ante litteram la nostra geopolitica medioceanica». E ci ricorda che fu l’Italia a riconoscere per prima lo Yemen nel 1926, con un patto di amicizia rinnovato sulla carta fino al 1961.

La crisi del Mar Rosso

In questo numero di novembre sono particolarmente chiare e illuminanti le carte di Laura Canali, apprezzate anche dagli uomini e dalle donne impegnate nella navigazione, illustrate a questo link dalla cartografa di Limes, presenza femminile fondamentale nel team degli autori e delle autrici della rivista, che ha il dono della semplicità e della chiarezza nelle spiegazioni anche delle carte più complesse.

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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