Quella della Sartoria Tirelli è proprio la tipica bellissima storia italiana di creatività, impegno, lungimiranza, iniziata con poco e arrivata a successi straordinari. Anche in questo caso si comincia con un uomo “visionario”, Umberto Tirelli, che ha un progetto da realizzare e fonda a Roma nel 1964 una modesta sartoria con 2 macchine da cucire, 5 sarte, una modista, una segretaria e un autista-magazziniere.


Veniva dalla provincia, dall’Emilia di Gualtieri, dove era nato il 28 maggio 1928, era di origini contadine, di carattere determinato, vitale, allegro, gran lavoratore; si era impiegato alla Safas, la sartoria di livello delle sorelle Maggioni di cui era diventato direttore, che realizzò i celebri abiti per Il Gattopardo di Visconti e si sa che lui stesso si inserì con le sue idee nella progettazione dei costumi ottocenteschi. Ha fatto epoca il meraviglioso abito di Angelica nella scena del ballo, con undici sottogonne, un supplizio perché fu imposto alla bella Claudia Cardinale un bustino che le portò il giro vita da 68 a 54 centimetri!

A 36 anni decise di mettersi in proprio e di portare avanti in prima persona l’amore per l’abbigliamento e la sartoria così come aveva approfondito e studiato nella grande letteratura francese; andava a caccia di abiti, sulle bancarelle, ai mercatini, nel guardaroba di signore squattrinate costrette a svendere; qualcuna cominciò pure a fargli doni importanti, come Lucia Bosè. Iniziò in questo modo la favolosa collezione che conta, in un capannone enorme a Formello, poco fuori Roma, oltre 15.000 abiti storici e circa 315.000 capi e accessori suddivisi per genere, epoca, stile, ruolo sociale, per cui si rimanda, volendo curiosare, al sito e al documentario girato nel 2006 dal regista Gianfranco Giagni. Si può pure leggere la sua autobiografia dall’eloquente titolo: Vestire i sogni (con Guido Vergani, per Feltrinelli, 1981).

Per fare pochi esempi citiamo un abito della regina Margherita e uno di Carolina Bonaparte; troviamo una assoluta rarità: lo scialle che Francesca Bertini indossava nel film Assunta Spina nel 1915, e poi raffinati abiti maschili e femminili del Settecento, livree, completi in seta ricamata dei toreri Dominguin e Manolete, una importante serie di creazioni Chanel degli anni Venti e l’intero patrimonio creativo della stilista Maria Monaci Gallenga. Per non parlare dei favolosi costumi che hanno reso tanti film ancora più belli, grazie alla bravura delle maestranze e alla geniale fantasia di costumiste e costumisti, a cui l’Italia ha dato un impulso considerevole. I 17 Oscar che la Sartoria ha contribuito a ottenere ne sono la prova, e la trentina di nomination lo confermano.
Limitiamoci a fare un viaggio nella storia del cinema mondiale, pur breve, e a rivedere nella nostra mente personaggi, scene, momenti chiave, per lo più legati al passato, ricostruito in maniera impeccabile dalle scenografie, in cui il ruolo di chi crea i costumi è altrettanto fondamentale per delineare l’ambientazione. Vogliamo parlare di Casanova di Fellini? Danilo Donati per l’occasione supera sé stesso. Momenti di gloria con i costumi di Milena Canonero, altra pellicola memorabile, anche per la celebre colonna sonora di Vangelis divenuta un inno allo sport. Definita «la regina dell’invenzione e della fantasia», Dino Trappetti ha affermato in una intervista (Corriere della Sera, 9-10-2024):

«Milena osa, è come se vedesse attraverso la macchina da presa. Per Momenti di gloria usò materiale di repertorio, facendo solo tre vestiti nuovi. Ha la genialità di trasformare gli abiti, le basta una base per realizzare le sue idee». Ancora suo il delizioso abbigliamento per la giovane ingenua regina in Marie Antoinette per la regia di Sofia Coppola. E poi Amadeus di Milos Forman, con le bizzarre parrucche e i vestiti sgargianti creati da Teodor Pistek, Cyrano di Bergerac (Franca Squarciapino), Titanic (Deborah Scott), The Duchess (Michael O’Connor). Da ricordare il sodalizio con Luchino Visconti (Ludwig, Morte a Venezia) e le collaborazioni con Francesca Sartori per i costumi di nobili, soldati, dame nel film di Ermanno Olmi Il mestiere delle armi sulla breve vita di Giovanni dalle Bande Nere, con Massimo Cantini Parrini per Barbarossa (di cui vanno pure citati fra i tanti gli abiti pluripremiati del film Il racconto dei racconti di Matteo Garrone) con Maurizio Millenotti per La leggenda del pianista sull’oceano (David di Donatello), mentre il grande Piero Tosi, dopo tanti Nastri d’argento e tre David di Donatello, è stato finalmente premiato con l’Oscar alla carriera (2014). Nel 1984 Tirelli fu nominato Commendatore e due anni dopo donò 100 abiti d’epoca e 100 costumi teatrali alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze; poco prima della morte (avvenuta a Roma il 26 dicembre 1990) ricevette anche l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine delle arti e delle lettere francese.




Abbiamo citato Dino Trappetti, il cui ruolo è divenuto fondamentale alla prematura scomparsa di Tirelli; in quel momento stava svolgendo un lavoro in un ambito ben diverso, che pure gli dava grandi soddisfazioni, come addetto stampa di eventi prestigiosi, ma era sempre stato amico e socio di Tirelli. A quel punto lasciò tutto ed entrò in un mondo che gli era sconosciuto, ma che presto lo portò a rinnovare i successi del predecessore. Arrivò nel 1994 l’Oscar per i costumi di Gabriella Pescucci per il film L’età dell’innocenza, a cui seguì quello per Il paziente inglese (costumista Ann Roth). E non si è più fermato. Molto belli i suoi ricordi, quando ha parlato della festa per celebrare il sessantesimo, l’11 ottobre a Palazzo Torlonia, con sottofondo musicale e la partecipazione di attori e attrici, celebri costumisti ed esordienti come Stefano Ciammitti, allievo di Piero Tosi, che ha di recente lavorato a Io Capitano di Matteo Garrone. Fra i personaggi che ha conosciuto, di cui ha potuto apprezzare i pregi ma pure notare i difetti, si sofferma sulla gentilezza di Matt Damon, sul fisico così perfetto di Nicole Kidman che non ebbe bisogno di prove per i costumi di Ritorno a Cold Mountain, sulla pignoleria di Harvey Keitel interprete di Youth, sull’eleganza di Isabella Ferrari, sulla bellezza di Monica Bellucci. Rammenta anche un episodio divertente che accadde sul set di Giù la testa di Sergio Leone. Si era creata una buffa contrapposizione fra Rod Steiger che era assai basso e James Coburn che era parecchio alto, così dovettero intervenire mettendo negli stivali rialzi e tacchi altissimi in modo che il divario fosse meno evidente. Steiger fu così soddisfatto che si fece realizzare dodici paia di quelle calzature da portarsi a casa.

Va menzionata poi l’attività espositiva della Sartoria che negli anni ha visto questi capi straordinari esibiti in edifici prestigiosi come Palazzo Bentivoglio a Gualtieri o Palazzo del Governatore a Parma o Villa Pignatelli a Napoli e musei come il Thyssen Bornemisza di Madrid, il San Domenico di Forlì, il Museo dell’Ara Pacis di Roma, il Serlachius di Mänttä (Finlandia), spesso con mostre a tema dedicate di volta in volta al mondo del cinema, dell’opera, del teatro e al connubio fra moda e arte (Pinocchio e i costumi di Massimo Cantini Parrini, C’era una volta Sergio Leone, Boldini e la moda a Ferrara, Omaggio a Milos Forman a Racconigi, Costumi da star a Napoli, L’atelier degli Oscar a Gorizia, e così via).
Il titolo dell’intervista di Valerio Cappelli già citata la dice lunga: Siamo sopravvissuti anche ai film minimalisti, nel senso che oggi per il cinema si realizzano tante pellicole ambientate nel presente, fra gente comune, senza particolari esigenze di abbigliamento, anzi spesso vediamo vestiti banali, modesti, quotidiani, che non richiedono certo la fantasia, la ricerca accurata, lo studio e poi la realizzazione a mano di pizzi, ricami, volant, rifiniture preziose. Tuttavia una eccellenza come la Sartoria Tirelli, che è appunto “sopravvissuta “senza troppe difficoltà, ha un presente e avrà sempre un futuro perché la fabbrica dei sogni non cesserà di stupirci.
In copertina: alcuni abiti della collezione Tirelli.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
